Bussetti vuole imporre a scuola un nuovo..

… verbo:«non essere uguali»

di Daniela Pia

Martedì, aprendo il sito del Miur, ho letto con profondo sconcerto una dichiarazione del ministro Marco Bussetti: «tuteliamo i figli dei migranti ma prima gli italiani. 

Mi sono chiesta in che cosa intendesse concretizzare questo “prima”.

Differenziando i banchi? O la ricreazione? I libri forse? La mensa allora? Con pastasciutta e carne agli italiani contro cracker e tonno ai figli di migranti?

Non riuscivo a capacitarmi. In 31 anni ho girato in lungo e in largo confrontandomi con realtà scolastiche molto diverse: situazioni di abbandono, di deprivazione, isole felici e isole indifferenti. Posso affermare che la ricchezza più grande l’ho trovata, non senza difficoltà, fra le classi in cui la diversità metteva a confronto esseri umani di provenienza differente, con il loro bagaglio culturale fatto di lingua, religione e aromi unici. 

La scuola (pubblica) della Repubblica nella quale vivo e lavoro quotidianamente offre un ampio spettro di condivisione, non sempre idilliaco, che costituisce però quanto di più prezioso si possa offrire nella costruzione di una società giusta e equa.

Insegnare i valori della Costituzione scaturita dalla lotta al fascismo ritengo sia un dovere imprescindibile per chi svolge questo lavoro, nel quale è indispensabile ricordare continuamente che nella diversità si sceglie di essere liberi, come la Storia insegna: uomini e donne si sono battuti perché la discriminazione fosse cancellata e gli abusi rinnegati. 

Per questo anche hanno lavorato i Padri costituenti e lo hanno stabilito soprattutto nell’articolo tre, fra i princìpi fondamentali, affermando: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Un concetto che troviamo nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo all’articolo 1: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».

Ma se dobbiamo insegnare cittadinanza e Costituzione sento che qualcosa non torna: quale idea di fratellanza promuove il ministro dell’Istruzione, nel sito del “suo” ministero, affermando che «tuteliamo i figli dei migranti ma prima gli italiani»? Credo che le sue parole dovrebbero essere oggetto di una indagine semantica, sociologica e filosofica.

Noi contadini della parola che seminiamo – con gli esseri umani che abbiamo davanti, in una scuola sempre più multietnica – non abbiamo molto tempo per addentrarci in queste speculazioni. Di una cosa però siamo certi: davanti a noi, in quei banchi non ci sono prima gli italiani ma studenti e studentesse che vorremmo fossero capaci di sentirsi uguali come noi li vediamo.

In quelle aule lavoriamo per l’integrazione, crediamo che la funzione formativa della scuola debba essere finalizzata a trasformare le diversità in occasioni di confronto, di crescita e di scambio. Siamo convinti che a studenti-studentesse provenienti da altri Paesi, soprattutto extracomunitari, debbano essere offerte le medesime opportunità educative e per queste ragioni non possiamo che dissentire dall’inopportuno slogan propagandistico apparso sul sito del MIUR. Richiamando l’ammonimento con il quale Primo Levi, quarantadue anni fa, prima di morire, ci metteva in guardia: «C’è ancora un fascismo, non necessariamente identico a quello del passato. C’è un nuovo verbo: non siamo tutti uguali, non tutti abbiamo gli stessi diritti. Dove questo verbo attecchisce, in fondo c’è il lager».

Memoria si chiama: parole da scolpire nella nostra mente e in quella dei nostri studenti, a qualunque “razza” appartengano, da qualunque luogo giungano, con qualunque mezzo siano approdati qui.

Lo si sappia, lo sappia soprattutto questo ministro così dimentico della storia e del ruolo della scuola di tutti/e. Non ci sono colori con vie preferenziali da noi; nemmeno il verde.

LA VIGNETTA – SCELTA DALLA “BOTTEGA” – E’ DI MAURO BIANI

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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