Brasile: Bolsonazi all’attacco della pubblica istruzione

di David Lifodi

A SEGUIRE: Manipolato il processo contro Lula di Fabrizio Verde

Crociata di Bolsonaro per demolire università e scuole pubbliche, cancellare il pensiero di Paulo Freire e creare scuole militari ovunque. Il presidente ordina e il ministro dell’Istruzione Abraham Weintraub agisce.

Il violento quanto prevedibile attacco del presidente brasiliano Bolsonaro all’istruzione sembra non aver fine. La campagna del “Messia nero” contro la cultura e il sapere era ampiamente prevista poiché, fin dalla sua campagna elettorale, non aveva risparmiato soprattutto le università, ritenute dei covi di comunisti.

Secondo i dati dell’Ocde (Organización para la Cooperación y el Desarrollo Económico), il Brasile occupa l’ultimo posto, su 39 paesi analizzati, in fatto di fondi destinati all’istruzione. Tuttavia, ciò che interessa a Bolsonaro non è solo imporre ulteriori tagli, ma attaccare la cultura e tutto ciò che può rappresentare un pericolo per quella parte di elettorato che rappresenta. L’attuale ministro Abraham Weintraub, subentrato all’altrettanto impresentabile Vèlez Rodríguez dopo pochissimo tempo, rappresenta solo il braccio, anzi, la clava, del presidente. È così che entrambi hanno scatenato una campagna di menzogne per sminuire la figura di Paulo Freire, il grande pedagogista brasiliano conosciuto soprattutto per l’educazione popolare e la pedagogia degli oppressi. Abraham Weintraub e il suo predecessore forse sono stati scelti come ministri dell’Istruzione proprio per la totale ignoranza della materia.

Tra i primi atti di Weintraub, su sollecitazione di Bolsonaro, la dichiarazione di voler eliminare dalle università pubbliche i corsi di sociologia e filosofia, secondo il principio che il paese avrebbe bisogno solo di medici o ingegneri. “Chi vuole studiare sociologia o filosofia se la paghi”, è il concetto espresso dal presidente. La totale impreparazione della coppia Weintraub-Bolsonaro ha fatto si che sia stato deciso un ulteriore taglio del 30% agli atenei pubblici con il pretesto che non avrebbero realizzato alcuna produzione scientifica di rilievo per il paese. In realtà, tra i motivi che spingono l’attuale inquilino del Planalto a smantellare le università pubbliche non è secondaria la vicepresidenza della sorella di Paulo Guedes, ministro dell’Economia, in seno all’Associazione nazionale delle università private.

Nonostante le mobilitazioni studentesche contro Bolsonaro non abbiano tardato a manifestarsi, il presidente sembra intenzionato ad andare diritto per la sua strada. Non è un caso che il primo ministro all’Istruzione da lui nominato sia stato proprio Ricardo Vèlez Rodríguez, professore emerito della Scuola di comando e dello stato maggiore dell’esercito brasiliano. Pur avendolo tolto di mezzo dopo pochi mesi, con la definizione di “onesto, ma incapace”, Bolsonaro intende creare delle scuole militari in ogni capitale del paese e trasferire alle istituzioni militari la gestione dei centri educativi pubblici. L’esempio da seguire, in questo senso, sarebbe lo stato di Goiás, dove è presente il maggior numero di scuole militari del Brasile. Questo tipo di istituti è conosciuto per una ferrea disciplina.

In questo scenario, molto simile a quello del trumpismo negli Stati uniti, il partito di Bolsonaro, Partido Social Liberal, non ha comunque la maggioranza assoluta, ma solo 54 seggi su 513, per questo il presidente è costretto spesso a stringere accordi con la bancada ruralista, con quella dell’agronegozio e con quella degli evangelici che, pur avendo benedetto il suo arrivo al governo poiché vedono i loro interessi di bottega realizzati, al tempo stesso si rendono conto della sua incapacità.

La popolarità di Bolsonaro, nonostante la mossa di far celebrare l’anniversario del colpo di stato del 31 marzo 1964 per compiacere i suoi elettori, è scesa in pochi mesi dal 67% al 46% e ad essere scontenti, per quanto possa sembrare paradossale, sono i militari, contrari alla trasformazione del Brasile nel satellite di Washington, per la quale si sta spendendo il presidente. Per questo motivo, a Bolsonaro è sembrato che fosse arrivato il momento opportuno per lanciare un’arma di distrazione di massa, quella dell’attacco all’istruzione pubblica. Docenti, studenti e personale sono al lavoro per dar vita ad un grande patto in difesa di un’educazione pubblica di qualità di fronte alla crociata che intende togliere il pensiero di Paulo Freire dai libri di testo e revocargli il riconoscimento postumo, risalente al 2012, che lo riconosceva come patrono dell’istruzione brasiliana.

