«Brevi interviste con uomini schifosi»

di Susanna Sinigaglia

Brevi interviste con uomini schifosi

di David Foster Wallace

regia e drammaturgia: Daniel Veronese
Interpreti:  Lino Musella e Paolo Mazzarelli

La scena è scarna, minimale: due sedie accostate a un tavolo di legno, altre due ai lati e un po’ in disparte un tavolino più piccolo con una bottiglia, un thermos e due bicchieri. Due uomini, due attori, si alternano nell’interpretazione di ruoli maschili e femminili.

Le “interviste” sono otto:

  1. Paternal
  2. L’esca
  3. Galline
  4. La partenza
  5. L’amante perfetto
  6. Radicale
  7. Lei deve chiudere il negozio
  8. Donna e uomo

Per la verità, più che interviste sono colloqui fra un uomo e una donna in cui tiene sempre banco l’uomo lasciando alla donna pochissimo spazio per ribattere o esprimere il suo parere. Ogni quadro ha la stessa struttura: c’è una figura femminile che ascolta e una maschile che perora la propria causa o vanta qualche sua capacità particolare nel sedurre le donne. Spesso la figura maschile è in piedi mentre quella della donna è seduta, e lo scambio di battute precipita in un finale che dà forma compiuta alla perversione agita nella conversazione. E la conclusione di ogni quadro è sottolineata e sancita dal suono di un campanello collocato sul tavolo, simile a quello che l’avventore aziona entrando in un negozio per richiamare l’attenzione del venditore.

Alcune interviste mi hanno colpito in modo particolare per la loro corrispondenza con certi comportamenti maschili a volte profondamente paternalistici, o cinici e persino crudeli. Paternal, per esempio, è la requisitoria di un marito che non può accettare la decisione della moglie di andare a vivere per conto suo, la offende rinfacciandole la presunta dipendenza dalla figura maschile e conclude il discorso con un perentorio “Tu da qui non te ne vai”.

In La partenza e Lei deve chiudere il negozio, viene mostrato il cinismo manipolatorio del narcisista che, malignamente, ribalta i ruoli indossando i panni della vittima che soffre nell’abbandonare la donna “per troppo amore”.

Mi ha turbato e fatto riflettere, in Radicale, il racconto eseguito dall’attore nei panni del ruolo maschile di una violenza estrema, esercitata su una giovane donna, accostata a quella testimoniata nel libro L’uomo in cerca di senso di Viktor Frankl, sopravvissuto ai campi di sterminio. Non ho letto il libro ma a quanto ne so, Frankl cerca di considerare la tragica esperienza vissuta come materia per l’esplorazione dell’essere umano e della sua capacità di trovare le risorse per superare anche le prove più tremende. Il “nostro” uomo ribalta questo punto di vista fino ad annichilire la sofferenza della donna e a operare la stessa disumanizzazione dell’”altro” praticata dai nazisti.

Chiude la serie la scena intitolata Donna e uomo. Il dialogo verte sulla femminista sessualmente libera che, sostiene l’uomo, in realtà non è così libera perché il maschio non ha cambiato cliché e la giudicherà come sempre, una prostituta, e non la rispetterà. Inoltre, sempre secondo lui, le donne attuali in realtà discendono da quelle preistoriche che, invece di andare a caccia come quelle più autonome, si sottomisero all’uomo e procrearono, perpetuando così la specie.

Perciò per quanto vogliano affermare la propria autonomia, anche le più emancipate discendono da quella tipologia e inconsciamente desiderano che arrivi il cavaliere sul suo cavallo bianco e le sollevi dalla loro condizione. Dopo aver sputato tutte queste sentenze, l’uomo si dichiara innamorato e secondo il più classico degli stereotipi, che però mi trattengo dal rivelare.

Oltre alla spiegazione che offre in un video Paolo Mazzarelli sulla scelta di affidare a un attore maschio anche l’interpretazione della figura femminile, e cioè che l’approccio distorto alla donna è una questione tutta maschile, penso che forse un’altra ragione possa essere la volontà di risparmiare – pur nella finzione teatrale – a qualsiasi attrice la posizione penosa di ascoltare le affermazioni offensive e arroganti contenute nei dialoghi. E se così fosse, sarebbe davvero un buon segno…

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *