Bruno Alpini, un hombre vertical

«Valigie in mano e anarchia in tasca» quest’uomo dalle molte identità morì forse il 14 aprile 1934

Questo è Bruno Alpini… forse

Omaggio a un anarchico, a un combattente, ma soprattutto a un uomo che si è reso libero dalle ingiustizie del mondo.

Questo è Bruno Alpini… o forse no

Una sua foto era doverosa, infatti ci sono foto, molte foto di lui o di chi lui voleva essere in quel momento.

Gli sbirri italiani riescono dopo molti anni e “solo con le più moderne tecnologie” a dargli un volto.

Ma poi ci siamo chiesti, perché rendere facile al lettore quello che gli sbirri hanno impiegato decenni a capire?

Queste sono foto di anarchici schedati in Francia, può essere che ci sia Bruno Alpini come può essere che non ci sia.

A noi piace pensare che anche lui avrebbe voluto così.

Notate l’incredibile rassomiglianza di questo compagno con il vero Bruno Alpini… o forse no

” …Valigie in mano e anarchia in tasca …”

Da qualche parte c’è qualche Cristo che sale stanco e senza scampo una salita”, cantava in un suo brano Piero Ciampi.

Bruno Alpini, figlio di ignoti, nasce il giorno di Santo Stefano del 1902, appena un po’ in ritardo rispetto al cristo clericale.

Solo anni più tardi appare in qualche documento, forse a causa di un riconoscimento tardivo o di un’adozione volontaria, il nome della madre: Gaira Caolini.

Frequenta fino alla seconda elementare. La sua è la vita di un bambino-ragazzino senza fissa dimora, lavoretti saltuari in cambio di vitto e alloggio, tentativi e speranze di imparare un mestiere, una professione artigianale, per vedere soddisfatti i propri bisogni materiali; una tensione verso l’indipendenza che lo porta a riconoscersi in una famiglia più grande di quella che mai ha avuto: è l’umanità, e, in specifico, quella degli anarchici e delle anarchiche, l’ideale libertario, l’universalismo.

L’anarchismo riminese non è in quegli anni una presenza testimoniale, è pulsione popolare, diffusa, sentita, tensione e desiderio che permea il luogo di lavoro e del ludico.

Fin dall’adolescenza, Alpini si porta appresso l’appellativo di Lenin, per il suo entusiasmo rivoluzionario e non certo per affinità ideologiche.

Dopo esser stato a lungo garzone, fattorino e bracciante, Bruno diventa presumibilmente manovale ferroviario, grazie all’aiuto sodale dei compagni di ideale che hanno nel sindacato di categoria una presenza consistente.

E’ un agitatore sociale, è presente alle manifestazioni, alle riunioni, alle conferenze, ai comizi, ha ascendente su tanti altri giovani.

Nel 1920 ha diciotto anni, è finita la prima guerra mondiale, crede che la rivoluzione sociale sia imminente in tutta Europa. A Rimini si redige e si stampa il settimanale anarchico “Sorgiamo!”, in città e nel circondario gli anarchici si contano a centinaia, i repubblicani nel contesto territoriale non sono filofascisti come in altre zone della Romagna, i socialisti sono compagni di strada, il riscontro che si ha da qualunque iniziativa è enorme.

Tutto cambia in fretta, in breve è necessario difendersi non solo dalla repressione statale (speculare al successivo regime), ma dallo squadrismo fascista che da vita a incursioni di matrice militare composte da saccheggi, distruzioni, eliminazioni fisiche degli avversari ed estrema novità per le lotte politiche sociali, ritorsioni sulle famiglie, sequestri generalizzati, incendi di circoli, osterie, cooperative. Una “uno bianca” generalizzata, alla luce del sole o al chiaro di luna, protetta e fiancheggiata dai gangli dello stato.

Per insistere e resistere nel luglio 1921 si costituiscono gli Arditi del Popolo, quelli della canzone (Figli dell’officina) cantata da Pietro Cavallero durante il noto processo negli anni sessanta.

Bruno, esente dal servizio militare, si addestra all’uso della pistola insieme ai compagni, non solo anarchici, teso e orgoglioso in una scelta di vita ineludibile e voluta.