“Le indicazioni di Bolsonaro nel campo dell’Istruzione sono espressione di ignoranza, pregiudizio culturale e fanatismo ideologico”, hanno sostenuto 28 associazioni dell’area delle scienze umane, ma ciò che preoccupa è la vicinanza del presidente al movimento Escola sem partido, sorto nel 2004 con il fine dichiarato di “debellare il marxismo dalle scuole”. È proprio Freire, arrestato dal regime militare per aver attuato la celebre politica di alfabetizzazione, ad essere finito nel mirino di Escola sem partido, tanto da far paura anche da morto ed essere ritenuto uno degli ispiratori del cosiddetto “marxismo culturale”. Infine, sono previsti progetti di legge che intendono vietare ai docenti di esprimere le loro opinioni ideologiche, religiose, politiche, morali e Bolsonaro in persona ha sponsorizzato una campagna di delazione affinché siano gli stessi studenti a controllare i contenuti divulgati dai docenti e a sentirsi autorizzati nel denunciare le loro eventuali posizioni se non conformi a quelle di Escola sem partido.

Il mondo della scuola fa parte di quell’ampio gruppo di persone, migranti, donne, indios, omosessuali, “che non ha buone intenzioni”, ama ripetere Bolsonaro. Sopravvivere a Bolsonazi non sarà facile.

Brasile: manipolato il processo contro Lula

Un reportage di The Intercept dimostra il coinvolgimento del giudice Sergio Moro

di Fabrizio Verde (*)

Come volevasi dimostrare. Il giudice istruttore Sergio Moro, titolare dell’inchiesta Lava Jato e successivamente entrato a far parte del gabinetto governativo del fascio-liberista Jair Bolsonaro in Brasile, ha manipolato le indagini in modo da incastrare l’ex presidente Lula fino a quel momento in testa a tutti i sondaggi e il grande favorito alla vittoria finale nelle elezioni presidenziali che poi hanno incoronato Bolsonaro.

The Intercept Brazil di Glenn Greenwald ha pubblicato una vasta e incisiva inchiesta sulle presunte motivazioni politiche alla base dell’Operazione Autolavaggio (Lava Jato) contro l’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva e il Partito dei lavoratori (PT), nonché il coinvolgimento non etico dell’attuale ministro della Giustizia, Sergio Moro.

I documenti sono stati diffusi divisi in tre parti in cui secondo The Intercept si dimostrano, con documenti trapelati e messaggi di Telegram tra pubblici ministeri e Moro, come la squadra “apolitica” e “imparziale” abbia trascorso ore a pianificare internamente come impedire il ritorno a potere di Lula e del suo Partito dei Lavoratori. Come poi effettivamente avvenuto con la vittoria di Jair Bolsonaro.

“Le inchieste giornalistiche sono basate su enormi archivi di materiali precedentemente non divulgati – tra cui chat private, registrazioni audio, video, foto, procedimenti giudiziari e altra documentazione – forniti da una fonte anonima. Rivelano gravi illeciti, comportamenti non etici e un inganno sistematico su cui il pubblico, sia in Brasile che a livello internazionale, ha il diritto di sapere”, hanno affermato i giornalisti.

Sul primo articolo, The Intercept sostiene con evidenza, che nonostante siano ritratti in Brasile e in tutto il mondo come apolitici – e preoccupati unicamente di combattere la corruzione – i procuratori di Lava Jato “complottarono per impedire al Partito dei lavoratori (PT) di vincere le elezioni presidenziali del 2018 bloccando o indebolendo il messaggio pre-elettorale”.

Il 28 settembre 2018, dopo che il giudice della Corte Suprema Ricardo Lewandowski ha autorizzato che l’allora detenuto Lula potesse rilasciare interviste in base al diritto di libertà di parola, una delle procuratrici, Laura Tessler, ha avvertito nella chat che “una conferenza stampa prima del secondo turno delle votazioni potrebbe aiutare ad eleggere Haddad”, riferendosi al candidato presidenziale del PT Fernando Haddad.

