Brynard, Dard, Deighton, Dexter, Faletti, Lansdale e Swanson

7 recensioni (giallo-noir) di Valerio Calzolaio

Peter Swanson

«Senti la sua paura»

traduzione di Letizia Sacchini

Einaudi

356 pagine per 18,50 euro

Boston. Primavera. La giovane Katherine Kate Priddy è originaria di Braintree nell’Essex e arriva da Londra, per la prima volta negli Stati Uniti. Ha scambiato per sei mesi il suo trilocale con il bell’appartamento (con vista sulla città e sul fiume Charles) del cugino Corbin Harriman Dell, si è iscritta a un corso di grafica digitale. Fin da piccola soffriva di disturbi d’ansia e ora vuole tentare di cambiare aria dopo quanto le è successo qualche anno prima: il rischio di morire per mano del fidanzato, due giorni chiusa nell’armadio, la paura che ancora la pervade, niente più sesso, le frequenti crisi di panico, mantenendo sempre a portata di mano pillole di benzodiazepine. Proprio nel cuore della notte del suo arrivo, viene uccisa in casa la vicina di pianerottolo, Audrey Marshall, bionda e fragile. La polizia dice e spiega poco ma la scena del crimine doveva essere molto sanguinolenta e cruenta, la detective Roberta James chiede di dare un’occhiata anche da lei. In giardino incontra un ragazzo ebreo magro con lineamenti strampalati, un volto bello e triste, Alan Cherney, lui osservava spesso dalla finestra la vita casalinga della vittima, era divenuta quasi una mania, forse innamoramento (specie dopo che si era lasciato con Quinn). Andando a fare spesa il giorno dopo Kate s’imbatte in un ragazzo dai capelli rossicci, Jack Ludovico, lui era amico e invaghito della vittima. E lei inizia a disegnare schizzi di tutti quelli che incontra, i suoi quaderni sono sempre stati pieni di ritratti abbozzati. Entrambi i giovani hanno alluso a una qualche relazione di Audrey col cugino, più o meno segreta, a Kate cominciano ad accadere cose strane (disegni leggermente cambiati, chiavi e oggetti spostati, bagno visitato), c’è di che aver paura.

Il bravo scrittore americano Peter Swanson (Concord, Massachusetts, 1968) ha forse due costanti finora: Old e New England, vari protagonisti a incastro. Questa volta narra in terza persona sui vari protagonisti (tutti tra i 25 e i 30 anni), via via che si dipanano e intrecciano le loro storie: Kate, Alan, Corbin, Jake. Hanno alle spalle intense dinamiche emotive ed episodi noir, scavando indietro emergono anche legami insospettabili e omicidi mai risolti. La struttura è convincente ma capita pure che annoi un poco: i singoli diversi punti di vista trattano storie non egualmente torbide e violente, sempre paurose ma distanti, nel tempo, nello spazio e nelle emozioni; taluno è immerso nel terrore, tal altro teme per altri o gode per il timore altrui. In realtà, il caso si risolve in soli quattro giorni, pur se cronache e ambientazioni fanno riferimento a vicende del passato in giro per colleges e cottages, birre e caffè di Inghilterra e Massachusetts. Qualcosa c’entrano il regista newyorkese Stanley Kubrik (1928-1999) e alcuni suoi capolavori: Odissea nello spazio (1968), Arancia meccanica (1971), Shining (1980). Grandi quantità di vino bianco e rosso, più a casa che in giro, senza distinzione di odori, sapori, gusti, abbinamenti. La musica giusta per riprovare a fare l’amore è il buon solido datato jazz, e soprattutto una delle infinite versioni musical di Bewitched, Bothered and Bewildered (1940). Però, quando il gioco si fa duro, i cattivi, non a caso, si sparano a tutto volume Brotherhood dei New Order.