Già il primo agosto viene coinvolto e arrestato insieme ad altri venticinque ferrovieri socialisti e anarchici nel contesto di una celebre montatura: il delitto Platania; questa scansione temporale non è casuale ma un classico modo d’agire delle leve del potere.

Rilasciato durante la fase istruttoria, è braccato dai fascisti durante la spedizione punitiva in grande stile effettuata nel luglio 1922, agli anarchici viene dato il bando dalla città, il quotidiano anarchico Umanità Nova titola “Rimini sotto il tallone fascista”, che ci riporta al titolo del famoso romanzo “Il Tallone di ferro”.

Dal primo al tre agosto 1922 c’è l’ultimo tentativo coordinato del movimento operaio, comunisti esclusi, di contrapposizione allo squadrismo: lo sciopero generale indetto dall’alleanza del lavoro, che è sconfitto militarmente dai fascisti, coadiuvati in varie località dall’esercito.

Terminato lo sciopero le camicie nere con meticolosità e le consuete tecniche militari eliminano gli ultimi baluardi di classe e naturalmente anche le individualità di cui più hanno notato la volontà e capacità di opposizione.

La sera del 6 agosto, cercando di frenarne le scorribande, Alpini spara a due squadristi bolognesi, tali Righetti Antonio e Michelangeli Filiberto; la magistratura emette contro di lui un mandato di cattura.

E’ la clandestinità.

L’8 maggio 1923, altro mandato di cattura inerente al delitto Platania, la magistratura ci ha ripensato, la sua, testuale, è una “complicità necessaria”.

Definito “Anarchico pericoloso latitante”, tramite il Bollettino delle ricerche, è braccato in tutta Italia.

Nello spazio temporale fra questi due mandati di cattura c’è stata la marcia su Roma.

A Bruno non resta che l’esilio, l’espatrio clandestino dal territorio italiano, tramite qualche guida alpina, oppure un macchinista ferroviere che lo nasconda nella cabina del locomotore, un percorso fatto di indirizzi sicuri, appoggi, qualche documento falso, travestimenti, nascondigli, con addosso la ripugnanza alle sconfitte patite e, al contempo, con dentro una illusoria, presuntuosa, rabbiosa certezza di vicina riscossa, sempre più malinconica, una “Vedrai, vedrai” di Tenco cantata non alla madre ma alla società nel suo insieme.

E’ lo stato d’animo dei tanti fuoriusciti antifascisti; e, come per la maggioranza dei romagnoli che cambia aria in quegli anni, anche per lui la prima destinazione è il territorio francese, con le valigie quasi sempre pronte per partire, ma non verso casa.

Nel 1923 è a Marsiglia, ha un passaporto intestato a Grossi Giovanni, e due recapiti: un bar e un ristorante.

Della falsa identità – Grossi Giovanni – viene a conoscenza la polizia italiana.

Anche questo è Bruno Alpini… o forse no

Si sposta a Lione e assume l’identità di un altro attivista anarchico italiano espatriato in quella città, il fiorentino Ruggero Panci.

I documenti sono quasi uguali, differiscono solo la fotografia e i genitori, “l’originale” è figlio di Dario e Argia, l’altro figlio di Giuseppe e Caterina, ambedue nati lo stesso giorno, lo stesso mese, lo stesso anno, nello stesso posto.

Il vero Panci è fuggito dalla violenza fascista ma non ha pendenze penali, è così che Alpini riesce a farsi rilasciare un passaporto dal consolato italiano di Strasburgo il 29 ottobre 1925 in qualità di Ruggero Panci ma con la propria fotografia.

L’omonimia crea confusione agli organi statali, Alpini anche a sua insaputa ha già quattro identità, la sua, quella come Grossi e due come Panci.

Nel luglio del 1926 è in Belgio.

Nel febbraio del 1929 è arrestato a Parigi assieme ad altri cinque italiani imputati per furto e vagabondaggio, ricettazione e porto d’armi proibite: ricostruendo i fatti sembra si tratti di una banda di svaligiatori di casseforti composta da anarchici, socialisti e comunisti.

