Brasile: autogolpe della destra?

Una parte dell’estabilishment scarica Temer per sostituirlo con un uomo più presentabile. La sinistra chiede le elezioni dirette per ottobre 2017

di David Lifodi (*)

I violenti scontri di ieri a Brasilia, provocati principalmente dalla scelta di Temer di schierare l’esercito per le strade della città, come ai tempi della dittatura militare che prese il potere nel 1964, segnano probabilmente il capolinea per il presidente golpista che aveva destituito in maniera illegittima Dilma Rousseff. Tuttavia la crisi brasiliana, sfociata nei saccheggi e negli incendi di numerose sedi di ministeri della capitale, sembra tutt’altro che vicina all’epilogo.

Temer non serve più all’estabilishment o almeno ad una parte di questo, hanno scritto gran parte degli analisti politici. Il timore principale è quello che sia la stessa destra a creare le condizioni per una sorta di autogolpe, al fine di sostituire un presidente ormai impresentabile con un suo sosia in grado di eseguire, più o meno, i dettami neoliberisti del Fondo monetario internazionale. Temer ha fatto il lavoro sporco ed ora tocca ad un uomo nuovo continuare sulla strada del colpo di stato, ma in maniera più pulita. È per questo che anche il network informativo O Globo, principale organo della destra, sostenitore del colpo di stato contro Dilma Rousseff, nonché della dittatura che ha governato dal 1964 al 1985, chiede la testa di Temer e si presenta come mediatore in una partita tutta interna alla borghesia, al mondo imprenditoriale e a quello conservatore. Due sembrano i successori di Temer favoriti, se si terranno le elezioni indirette, quelle che permettono al Congresso di scegliere il nuovo presidente del paese senza ricorrere alle dirette (cioè al voto popolare), invocate da tutta la sinistra e dai movimenti sociali. Il primo nome è quello di Joan Doria, sindaco di San Paolo e imprenditore televisivo. La seconda è Cármen Lucía Antunes, presidenta della Corte suprema. Quest’ultima dovrebbe inoltre  convocare le elezioni indirette entro un termine di trenta giorni, secondo l’articolo 81 della Costituzione, che prevede questa eventualità nel caso in cui il presidente del paese, quello della Camera dei deputati e quello del Senato abbandonino nei primi due anni di mandato. Sempre secondo quanto prevede la Costituzione, a sostituire Temer avrebbero dovuto essere il presidente della Camera, Rodrigo Maia, o quello del Senato, Eunicio Olivieira, ma entrambi sono però impossibilitati in quanto indagati per corruzione nell’ambito dell’operazione Lava Jato .

Per questi motivi Cármen Lucía Antunes sembra la maggiore indiziata nel salire al Planalto, poiché, secondo quanto riferisce O Globo, la donna poco tempo fa si è riunita con un gruppo di imprenditori nei settori delle telecomunicazioni, delle banche, delle compagnie aeree e immobiliari, di cui alcuni appartenenti al cosiddetto Conselhão, il Consiglio di sviluppo economico e sociale nominato a novembre dallo stesso Temer. Se all’epoca del regime militare la borghesia aveva un progetto di paese incentrato sul capitalismo con il sostegno statunitense, oggi sono diverse le correnti che sgomitano per arrivare al Planalto. Da un lato, la fazione che fa capo a Meirelles, ministro del Tesoro che gode dell’appoggio di gran parte del mondo imprenditoriale, dall’altro il Pmdb (Partido do movimento democrático brasileiro, partito banderuola della politica brasiliana), il ministro della Casa civile Eliseu Padilha, Romero Jucá, leader del governo in Senato e O Globo.

È in questo contesto che si spiega il voltafaccia dello stesso network di O Globo, che ha diffuso una registrazione in cui il presidente Temer cercava di corrompere l’ex presidente della Camera dei deputati Eduardo Cunha, tra i principali artefici della destituzione di Dilma Rousseff e peraltro già pluri-indagato  Da qui il Tribunale supremo federale ha aperto l’inchiesta che ha incastrato Temer. In Brasile si è consumato così il paradosso di una destra che, fino a dieci giorni fa, celebrava una tra le peggiori riforme del lavoro e delle pensioni che il paese abbia mai avuto e che ora ne prende le distanze sostenendo che non si tratta di priorità del paese. Le elezioni dirette restano però un miraggio, nonostante le mobilitazioni registrate pressoché in tutti gli stati del Brasile e sembra assai probabile la strada che prevede l’arrivo al Planato della presidenta della Corte suprema, considerando l’impossibilità di sostituire Temer da parte del presidente della Camera e del Senato. Se la destituzione di Dilma Rousseff era stata molto simile ai colpi di stato avvenuti in Honduras e Paraguay, anche la gestione della crisi sembra ricalcare quanto accaduto ad Asunción e Tegucigalpa. In Honduras, una volta fatto fuori Zelaya, Micheletti stette per breve tempo alla presidenza del paese prima di elezioni farsa che avrebbero premiato prima Porfirio Lobo e poi Juan Orlando Hernández. Lo stesso è avvenuto in Paraguay, dove al posto di Fernando Lugo si insediò Federico Franco prima che la restaurazione conservatrice fosse completata da Horacio Cartes. In tutti questi casi, emerge che la destra si è consolidata al potere portando al governo uomini (solo) formalmente più presentabili.

A sinistra, il Frente Brasil Popular (che riunisce circa ottanta organizzazioni popolari), il Partido dos Trabalhadores e il Partido Socialismo e Liberdade chiedono le elezioni dirette e contestano la probabile presa del potere di Cármen Lucía Antunes, il cui scopo potrebbe essere quello di arrivare fino al 2018 per poi tentare di vincere le elezioni con il sostegno della destra. Il Frente Brasil Popular auspica la sospensione di tutte le misure varate da Temer e che danneggiano i lavoratori e un governo di transizione che il prossimo ottobre convochi le elezioni ed una Costituente, oltre a lavorare ad un “Piano popolare di emergenza” in grado di consentire al paese di uscire rapidamente dalla crisi economica, sociale e politica in cui si trova.

Infine, ad un Brasile attualmente nel caos per colpa degli stessi ispiratori del colpo di stato che nel maggio 2016 destituì Dilma Rousseff, non giovano servizi televisivi e della carta stampata come quelli realizzati nel nostro paese, dove viene associata, senza alcun criterio, la protesta contro Temer a quella contro Maduro in Venezuela, come se entrambi fossero dei dittatori e come se la situazione politica e le premesse di scontri e violenze fossero le stesse.

(*) tratto da Peacelink – 25 maggio 2017

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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