 

Frédéric Dard

«Gli scellerati»

traduzione di Elena Cappellini

Rizzoli (originale: 1959)

204 pagine, 17 euri

Léopoldville, alle porte di Parigi. Primi anni Cinquanta. Louise ha 17 anni e lavora in fabbrica, nel tempo libero ama molto leggere. La madre è opprimente, il patrigno umile timido alcolizzato, spesso disoccupato. Vede nel giardino lungo la strada una coppia di spensierati americani, i Rooland, lui un 35enne rossiccio funzionario alla Nato, lei più giovane, mora, gran fumatrice. Decide di proporsi loro come domestica tuttofare, trasferendosi nella colorata villetta a due piani. Inizia una nuova vita, ben presto colma di desideri e segreti, passioni e tensioni. Inevitabilmente non durerà a lungo. Il bel romanzo, narrato in prima persona, di Frédéric Charles Antoine Dard (1921-2000), “Gli scellerati”, ha come incipit la definizione del Larousse: «Scellerato: colpevole o capace di crimini». Appunto. L’autore divenne poi famosissimo per la serie poliziesca del commissario Sanantonio, qui l’atmosfera è sempre leggera ma torbidamente infantile.

 

Karin Brynard

«Terra di sangue»

traduzione di Silvia Montis (dall’inglese)

Edizioni e/o

2018 (originale 2009: «Weeping Waters»)

542 pagine, 19 euro

Sudafrica, Northern Cape. Circa dieci anni fa. L’ispettore quarantenne bianco Albertus Markus Bert Beeslar, alto ben 1,95, capelli neri e tratti forti, pallido e cupo, viene avvisato del massacro in una fattoria: sono state uccise la proprietaria pittrice bianca di 33 anni (Freddie) e la bambina di quattro che stava adottando (Klara, affetta da sindrome alcolica fetale). Beeslar è uno che lavora sodo, di vecchia scuola, finché un caso non viene risolto 14 ore al giorno, niente straordinari weekend riposo; ha amori lontani e tragedie nel passato, la rossa Gerda non vuole più vederlo dopo gli orribili casini accaduti anche con i figli di lei a Johannesburg, prende ormai regolarmente anticonvulsivi contro la sindrome da stress post-traumatico, poi lo hanno punito per le botte a un collega (violentatore di donne), ora da un paio di mesi è stato mandato in un minuscolo luogo remoto quasi di confino. In quell’area aspra, poco densamente popolata convivono etnie diverse e stratificate, sono in corso un’ondata di furti di bestiame (pecore e bovini) e assalti alle fattorie (afrikaans), il tasso di omicidi è divenuto il più alto di tutta la nazione, al riarmo generalizzato della criminalità organizzata e degli odi razziali sembrano aggiungersi rivendicazioni di nativi e potenti interessi immobiliari intorno alle terre. Arriva da Cape Town Sara Swarts, sorella più piccola di Freddie, giornalista ambientalista, minuta e atletica, occhi verdi e capelli scuri (spesso con la coda), attraente spavalda tignosa. Non si vedevano da un paio d’anni, avevano litigato e, nel frattempo, il padre era morto accudito dalla figlia maggiore. C’è qualcosa che non torna nel rituale macabro dell’omicidio.

La bozza di questo bell’esordio letterario della giornalista politica Karin Brynard (Koffiefontein, 1975) era di oltre mille pagine, uscito ridimensionato nel 2009 in afrikaans, poi tradotto in inglese nel 2014, ora finalmente in italiano. Trasuda intimità verso quell’ecosistema complesso a 900 chilometri da Città del Capo, sia per l’arido contesto selvaggio del veld (sabbia rossa, crateghi, alberi nani, rocce di dolerite nera, miniere di ferro e manganese, leoni del deserto, babbuini ammaestrabili) sia per il mosaico etnico non solo del post-apartheid (boscimani, Griqua, meticci, ognuno con relative lingue e riti). Segnalo lo slogan lanciato dopo la morte del leader del partito comunista sudafricano Chris Hani nell’aprile 1993 (quando i moti da guerra civile furono calmati dall’apparizione a reti unificate di Mandela, ancora semplice cittadino): “uccidi, il boero, uccidi il colono”. In realtà, come spiega Beeslar, «il mondo è pieno di persone fuori di testa. A volte sono bianche, a volte nere. Ma sono pazze allo stesso modo». La lenta fluida narrazione di quell’intensa violenta settimana è in terza sull’investigatore e sulla giornalista, due diversi approcci emotivi che si alternano, incrociano, sovrappongono, apprezzano (senza amore) in una terra di acque piangenti, intrisa di sangue che sporca le mani a tutti (da cui i titoli, originale e italiano). S’incontrano innumerevoli rimarchevoli personaggi. Birre e vino (da Stellenbosch) non mancano mai. Mozart, Bach, Vivaldi per Beeslar, il cantante pop Bok van Blerk per i boeri che celebrano l’indipendenza.