In solidarietà con gli arrestati si muovono in tanti, ma il ruolo di Alpini in queste vicende resta non chiaro, anche perché dopo un po’ di carcere preventivo é assolto e rilasciato.

Non è un isolato, conosce i militanti più attivi, frequenta i luoghi di riunione e di ritrovo consueti degli anarchici italiani, in Francia e Belgio, con puntate in Olanda.

Ma nessuno, pare conoscerlo per chi è; nemmeno l’avvinghiante intreccio di confidenti, fonti fiduciarie, compagni che cedono qualcosa negli interrogatori.

Nel movimento è conosciuto come “Bruno il Pazzo”, bolognese.

Come tale lo conosce anche la polizia, che indaga su quest’altra identità.

Quasi certamente è anche “Mario”, presente nelle riunioni più importanti a Bruxelles.

I vari delatori ne scrivono spesso, promettendo, garantendo, di volta in volta, di rivelarne il cognome al rapporto successivo.

In quel periodo in Belgio c’è, in particolare a Bruxelles, una vera e propria comunità anarchica di varie estrazioni linguistiche in tutte le sue connotazioni espressive, l’intellettuale, la sindacale, quella strettamente politica come quella d’azione diretta.

Si organizzano attentati, ad esempio quelli di Michele Schirru nel 1931 e di Angelo Sbardellotto nel 1932 a Mussolini, – che “Film d’amore e d’anarchia” e il posteriore spettacolo teatrale “Storia d’amore e d’anarchia” della Wertmuller riecheggiano un po’ – ma anche gli autofinanziamenti, gli espropri, i documenti falsi, i clandestini contatti con l’Italia, le campagne per la liberazione dei detenuti nei gulag staliniani.

Tra il 1929 e il 1931 vengono pubblicate in Belgio, dagli anarchici italiani, tre testate: Bandiera nera – Guerra di Classe – Fede!.

Nell’agosto del 1930 Bruno è in Belgio, fa il calzolaio, così come Vittorio Cantarelli, l’anarchico italiano che fa da trait d’union tra i compagni italiani, ma non solo; Cantarelli fa da riferimento per i contatti con il movimento anarchico belga, con i rifugiati spagnoli, con quelli ungheresi, con il Lussemburgo, luogo di un’altra comunità anarchica italiana.

Questo forte intreccio d’anarchismo profugo, a breve tempo, si sposta in Catalogna, dove è caduta la dittatura di Primo De Rivera.

Il 2 luglio 1931 ritroviamo Alpini a Tolosa, dove cerca di farsi rinnovare dal consolato un passaporto “accuratamente artefatto”, in originale di certo Maggioni Giuseppe (cognato del gestore di una trattoria a Bruxelles, luogo dove secondo il consolato belga, Alpini non è mai stato).

Il console Tamburini lo fa arrestare.

E’ condannato, questa volta come Bruno Alpini, a due mesi di carcere.

Il ministero dell’Interno annota: “Dall’agosto 1922 aveva fatto perdere ogni sua traccia”.

Uscito dal carcere varca clandestinamente la frontiera.

Il primo settembre ritenta: richiede il passaporto come Bruno Alpini al consolato italiano di Barcellona, che glielo nega.

Appena arrivato a Barcellona si trova immerso nell’atmosfera di uno sciopero generale violentissimo, fa subito parte del gruppo di fuoco che difende la sede sindacale C.N.T. edili dagli assalti della polizia.

Per un po’ abita in un albergo che non notifica la sua presenza alla polizia, poi dorme e lavora in una bottega di un calzolaio libertario, un mestiere che ha sempre avuto un’affinità, uno stretto legame con la mentalità classica dei ribelli.

Un confidente segnala che dorme armato e mantiene i contatti con Bruxelles, in novembre lo stesso delatore segnala che è ricercato ovunque dalla polizia spagnola e cambia ripetutamente abitazione.

In dicembre abbandona Barcellona, in giugno un’altra spia lo indica in Russia, informazione sballata fatta avere agli sbirri per depistarli ulteriormente.

