Brasile: l’esempio delle Mães de Maio

di David Lifodi

Il movimento indipendente delle Mães de Maio brasiliane, autodenominatesi così in omaggio alle più conosciute Madres de la Plaza de Mayo argentine, nacque nel 2006. Nella settimana dal 12 al 20 maggio di quell’anno, almeno cinquecento giovani furono uccisi dalla polizia nell’ambito di una spropositata operazione di sicurezza lanciata dallo stato di San Paolo in risposta alle azioni dell’organizzazione criminale paulista Primeiro Comando da Capital: la maggior parte di loro era innocente, ma la polizia fu utilizzata dallo stato per fare un’operazione di pulizia sociale in grande stile.

A rimanere uccisi, in circostanze simili al caso dei falsos positivos colombiani, giovani delle periferie poi presentati dalla polizia come criminali. Le Mães de Maio sorsero in questo drammatico contesto per esigere giustizia per i loro figli: la loro fondatrice fu Débora María da Silva, che come altri madri ebbe il figlio assassinato dallo stato. Era il 15 maggio 2006: lo stato non ha mai chiesto scusa, né per la morte del suo Edson Rogerio da Silva né per tutti i giovani uccisi. La rappresaglia delle forze speciali colpì soprattutto i giovani neri e i poveri, ancora oggi le fasce sociali più deboli, e discriminate, della società brasiliana, come dimostra l’attuale discussione in corso al Congresso per abbassare l’età di imputabilità allo scopo di autorizzare l’arresto e la carcerazione. Gli attacchi del Primeiro Comando da Capital furono utilizzati come pretesto per fare piazza pulita, come dimostrato dalla presenza, accanto alla polizia, di gruppi paramilitari di sterminio lasciati liberi di portare a termine il lavoro sporco in maniera del tutto indisturbata. Il genocidio istituzionale condotto scientemente contro la popolazione nera, indigena, povera o comunque legata ad aree sociali marginali fu proseguito in chiave militare: fu questa la goccia che fece traboccare il vaso e spinse le Mães de Maio a costituirsi come movimento sociale. Attualmente, spiegano le Mães, in Brasile si verificano almeno sessantamila omicidi all’anno e, in molti di questi casi, c’è la responsabilità diretta o indiretta della polizia, spesso corrotta e legata al narcotraffico o a gruppi paramilitari. A tutto ciò si sommano le circa settecentomila persone che si trovano in carcere, sottoposte spesso a tortura e perseguitate da un sistema che non è rieducativo, ma soltanto punitivo e poliziesco. Buona parte della popolazione carceraria è molto giovane e proviene ancora una volta dalle fasce sociali più deboli, indifese di fronte alle violenze quotidiane che si respirano nelle prigioni e agli abusi degli agenti di stato. Le Mães de Maio si battono non solo per ottenere la giustizia sociale e il riconoscimento dei figli strappati loro dalla violenza di stato, ma anche per il riconoscimento di diritti sociali inclusivi per tutta la popolazione brasiliana, a partire dai settori più discriminati. La principale causa di morte dei giovani neri tra i 15 e i 29 anni in Brasile è rappresentata da omicidi che avvengono nelle periferie, ai margini delle aree metropolitane e dei centri urbani. La criminalizzazione della povertà, dei lavoratori in difficoltà economiche, delle comunità indigene e degli abitanti dei quartieri periferici è pratica comune in un paese dove le forze del (dis)ordine, la stampa allineata e un sistema generalmente escludente la fanno da padrone: se appartieni ad una di queste classi sociali, riflettono amaramente le Mães, desti sospetti per il solo fatto di esistere e automaticamente vieni indicato come il nemico interno. Inoltre in Brasile, nei confronti della popolazione nera e afrodiscendente, pesa un razzismo storico e strutturale che ancora oggi è propugnato dall’elite capitalista e bianca che detiene il potere politico, economico e militare, approfittando anche della mancanza di politiche pubbliche e sociali in grado di arrestare le pratiche di sfruttamento, oppressione e terrore di stato di cui si è sempre fatta scudo la borghesia brasiliana. Non va nemmeno dimenticato che il Brasile è noto per utilizzare nelle favelas le tecniche militari messe in pratica dall’esercito israeliano a Gaza, peraltro già sperimentate dalle stesse truppe verdeoro nell’occupazione militare di Haiti. In pratica, lo stato non è un organo neutrale al servizio della popolazione, ma si occupa di tutelare le elites. Il Brasile è ai primissimi posti nella poco edificante classifica del sovraffollamento carcerario e la costruzione di nuove carceri (affidata ai privati), unita all’abbassamento dell’età di imputabilità, è sostenuta esclusivamente dalle lobbies legate all’industria bellica. La stessa vicenda della Commissão da Verdade da Democracia, nata per scoperchiare i crimini della dittatura militare (1964-1985), di fatto non ha potuto fare molto per perseguire i militari legati al regime e ancora oggi in ruoli chiave dell’esercito, nonostante l’appoggio della Commissão de Anistia e della Commissão de Familiares do Mortos e Desaparecidos.  Se si procedesse con un processo di smilitarizzazione della società brasiliana, alla quale lavorano la Commissão de Anistia e le Mães de Maio, probabilmente la violenza imperante nel paese sarebbe drasticamente ridotta.

Le Mães de Maio hanno saputo elaborare il lutto del maggio 2006 e passare alla lotta: il loro infaticabile lavoro per la giustizia sociale contro la discriminazione di poveri, neri, quilombolas e favelados merita un riconoscimento. Chissà se il Planalto sarà disposto ad ascoltarle o a seguire sulla strada dell’accondiscendenza verso imprese, elites e multinazionali?  Comunque vada a finire, le Mães de Maio sono le degne rappresentanti di chi vive e lotta per le strade del Brasile.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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