Colin Dexter

«La morte mi è vicina»

traduzione di Luisa Nera

Sellerio

462 pagine, 15 euro

Oxford. 1995. Il diabetico e poco udente Colin Dexter (1930-2017) è stato un docente inglese di greco e latino, specialista in enigmistica e parole crociate, magnifico ironico scrittore di genere. I 13 romanzi con protagonista l’ispettore Morse (e il fido recalcitrante sergente Lewis) della Thames Valley Police sono datati 1975-1999 (tradotti a suo tempo nel Giallo Mondadori), la televisione inglese ne trasse una serie di 33 episodi trasmessa anche in Italia; serie connesse continuano ancor oggi. “La morte mi è vicina”, penultimo, è del 1994, classico come sempre, colmo di citazioni divertenti ed erudite. La narrazione è in terza varia al passato, brevi tratti in punta di piedi dedicati ai vari agiati personaggi. Qui la vittima è la bella single 29enne Rachel James e l’indagine coinvolge l’intero mondo universitario alla vigilia dell’elezione del nuovo Rettore, un nido di serpenti. L’incantevole malinconico Morse, appassionato di Wagner

 

Giorgio Faletti

«L’ospite»

Einaudi (i due racconti originali – 2005 e 2008 – nelle raccolte «Crimini»)

122 pagine, 13 euro

Roma e Asti. Anni fa. Il furbo cronista Riccardo Falchi chiede alla bella nipote 18enne Sara le diapositive della vacanza in Guadalupa, per caso ha visto che c’era Walter Celi e lo scoop può valergli centomila euro. Però alla fine capisce perché è scomparso dopo la morte della moglie, più di una ragione lo giustifica, finirà per averne paura nel dorato mondo della capitale, anche se apprezza i nuovi amori. Un uomo arriva nella città piemontese, consapevole della decisione che ha preso; un molestatore e ladro sta facendo i suoi giri, viene prelevato e poi trovato impiccato, forse suicida; il commissario capisce chi si vendica con intelligenza; un altro uomo conferma la propria decisione. Ecco insieme i racconti scritti da Giorgio Faletti (1950-2014) per le raccolte dei maggiori giallisti italiani di inizio millennio, ora riuniti nel volume “L’ospite”, uno narrato in prima persona, l’altro in terza persona varia, secchi arguti godibili, pur di disperata malinconia., potrà dedurne satiriche storie.

 

Joe R. Lansdale

«Il sorriso di Jackrabbit»

traduzione di Luca Briasco

Einaudi

250 pagine per 17,50 euro

LaBorde e Marvel Creek, East Texas. Un sabato di aprile, ai giorni nostri. Hap Collins e Brett Sawyer, rossa risoluta, si sono appena uniti in matrimonio davanti al giudice di pace, wow! Al picnic nuziale arrivano gli affetti più cari, parenti come Chance, figlia adulta dello sposo recentemente acquisita, il fratello di fatto Leo Pine col fidanzato poliziotto Curt Cucciolo Collins e il capo Marvin Hanson, Felicity e Reba, Manny e Cason. Poi, d’improvviso, da un pick-up bianco scendono due razzisti, morte e distruzione sono sempre in agguato. Si tratta di Judith Mulhanew e dell’aggressivo figlio Thomas, si sono rivolti alla loro agenzia investigativa (dopo il rifiuto di tutti i pochi colleghi della zona) per cercare l’altra figlia maggiore Jackie, attraente e ribelle, chiamata Jackrabbit per i grandi denti davanti, poco più che ventenne, contabile grande esperta di numeri, matematica e ragioneria. Se n’era andata cinque anni prima in un paesotto lì vicino, Marvel Creek (dove Hap è cresciuto), all’inizio stava con l’omaccione che gestiva la discarica, ma da qualche mese nessuna l’ha più vista. L’anticipo è modesto, decidono comunque di provarci, fanno un sopralluogo, domandano in giro, pare che la ribelle ragazza si sia messa con un nero e abbia avuto un figlio, pare che il padre sia appena morto essendosi pagato un efferato suicidio. Tuttavia le domande attirano guai, soprattutto non piacciono ai segregazionisti del Professore, uno strano inquietante tipo, ben piazzato e di bell’aspetto, capelli corti e faccia liscia, falso sorriso smagliante e radioso, ricco e potente, che manovra tanti per far vivere separate le razze, da una parte i bianchi (come lui) dall’altra i neri (inferiori). Ha protezione violenta e vari segreti. Per contare i morti non basteranno le dita delle due mani.