E’ a Moncada, nel novembre 1932, ancora intento a svolgere il mestiere di calzolaio, attività che esercita fin da quando si trovava a Lione.

Nel 1933 la polizia italiana, tramite una serie di fotografie, giunge a concludere che Panci è Alpini, o perlomeno anche Alpini.

Ognuno di questi è Bruno Alpini…

Contemporaneamente a Barcellona è in corso una caccia all’uomo da parte della polizia che punta ad eliminare tutti i militanti più determinati dell’anarchismo.

Se alle intimazioni verbali si tenta la fuga c’è licenza di sparare.

Le galere sono piene, si usano anche le stive delle navi per rinchiudere le persone.

Alpini nel marzo 1934 fa il calzolaio in una calle barcellonese, vicino all’abitazione di Buenaventura Durruti. * (vedi nota).

Sono diventati amici in Belgio, valigie in mano e anarchia in tasca per entrambi.

L’ateneo libertario è lì vicino, e se non lì, ci si trova in bottega.

La forza di questi uomini è anche la forza, la determinazione, la fermezza delle loro compagne; della compagna di Durruti si sa, della compagna, di lingua spagnola, di Bruno Alpini, si conoscono solo l’esistenza e le idee, ma non l’identità.

Agli inizi di aprile viene arrestato di prima mattina sul suo luogo di lavoro come “componente di una banda di audaci malviventi”.

L’imputazione appare perlomeno stravagante, dato che la magistratura non dà la convalida dell’arresto.

E’ portato in giro per Barcellona, ammanettato, da quattro poliziotti, per raccogliere prove.

Da questo momento esistono varie versioni dei fatti ma anche delle certezze: Bruno Alpini viene ucciso dalla polizia spagnola; sono dodici le pallottole che gli conficcano in corpo, di cui sei nella testa.

Prima che sia ritrovato il cadavere la stampa ricama un romanzo fatto di veline di questura. Ma ci sono altre versioni:

Solo perché non ha voluto dire o non sapeva quel che si voleva sapere da lui

Bruno Alpini, il matto, come lo chiamavo… Bei matti, sanno gettare in faccia al nemico una vita resa monca da mille triboli” scrivono a ricordo, dagli Stati Uniti alla Svizzera, i suoi compagni.

Bruno Alpini è assassinato probabilmente la sera del 14 aprile 1934.

Il 21 giugno 1934 il Prefetto di Bologna informa il Ministero dell’Interno, la Direzione Generale della Polizia di Stato, il Casellario Politico Centrale, il prefetto di Livorno, l’Illustrissimo Signor Ispettore Generale della Polizia di Stato Commissario Dottore Giuseppe D’Andrea, che tal Bruno da Bologna detto “Il pazzo”, calzolaio, è stato identificato per Bruno Alpini di ignoti nato il 26 dicembre 1902 a Rimini.

Un anarcosindacalista della C.N.T., suo grande amico, per vendicarne l’omicidio spara al Comisario General de Orden Público, ma durante il tentativo viene ucciso dalla numerosa scorta.

* sulla figura di Buenaventura Durruti consultare l’opera di Hans Magnus Enzensberger La breve estate dell’anarchia. Vita e morte di Buenaventura Durruti. Nato nella clericale Leon il 14 luglio 1896 Durruti, rivoluzionario anarchico spagnolo, è sindacalista della CNT (Confederaciòn Nazional del Trabajo) e soprattutto elemento di spicco della guerra civile spagnola. Fin da giovane partecipa ai sommovimenti popolari contro esercito, monarchia prima e dittatura dopo. Costretto all’esilio ripara in Francia, Sudamerica, Germania, continuando sempre e comunque la lotta lecita e illecita per procurare armi e fondi che saranno indispensabili al movimento anarchico durante la rivoluzione del 1936.

Grandioso oratore e trascinatore, muore a Madrid il 20 novembre 1936. Svariate le versioni sulla morte, Enzensberger dà credito all’ipotesi dell’incidente, praticamente Durruti venne ucciso dal suo stesso mitra, che urtò per distrazione il predellino dell’auto dalla quale stava scendendo.

