Bombe a grappolo made in Brasile

di David Lifodi

“Il Brasile fa parte dei paesi che armano l’Arabia saudita nell’offensiva contro i ribelli yemeniti”: con questo titolo, qualche mese fa, il quotidiano di sinistra Carta Capital, apriva la sua edizione on line. Un articolo scritto da Jefferson Nascimento, dottorando in Diritto internazionale presso l’Università di San Paolo, denunciava il coinvolgimento del Brasile nel commercio e nella vendita di bombe a grappolo all’Arabia saudita fin dal 2015. Più o meno nello stesso periodo, anche Amnesty International segnalava che il bombardamento della città yemenita di Sa’da del 15 febbraio scorso era avvenuto tramite le famigerate bombe a grappolo prodotte dall’impresa brasiliana Avibrás Indústria Aerospacial.

Secondo i dati di cui è in possesso Carta Capital, dal 2015 il valore delle esportazioni di armi e munizioni dal Brasile all’Arabia saudita ammonta a 109.559.247 dollari. Una cifra del genere non stupisce, in primo luogo perché già nel dicembre 2016 Human Rights Watch aveva documentato l’utilizzo delle bombe a grappolo brasiliane nei raid condotti contro i ribelli yemeniti dall’Arabia saudita. In secondo luogo, Avibrás è in piena espansione. L’impresa, che ha sede a São José do Campos con base industriale a Jacareí, nello stato di San Paolo, rappresenta il top per quanto riguarda la fabbricazione di materiali da artiglieria e di sistemi di difesa aerea, oltre a missili e carri armati. Tra i prodotti maggiormente richiesti ad Avibrás figura il cosiddetto Astros II (Artilhery Saturation Rocket System), un sistema di lanciarazzi con una gittata che raggiunge fino a 80 chilometri. Sviluppato a partire dal 1980 e richiesto principalmente dall’Irak all’epoca della guerra con l’Iran, Astros è prodotto principalmente in Brasile, che trae enormi vantaggi dal suo commercio in gran parte del mondo, anche perché il più grande paese dell’America latina, come del resto l’Arabia saudita, non ha aderito alla Convenzione di Oslo, la quale proibisce l’utilizzo, lo sviluppo, la produzione e la vendita di bombe a grappolo.

Inoltre, il commercio di armi verso l’Arabia saudita è fortemente sponsorizzato, in Brasile, dall’Abimde (Associação Brasileira das Indústrias de Materiais de Defesa e Segurança), la cui sede è a Brasilia e che fa capo all’attuale ministro della Difesa Raul Jungmann, tra gli uomini più legati al presidente Michel Temer. La stessa Abimde, tramite il suo presidente, Carlos Frederico Queiroz de Aguiar, ha mostrato più volte l’interesse ad aumentare il raggio d’azione della vendita e del commercio delle armi verso i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Del resto, anche in passato, Avibrás ha saputo tutelare bene i suoi interessi, occupandosi della vendita di Astros agli eserciti di Indonesia e Malaysia. Quanto alle bombe a grappolo, utilizzate in passato durante la guerra del Vietnam e dalle truppe israeliane all’epoca dell’occupazione del Libano, il Brasile è nell’occhio del ciclone non solo per la sua mancata adesione, insieme a Russia e Cina, alla Convenzione di Oslo, ma anche perché secondo le associazioni per i diritti umani offrirebbe addirittura incentivi fiscali per le imprese che producono le bombe a grappolo. Nonostante il governo saudita abbia precisato che l’utilizzo delle bombe a grappolo sia avvenuto contro “obiettivi militari legittimi” e non in zone abitate da civili, resta il fatto che il Brasile non ci fa una bella figura, senza contare che la corsa ad esportare armi non è stata prerogativa soltanto della presidenza Temer, ma anche di quella di Dilma Rousseff, per quanto costi ammetterlo. “Le bombe a grappolo”, sottolinea Amnesty International, “ contengono decine, se non centinaia, di sub-munizioni che vengono rilasciate in aria e si spargono su territori estesi centinaia di metri quadri. Possono essere sganciate o lanciate da un aereo, o, come nell’ultimo caso, esplose da razzi terra-terra”.

Di fronte alle critiche, Avibrás ha risposto sostenendo che non c’è alcuna prova che dimostri la sua vendita delle bombe a grappolo all’Arabia saudita, ma i dati in possesso del Ministero di sviluppo, industria e commercio estero del Brasile, parlano da soli e certificano un aumento esponenziale della vendita di prodotti e materiali targati proprio Avibrás ai sauditi. Considerando che gran parte delle sub-munizioni delle bombe a grappolo, scrive Amnesty International, “hanno un elevato tasso di malfunzionamento e che molte di esse non esplodono all’impatto, trasformandosi di fatto in mine anti-persona che mettono in pericolo la vita dei civili negli anni a venire”, il Brasile purtroppo finisce per essere tra i principali responsabili delle violazioni della coalizione a guida saudita.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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