Brasile: Piquiá de Baixo avvelenata dalla Vale

di David Lifodi

Piquiá de Baixo, quartiere di Açailãndia, città al confine orientale dell’Amazzonia brasiliana, rappresenta un esempio tragico di inquinamento industriale: la munha, o moinha, è la polvere di carbone vegetale divenuta una trappola mortale per gli abitanti di questo bairro dello stato del Maranhão.

Açailãndia nacque nel 1958 come insediamento operaio per i lavoratori impegnati nella costruzione della strada di grande collegamento tra Belém e Brasilia: nel 1985, l’inaugurazione della ferrovia che trasportava il ferro dalla provincia mineraria di Carajás segnò per sempre Açailãndia come polo industriale e siderurgico, con tutti gli effetti nefasti che ne sono conseguiti, primo tra tutti quello relativo all’utilizzo del carbone vegetale per alimentare i forni siderurgici. L’aria di Açailãndia, e di Piquiá de Baixo in particolare, è avvelenata. Non sono rari i casi di bimbi appena nati che muoiono per aver respirato la munha, così come frequenti le diagnosi di macchie nei polmoni che fanno sembrare fumatori abitanti che non lo sono affatto. La situazione di Piquiá de Baixo è peggiorata quando al carbone vegetale si sono aggiunti gli scarti industriali degli alti forni, derivanti dalla produzione di cemento. La gente di Piquiá de Baixo ha provato, nel corso degli anni, ad elaborare dei progetti urbanistici che ricollocassero le circa 380 famiglie del quartiere lontane dal polo siderurgico, appoggiati dalla rete sociale organizzata dai comboniani italiani, Justiça Nos Trilhos (Sui Binari della Giustizia), ma si tratta di una battaglia molto difficile. Di fronte a loro, si erge infatti in tutta la sua potenza, la multinazionale mineraria Vale, che negli anni scorsi si è aggiudicata anche il poco ambito trofeo di “peggior multinazionale del pianeta”: ogni anno la Vale estrae circa 110 milioni di tonnellate di ferro che percorrono in treno gli 892 chilometri che separano São Luis, la capitale del Maranhão, dal porto di Ponta da Madeira, da dove vengono esportate in tutto il mondo. La Vale è la responsabile diretta dell’inquinamento che avvolge Açailãndia e Piquiá de Baixo, eppure non ha mai sospeso l’estrazione mineraria. La scusa ufficiale è che se Vale interrompesse la sua attività ad Açailãndia la disoccupazione crescerebbe in maniera esponenziale, ma in realtà il polo siderurgico è in crisi almeno dal 2008 e da seimila posti di lavoro adesso non ce ne sono più di 3500. La maledizione di Piquiá de Baixo ha avuto inizio con il Grande Projeto dos Carajás: da un lato il quartiere si è trovato a convivere con la ferrovia, dall’altro con il polo siderurgico, dove si sono installate ben cinque imprese minerarie, tutte partecipate della Vale: Fergumar, Gusa Nordeste, Pindaré, Simasa e Viena. Le analisi effettuate dal Centro de Referências em Doenças Infecciosas e Parasitárias  dell’Università Federale del Maranhão, evidenziano che le malattie all’apparato respiratorio tra gli abitanti del bairro sono in crescita, soprattutto tra i minori di 9 anni di età, al pari di costanti mal di testa e forti dolori al petto: questi sono gli effetti dell’inquinamento di acqua, aria e suolo dovuti alla presenza del vicino polo siderurgico. La terra è talmente satura di munha che gli agricoltori possono lavorare la terra solo a duecento chilometri da Piquiá de Baixo, ma il dramma di Açailãndia è comune a molte altre città minerarie del Brasile. Nonostante le durissime condizioni di vita, i quasi 1100 abitanti del bairro hanno deciso di non arrendersi e nel 2008, a seguito di una consultazione che ha coinvolto tutti i residenti, il 95% di loro ha scelto di battersi per il reinsediamento in un’altra area libera dall’inquinamento. La risposta dello Stato di fronte all’arroganza della Vale e alle istanze degli abitanti del quartiere è stata finora balbettante. La giustizia brasiliana non si è poi smossa molto nonostante la valanga di cause legali presentate dalla gente di Piquiá de Baixo, mentre lo Stato non ha decretato delle misure particolari per controllare l’inquinamento. Nel frattempo, mentre gli abitanti di Piquiá de Baixo continuano a morire, Vale prosegue la sua opera quotidiana di estrazione del ferro dalle miniere di Carajás: le sue attività rappresentano quasi l’80% del totale delle esportazioni di minerali di ferro in Brasile. Inoltre, i progetti industriali godono dei finanziamenti delle maggiori banche del paese.

Piquiá de Baixo, il cui nome deriva da un albero il cui legno è particolarmente pregiato, ma estinto da anni, è un vero e proprio inferno siderurgico: la Vale dice di annotare tutti i reclami e le lamentele degli abitanti, si spinge addirittura ad affermare che è disponibile a lavorare con il governo e le comunità per risolvere la situazione, ma la convivenza armoniosa con il quartiere a cui dice di voler aspirare è solo il solito fumo negli occhi a cui nessuno crede.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *