Brasile: violenza a sfondo “razziale” sulle donne

Crescono gli abusi di cui sono vittime le donne, soprattutto quelle nere che vivono nelle zone più povere del Paese

di David Lifodi

In Brasile, ogni undici minuti, una donna è vittima di abusi, ma solo il 10% di coloro che subiscono le violenze ha il coraggio di sporgere denuncia. Di recente, soprattutto nella città di San Paolo, sono stati riscontrati casi di violenza sessuale nei confronti di giovani donne che viaggiavano in autobus da parte dei conducenti. Un episodio simile è accaduto anche alla scrittrice Clara Averbuck, in taxi, da parte dell’autista. La sua storia, che la donna ha condiviso sui social network con l’hashtag #meumotoristaabusador, rappresenta soltanto la punta di un iceberg in un paese che occupa il poco onorevole quinto posto nella classifica degli omicidi commessi contro le donne. Il Brasile è preceduto solo da El Salvador, Colombia, Guatemala e Russia, ma, solo per fornire un dato di paragone, viene prima della Siria, un paese che vive da anni in uno scenario di guerra.

Il rapporto della “Mappa della violenza – omicidi di donne in Brasile”, parla chiaro: nel più grande paese dell’America latina la maggioranza dei femminicidi è commessa da familiari (52,3%), amici o compagni (33,2%). In questo scenario le donne nere e in gran parte povere sono le maggiori vittime della violenza di genere. Negli ultimi dieci anni, gli episodi di violenza contro le donne nere sono cresciuti fino al 54,2% del totale contro la popolazione femminile. “Questo tipo di oppressione”, ha scritto Maria Carolina Trevisan sul sito web Página B, “riflette la mentalità di una società patriarcale e razzista”. Contro le donne, specialmente quelle con la pelle nera, è in corso una sorta di vera e propria guerra non dichiarata. Margarette Macaulay, esponente della Commissione per i diritti umani dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), nel corso di un suo recente viaggio in Brasile, ha raccolto decine di testimonianze di donne di colore vittime di violenza domestica, di genere, sessuale e poliziesca, i cui responsabili godono di una quasi totale impunità, a causa della totale assenza di tutela da parte dello Stato. Il razzismo gioca un ruolo fondamentale nella violenza contro le donne afrodiscendenti. Uno dei casi più clamorosi risale al 2014, quando Claudia Ferreira da Silva, una donna di 38 anni, nera, uscì dalla sua casa, in una favela di Rio de Janeiro, per comprare il pane, e rimase uccisa da alcune balas perdidas, dei proiettili vaganti sparati dalla polizia. Nonostante le bugie dei militari e il fatto che questo episodio fosse stato filmato, i poliziotti l’hanno fatta franca e non hanno avuto a loro carico alcun procedimento, poiché sono riusciti a far passare la tesi che avessero sparato per legittima difesa contro la donna. Storie come questa sono all’ordine del giorno in gran parte delle periferie delle megalopoli brasiliane. Gli omicidi delle donne che vedono coinvolti i militari non rappresentano una novità e, come segnala Amnesty International, sono pochissimi i casi in cui gli uomini della polizia responsabili di violenze vengono indagati.

Spesso sono le donne stesse a dover indagare su casi in cui sono stati coinvolti i loro figli, nella maggior parte dei casi uccisi dalla polizia. La carneficina di Acari, una favela di Rio de Janeiro dove, nel luglio del 1990, si verificò la sparizione di 11 adolescenti, non solo ha segnato, una volta di più, l’impunità di cui godono i poliziotti, ma la stessa Edméia Silva Eusébio, madre di uno di loro, fu uccisa pochi mesi dopo in pieno giorno, vittima di una vera e propria esecuzione. La donna, che era riuscita ad avere informazioni sugli assassini del figlio, venne colpita da un’arma da fuoco dopo che, insieme ad altre madri, aveva deciso di muoversi autonomamente perché il crimine era caduto in prescrizione nel luglio 2010. Anche per il suo caso, la verità è ben lontana dall’essere raggiunta.

In Brasile è come se tra le donne e i loro assassini la verità si fosse ribaltata e i secondi non fossero più i persecutori. Il giudice José Eugenio del Amaral Souza Neto, che ha deciso la scarcerazione del conducente dell’autobus che pochi mesi fa violentò una donna su una delle linee che percorrono l’Avenida Paulista di San Paolo, giustificò la sua decisione evidenziando che si trattava solo di una molestia. Le donne vivono con una paura costante perché prevale l’idea machista che spesso siano quest’ultime, con i loro comportamenti, a dare adito ad episodi del genere. In una società fortemente razzista ed escludente, spesso la denuncia non è sinonimo di giustizia, poiché è la stessa magistratura a non mettersi dalla parte della vittima e sono in molte a ritenere che proprio la denuncia possa accrescere il rischio di essere assassinate.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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