Decimo bel romanzo della divertente intelligente serie noir hard-boiled di Joe R. Lansdale (Gladewater, 1951). Hap e Leo, quasi due lati dello stesso personaggio, sono ancora in gran matura forma e subiscono un invecchiamento rallentato (la prima avventura uscì nel 1990). Hap è un bianco di buon cuore e linguaccia lunga, castano, un metro e ottanta, veloce e tenace, pigro ma orgoglioso, fin dal liceo capace di vivere dimostrando di non essere razzista, brevemente sposato, uccide da sempre il meno possibile, esperto di Hapkido e arti marziali, vota democratico quando ci va. Leonard è nero macho grosso, elegante megachecca impaziente, decorato in guerra, adora cani e biscotti alla vaniglia, uccide i cattivi di gusto, ordinato pulito atletico, ormai brizzolato e rapato a zero, elettore repubblicano se vota. Come sempre, stile e linguaggio sono molto curati: è Hap a raccontare in prima persona al passato, alter ego dello scrittore, “ateo morale”, narrando l’indagine hard-boiled inframezzata dai dialoghi (sul mondo) della pirotecnica complicata imperfetta coppia. Questa volta piove sempre e la sfida western finale si svolge nella puzzolente sanguinolenta fattoria dei maiali. L’autore si confronta col pessimo razzismo dei tempi andati, si ispira a cronache odierne e descrive il clima emotivo purtroppo egemone in Occidente, populisti nazionalisti xenofobi suprematisti (bianchi), i nuovi negri sono gli immigrati: odio e pregiudizio, ignoranza e cattiveria, disinteresse verso ogni forma di cultura e orgoglio di non sapere. Leonard atterra chi ha colpito Hap e subito canticchia un paio di strofe di una canzone di Kasey (Lansdale), Sorry Ain’t Enough!

 

Len Deighton

«SS-GB. I nazisti occupano Londra»

Traduzione di Simona Fefè

Sellerio (originale 2009)

498 pagine, 15 euro

(Berlino e) Londra. Febbraio 1931. Len Deighton (Marylebone, 1929) esordì come grande scrittore con The IPCRESS File (1962) e fu subito bestseller, ha pubblicato di tutto di più, romanzi sceneggiature saggi, spy-storie in serie, libri di cucina, guide di viaggio, storia militare, grafiche e illustrazioni. “SS-GB. I nazisti occupano Londra” è l’ultima inarrivabile fiction. Sembrava impossibile immaginare cosa sarebbe successo se gli inglesi avessero perso all’inizio della Seconda Guerra Mondiale e fossero caduti sotto il dominio tedesco. Prova, ci riesce. Prende un investigatore di Scotland Yard, Douglas Archer; pensa a una trama convenzionale, cadavere all’inizio e soluzione del caso alla fine; si trasferisce in Toscana con moglie e figli piccoli, vicino Lucca, dalle parti di Barga (cognome di Barbara, la giornalista americana che si lega al protagonista nella finzione letteraria); scrive di conflitti armati, occupazione e doppio gioco, programmi di ricerca atomica, affetti. Bene.

 

Redazione
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