Mentre il capo della task force del procuratore, Deltan Dallagnol, affermava che avrebbero dovuto “pregare” affinchè il PT non fosse tornato al potere. In una serie di conversazioni, i pubblici ministeri, tra cui Dallagnol, hanno attivamente messo in atto strategie su come indebolire il possibile effetto delle interviste o persino su come impedirle.

Lo stesso Deltan Dallagnol discuteva su come evitare che Lula fosse intervistato da Monica Berrgamo, editorialista del quotidiano Folha de S. Paulo, prima elezioni a causa del timore che attraverso di essa Lula potesse convincere le persone a scegliere Fernando Haddad o consentire il ritorno del PT al potere.

Nell’inchiesta viene inoltre rivelato come il capo della task force abbia più volte espresso dubbi circa la principale accusa che ha portato in prigione l’ex presidente Lula. La donazione di un appartamento triplex sulla spiaggia di Guaruja in cambio di contratti con la compagnia petrolifera statale Petrobras per l’azienda OAS.

Il ruolo di Sergio Moro

La seconda inchiesta si concentra sul ruolo chiave giocato da Sergio Moro. Il giudice istruttore non a caso incensato dal mainstream mondiale. Sergio Moro ha offerto consigli strategici ai pubblici ministeri, passato consigli per nuovi percorsi di indagine e valutato il processo in segreto e fuori dal tribunale.

“Nel corso di più di due anni, Moro ha suggerito al pubblico ministero che la sua squadra avrebbe cambiato la sequenza di chi avrebbe indagato; ha insistito per ridurre i tempi di inattività tra i raid; ha dato consigli strategici e suggerimenti informali; fornito ai pubblici ministeri una conoscenza anticipata delle sue decisioni; ha offerto critiche costruttive alle limature giudiziarie; e ha persino rimproverato Dallagnol come se il pubblico ministero lavorasse per il giudice”, si legge nell’inchiesta.

Questo tipo di condotta, se è vera, non è etica per un giudice, che è responsabile del mantenimento della neutralità per garantire un processo equo e viola il Codice Etico del Giudiziario per il Brasile.

Eppure queste non sono accuse nuove, dal momento che le squadre di difesa di Lula hanno dichiarato il coinvolgimento discutibile di Moro dall’inizio dell’indagine.

Un appartamento non riconducile a Lula

L’appartamento sulla spiaggia a tre piani non avrebbe potuto essere dato a Lula come una tangente, come sostenuto dai pubblici ministeri perché è stato registrato in nome della società OAS con diritti finanziari in un conto bancario federale. Zanin Martin ha detto che se la società vendesse l’appartamento, la traccia dei soldi dovrebbe apparire nelle transazioni della banca federale, dove i documenti dimostrano che Lula non ha acquisito la proprietà.

Eppure come “prova” in un processo internazionalmente deriso e criticato, Dallagnol ha presentato una diapositiva di PowerPoint piena di refusi che avevano il nome di Lula nel mezzo e presunti crimini cerchiati e che indicavano il suo nome. Nessuna documentazione o prove concrete è mai stata prodotta contro il leader del PT.

Domenica sera, il ministro della Giustizia Moro ha risposto all’inchiesta dell’Intercept affermando che “lamenta la mancanza di indicazioni sulla fonte”, ma non nega alcuna accusa. Inoltre, Moro difende che “non vi è alcun segno di anomalie o indicazioni di un magistrato, nonostante siano prese fuori dal contesto …” Nel frattempo, la task force Autolavaggio non ha smentito l’autenticità delle informazioni pubblicate da The Intercept.

“Lula vittima di lawfare”

Le inchieste di The Intercept confermano quanto la difesa di Lula proclama da tempo inascoltata. “Nessuno può dubitare che il processo contro Lula sia falsato”, scrive la squadra difensiva dell’ex presidente in un comunicato.

“Il ripristino della piena libertà di Lula è urgente, così come il riconoscimento più pieno e completo che non ha commesso alcun reato e che è vittima di ‘lawfare’ cioè manipolazione delle leggi e delle procedure legali per scopi di persecuzione politica”.

da qui

ecco gli articoli di The Intercept:

https://theintercept.com/2019/06/09/brazil-archive-operation-car-wash/

https://theintercept.com/2019/06/09/brazil-car-wash-prosecutors-workers-party-lula/

https://theintercept.com/2019/06/09/brazil-lula-operation-car-wash-sergio-moro/

(*) Fonte e foto: L’Antidiplomatico

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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