“Perché Che Guevara sembra un boy scout confronto a Durruti!” (Daniele Mingotti dopo aver letto “La breve estate dell’anarchia”).

Il terzo è Bruno Alpini, ma anche il settimo, il quindicesimo e l’ottantaduesimo.

Le Edizioni Bruno Alpini è una non-editrice indipendente, caratterizzata dalla scelta radicale di porsi “fuori mercato”. I vari titoli pubblicati non vengono infatti distribuiti commercialmente nei negozi ma offerti in cambio di una sottoscrizione libera e responsabile che, tolte le sole spese di realizzazione, va a sostegno della stampa anarchica e dell’Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana www.asfai.info.

Edizioni Bruno Alpini offre parole/suoni/immagini senza confini né obbligati a classificazioni: non viene preferito un genere specifico, in catalogo sono presenti progetti inediti e ristampe, materiali nuovi e ricostruzioni da materiali perduti e ritrovati. l’idea di fondo è mantenere uno spazio aperto, consapevolmente marginale, per parole/suoni/immagini non rassegnati: uno spazio utilizzato per diffondere controcultura ispirata da sentimenti pacifisti, anarchici e libertari.

non in vendita

offerta libera e responsabile

editado por la

ASOCIACIÓN CULTURAL BRUNO ALPINI

 

 

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

4 commenti

  • (dall’estero)
    Buongiorno. Non ero presente, non ero ancora nato -chiunque scrive su fatti storici non dovrebbe mai perdere di vista questa evidenza… Pero non mi sembra convincente qui sopra, a proposito di Bruno Alpini, la parola : “Quasi certamente è anche “Mario”, presente nelle riunioni più importanti a Bruxelles”. Infatti il personaggio il più influente del gruppo di Brussele, dalla metà dell’anno 1930 cioè quando fu espulso dalla Francia non era altro che Mario Mantovani ; e dalle conversazioni che ebbi con Pietro Montaresi, anche lui del gruppo non risulta che facesse uso di… altro nomi.
    Cordialmente

    • Buongiorno Luc, ringrazio per le sue considerazioni, riguarderò tutte le carte del CPC e altre per una verifica del perché ad un certo punto se ne esce come “Mario” e a Bruxelles. Sicuramente non era Mario Mantovani, personaggio troppo conosciuto e facilmente individuabile dalle schede segnaletiche. Ipotizzo che il nome “Mario” fosse uno dei tanti che si dava o che si facesse passare anche per Mantovani. Leggendo il corposo CPC e altre carte si fa molta fatica a capire quante vesti abbia realmente indossato. Preciso che il dipanare la matassa non è stato semplice e qualcosa può essermi sfuggito. Le foto non provengono dal CPC ma fanno parte di un notevole numero di foto di anarchici francesi schedati. Volutamente non ho messo nessuna delle foto sue. Ho voluto continuare, in questa maniera, il suo dover avere molteplici identità. La ringrazio perché mi da stimolo per riprendere gli studi su di lui e riguardarmi, facendomi grasse risate, il suo corposo fascicolo del CPC. Sembra un giallo e alcune parti rasentano la comicità.

      Sono tra i curatori dell’ASFAI (Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana – http://www.asfai.info/info.asfai@libero.it) che si trova ad Imola e subito mi ha incuriosito la sua preparazione e conoscenza. Che abbia poi avuto rapporti con Pietro Montaresi è ancor più interessante. Di questi colloqui ne ha conservato traccia? Ha documenti o materiale riguardante quel periodo? Siamo sempre interessati ad acquisire, in originale o in copia non fa differenza, nuove testimonianze o materiale. Già la sua sarebbe preziosissima.
      Con l’occasione la saluto cordialmente e spero di poterla risentire presto.
      Claudio Mazzolani

      nb.: il Fondo Mantovani è presso l’Archivio http://www.asfai.info/catalogo_fondi.php?id_fondo=24

      e mi piacerebbe, sono tra i curatori dell’ASFAI (Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana – http://www.asfai.info/info.asfai@libero.it) che si trova ad Imola, poter avere la possibilità

