Brasile: Piquiá vuole vivere!

 

 di David Lifodi

Piquiá de Baixo è il distretto industriale di Açailândia, stato del Maranhão, in piena Amazzonia brasiliana: da anni questa zona sta vivendo una catastrofe ambientale e sociale dovuta all’insediamento della Vale, la multinazionale del ferro e dell’acciaio che nel 2012 è stata insignita del poco ambito premio di “peggiore multinazionale del pianeta” con la consegna del Public Eye Award 2012.

L’impresa mineraria si è stabilita ad Açailândia nel 1987: cinque impianti siderurgici (Compañhia Siderúrgica Vale do Pindaré, Ferro Gusa do Maranhão Ltda, Gusa Nordeste Sa, Siderúrgica do Maranhão Sa e Viena  Siderúrgica Sa) che ogni giorno lavorano a pieno regime: il ferro viene estratto dalle miniere di Carajás e trasformato in ghisa nel polo di Piquiá de Baixo per poi essere trasportato al porto di São Luís do Maranhão, la capitale dello stato, e da lì esportato in tutto il mondo, ma principalmente verso gli Stati Uniti. Gli abitanti di Piquiá de Baixo hanno chiesto la costruzione di un nuovo quartiere dove poter essere reinsediati e condurre una vita che non sia più caratterizzata dal respiro quotidiano della polvere del ferro mescolata con il carbone. La Vale ha sempre affermato di voler prestare attenzione all’impatto dell’attività mineraria e di lavorare di comune accordo con le comunità per trovare un punto d’incontro tra il rispetto della salute delle persone e l’inquinamento ambientale prodotto da cinque impianti siderurgici, ma in concreto non ha mai fatto niente per risolvere un problema di cui, peraltro, è la principale ed unica responsabile. A Piquiá de Baixo i decessi per malattie all’apparato respiratorio, i tumori ai polmoni, le malattie degli occhi e della pelle, l’inquinamento dell’acqua e dell’aria sono una costante, per questo l’Associação Comunitária dos Moradores do Piquiá de Baixo ha promosso la campagna “Piquiá: reinsediamento ora!”, allo scopo di incalzare le istituzioni della municipalità di Açailândia e spingerle a dare impulso al progetto di reinsediamento. La polvere si insinua nelle porte delle case, si colloca sugli abiti delle persone e, secondo gli esperti che studiano i cambi climatici, una volta che è sprigionata, permane nell’atmosfera per almeno cento anni. A pochi metri dalle case della comunità di Piquiá, poco più di mille abitanti, si trovano gli impianti siderurgici: nonostante i suoi abitanti puliscano le loro abitazioni almeno dieci volte al giorno non si liberano di questa polvere assassina, che ha effetti drammatici immediati su persone che già soffrono di asma, hanno problemi cardiovascolari, donne incinte e bambini piccoli, come evidenziato da uno studio del Centro di Malattie Infettive e Parassitarie che si trova presso l’Università Federale del Maranhão. La gente di Piquiá meriterebbe di vivere sotto un cielo limpido e non oscurato quotidianamente dalla polvere emessa dagli impianti siderurgici, ma di fatto si è trasformata nella Taranto brasiliana, in particolare nel quartiere Tamburi, quello soffocato dai fumi dell’Ilva. È per questo motivo che alcuni mesi fa il coordinamento internazionale che si batte contro la Vale ha deciso di acquistarne alcune azioni, in modo tale da poter intervenire alle assemblee della multinazionale in qualità di azionisti. Le imprese come la Vale, a capitale aperto, hanno l’obbligo di svolgere almeno un’assemblea generale annuale all’anno: in questa circostanza gli azionisti hanno diritto a ricevere informazioni sulla direzione che intende prendere la multinazionale. Inoltre, è obbligatorio che l’ordine del giorno sia sottoposto agli azionisti, per cui è in quel contesto che le comunità danneggiate dalla Vale possono esprimere le loro ragioni, sottolineare le violazioni dell’impresa e imporle un diverso indirizzo. Sono almeno trenta i movimenti sociali che aderiscono al coordinamento degli afectados por Vale, molti dei quali provenienti dai paesi in cui la multinazionale brasiliana ha gli interessi maggiori (oltre al Brasile, Canada, Cile, Argentina e Mozambico), ma tutte le cause aperte contro questo gigante del ferro e dell’acciaio finora si sono concluse sempre a suo favore. Del resto, non c’è da sorprendersi: la Vale gode della compiacenza dello stato brasiliano e di un significativo appoggio economico da parte del Banco Nacional do Desenvolvimento.  Il referendum promosso nel 2008 dall’Associação Comunitária dos Moradores do Piquiá de Baixo si era concluso con il 95% dei consensi favorevoli al reinsediamento collettivo degli abitanti in un’altra area lontana dai fumi della Vale, ma il Brasile non si è mai preoccupato di porre un freno all’inquinamento, né la giustizia si è espressa a favore delle 21 famiglie che nel 2005 hanno promosso delle cause legali contro la Vale e le inadempienze dello stato. Eppure una squadra di architetti ha già portato a termine il nuovo progetto abitativo, nonostante il silenzio del sindaco di Açailândia e del governatore del Maranhão. Il trasporto del ferro e della ghisa avviene soprattutto tramite la ferrovia: da quando fu costruita, nel 1980, la vita delle comunità che si trovavano sulla rotta del treno è radicalmente cambiata. In peggio. Giulio Di Meo ha raccontato la storia di queste persone nel suo libro fotografico, Pig Iron, nell’ambito del quale ha dato voce alle comunità del nord del Brasile, descrivendone la loro vita sotto gli incombenti impianti siderurgici della Vale, e i missionari comboniani, padre Dario Bossi in testa, da anni lavorano e lottano a fianco della gente di Piquiá de Baixo con il coordinamento Justiça nos Trilhos e l’appoggio di Peacelink.

 

Per ora ha prevalso la logica del guadagno e del profitto: per questo è necessario sottoscrivere l’appello “Piquiá vuole vivere”

 

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