Breve lettera alla compagna XY che, di nuovo, mi saluta…
… senza un perché: qualcuna/o dirà “ma db, è un fatto tuo privato” e io invece credo di no
Buondì compagna XY. Ieri mi hai salutato d’improvviso e pure sorriso. Mi hai un po’ “spiazzato”: ero abituato che, da un certo momento in poi, facevi finta di non vedermi. L’uomo invisibile… eppure con i miei quasi 90 chili proprio esilissimo non sono. Un po’ incerto ti ho risposto, come nei riflessi condizionati dei cani di Pavlov; intendo dire che ho risposto “ciao” ma forse era meglio “bau”.
A casa ci ho ripensato. Perché questo saluto? Cosa è successo di nuovo? Non ci scambiavamo un “ciao” – lo sai bene – da qualche mese per uno scambio di accuse nelle quali, in sostanza, io ti chiedevo di rettificare alcune “stronzate” (bugie in italiano standard) e tu accusavi me di essere un mentitore più malefatte varie. Nulla di astratto, ideologico o sentimentale ma fattacci testardi: virtuali nella forma – msg di posta elettronica – però concreti nella sostanza.
Cosa è successo nel frattempo… che io non sappia? Un misterioso “gran giurì” ha stabilito torti e ragioni? Un* di noi – in stato di trance – si è chiarito con l’altr* e magari ha persino chiesto scusa (metodo antico) o fatto l’autocritica (versione terzinternazionalista)? Mi hai confuso con un mio sosia?
Boh
Il famoso “non c’ero e se c’ero dormivo”.
E adesso?
Mi chiedo per quale motivo ci dobbiamo salutare. La vita mi ha insegnato che è meglio chiarirsi, soprattutto se si è dalla stessa parte del “fronte” – perdonami il linguaggio militaresco, ogni tanto mi scappa – e ci si impegna insieme per rendere migliore questo mondo. Aggiungerei che un minimo di letture psik mi ha fatto capire che i “rimossi” sono pericolosi. Un saluto è un riconoscimento, una comunicazione, a volte un feeling … canterebbe Mina. Nel nostro caso cosa sarebbe? Un attacco di formalismo? Una tregua perché è troppo faticoso stabilire chi ha detto cazzate (menzogne nell’italiano standard)? Un automatismo pavloviano? Uno “scurdammoce ‘o passato”?
Perciò resto in attesa di chiarimenti. In caso contrario forse per me è meglio restare invisibile.
A chi ha letto fin qui e magari sta pensando “a barbiè ma sono affaracci tuoi, a noi che ce ne cale?” obietto: il geniale slogan «il personale è politico» per me resta valido ma – o v v i a m e n t e – la discussione è aperta. A me non pare questione solo fra me e la compagna XY e a voi laggiù, dall’altra parte dello schermo?
(*) Visto che su codesto blog ogni post ha un’immagine… mi sono chiesto quale fosse adatta alla mia piccola lettera. Invece di ricorrere, che so, al mio amato Jacek Yerka mi è venuto in mente questo detto “cadi 7 volte, rialzati 8” che di recente avevo visto anche in un quadretto. Andando in rete scopro che è cinese… ma anche giapponese. Di certo orientale? Mannaggia-mannaggiona, è difficile persino distinguere la Cina dal Giappone, che non fa neanche rima.
caro db, ma se il “personale è politico”, perché non ci riveli l’oggetto del contendere? si potrebbe capire meglio perché la compagna xy prima non ti salutava e adesso ti saluta, mi sembra. ciao, un abbraccio
susanna
Io credo che l’oggetto del contendere sia locale e poco importante. Politico e “universale” è, secondo me, il meccanismo. Mesi fa, nel post intitolato «Due o tre paranoie: io, Hg e Ralph», ovvero «Piccole storie di invisibilità con “voci dal fondo”» avevo provato a spiegare cosa succedeva o almeno come io vivevo una situazione assurda. Non ci sono i “perchè” che Susanna vorrebbe sapere ma c’è solo la disciplina dell’organizzazione, la logica del “partito” contro il singolo: due parole che io scrivo minuscolo ma cè chi partito e organizzazione le pensa in maiuscolo… Per questo non c’è una discussione aperta ma “rimossi”. Fattarelli locali ceeeeeeeeeeerto ma i meccanismi sono – a mio parere – orribili. So di non averti risposto Susanna ma è che… più di così non so dire.