  • Buongiorno Claudio,
    come probabilmente sai l’itinerario di Pietro fu quello di molti del gruppo di Brussele : Spagna, 1936, campo del Vernet d’Ariège 1939, estradizione verso l’Italia fascista… Però fu uno dei pochissimi a far ritorno laggiù dopo la seconda guerra mondiale ; me ne ha detto un po di più su questi momenti.
    Non so troppo ciò che gli valse di essere liberato nel ’43 -infatti il PCI si opponeva alla liberazione dei confinati anarchici. Prima, aveva fatto richiesta -rifiutata- di essere trasferito dalle isole Tremiti a Ventotene (dove di ogni evidenza sperava di poter essere in contatto con compagni). In un primo tempo fece allora da lavapiatti coi Canadesi del corpo spedizionario. Poi fu impiegato dagli Inglesi a Napoli a caricare i cibi sui camions perché i fascisti, nel loro ritirarsi, facevano opera di sabotaggio ferroviario. Poi fece da mecanico dagli Inglesi, che poi si trasferirono al Monte Cassino, però a questo punto vi fu un problema da lui spiegato loro in questi termini : “morire per le mie idee, sono d’accordo, ma per i mercanti di arme dico di no”. Il capitano pensò prima di trovarsi davanti a breve fantasia però dopo tre giorni gli fece dire che un camion lo porterebbe a Termoli, dove ebbe una “borsa di lavoro” (il termine è suo). Gli ebrei del battaglione della 8a armata britannica avevano allora bisogno di mecanici ; rimase con loro 17 mesi. Alla fine delle ostilità si approntava a tornare a Brussele, non si sa troppo come, dopo essere stato congedato alla frontiera però il giorno prima della partenza degli Inglesi per Breda (i camions erano allora a Monterosso, accanto alla frontiera austriaca) il capitano lo fece chiamare e gli fece questo discorso : “sarebbe da parte nostra maleducato, il lasciarLa qui : è da tanto tempo che Lei è con noi… Però, ci è vietato trasportare con noi dei civili, Lei non dovrà uscire con dei soldati” ; gli fu detto che non avrebbe che a mangiare a bordo del camion -il che, nei fatti, non fu neanche necessario… Dopo sei giorni di viaggio giunserono ad Aleuse. Qui, chiese il favore di poter inviare un messaggio a sua compagna brusselese, a scopo d’informarla di un suo prossimo ritorno, però finalmente lo lasciaronò davanti a casa sua.
    Ho preferito lasciare qui, per la fine, une scena dove la realtà può sembrare di soperare la finzione -però credo di dover aggiungere che Pietro era persona affidabile ; comunque, dagli elementi di tempo e luogo da me ricordati, dovrebbe essere possibile far verificazione. Sul tragetto del ritorno i camions si fermarono a… Milano. E Pietro si senti dire, ad alta voce :
    – come on, Pietro, come on, look who’s there !
    La scena, avrai capito, si svolgeva Piazza Loreto… La risposta di Pietro fu quella (non ne faccio la traduzione, trattandosi di restituire la mistura di francese e d’italiano delle nostre conversazioni ; di più, parlava chissa con loro in inglese) :
    – si je veux voir des jambonneaux qui pendent, je vais chez le salumiere.
    Augurandoti bel lavoro nel CPC ed altrove.
    Luc Nemeth

  • Siamo oltre il ridicolo, vedo ora come è utilizzato il mio scritto (con qualche contributo in un festoso pomeriggio di Daniele Mingotti e B.D.S.) dal ……. di regime
    (non mi riferisco a Daniele Barbieri).
    Che dire? Cosa esprimere che poi “la bottega” non censuri?
    E riguardo gli auguri di lavoro nel CPC di questo simpatico Luc a Claudio Mazzolani?
    Bah. Senza commenti.
    Un ricordo affettuoso quanto drammatico per Daniele Mingotti.
    Ti rammento sempre Daniele, con rammarico, affetto, nostalgia …
    Ti abbraccio di volontà come se potessi farlo, come non ho forse mai fatto.
    Ricordi quando facevamo Paz dei Severini ? Va beh, non ti sei perso niente.
    Marabbo

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