Bussi, Carlotto, Cassar Scalia, Macchiavelli, Martinez e…

… e un doppio Cercas

7 recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio

Javier Cercas

«Terra alta»

traduzione di Bruno Arpaia

Guanda

378 pagine, 19 euro

Gandesa, Terra Alta, Catalogna. Giugno 2021. Il poliziotto quasi trentenne Melchor Marín è ancora in ufficio durante il turno di notte. Quasi all’alba lo avvisano che ci sono almeno due morti nella masseria degli Adell, arrivando li ha trovati la cuoca ecuadoriana, due fagotti sanguinolenti. I cadaveri nel salone, meticolosamente torturati e mutilati, sono i due anziani religiosi ricchissimi padroni di casa, l’ultranovantenne austero imprenditore Francisco era il padrone della Gráficas Adell e di mezza cittadina. Hanno ucciso anche la domestica romena, nella sua stanza con un colpo in fronte. Non ci sono tracce di furto. Arrivano i vari poliziotti della zona. Melchor pensa che la scena sembri un rituale opera di professionisti, dice qualcosa ad alta voce, non tutti sono d’accordo. Il viceispettore Barrera, il sergente Blai e l’intera locale piccola Unità investigativa al completo lascia spazio e comando al viceispettore Gomà, nuovo capo dell’Unità territoriale di Tortosa, che forma una squadra con i propri agenti, quelli della Scientifica e solo due di Gandesa, Melchor e il caporale Salom. Lavorano per settimane; sospettano dell’aitante marito dell’unica figlia, del vecchio amministratore delegato, di altri dirigenti dell’azienda; riflettono sulla recente affiliazione all’Opus Dei e sulle motivazioni possibili della crudele esecuzione; ma non trovano indizi e piste. Melchor è felicemente sposato, s’intestardisce comunque, ha una storia precedente a Barcellona di adolescenza criminale e di investigazioni solitarie che lì pochi conoscono. Madre prostituta e padre ignoto, orfanatrofio, aveva presto cominciato a spacciare, era finito in galera. Dentro, aveva deciso di entrare nel corpo dei Mossos, soprattutto per trovare gli assassini della madre. Ci era riuscito e nel 2017 si era trovato a eliminare con grande mira e successo un gruppo terroristico. Poi, per proteggerlo, lo avevano allora spedito nella Terra Alta, dove aveva incontrato l’amata Olga (più grande di 15 anni) ed era nata la piccola Cosette.

Splendido romanzo del filologo, traduttore, saggista e grande scrittore spagnolo Javier Cercas (Ibahernando, Cáceres, Estremadura, 1962), alta letteratura. La narrazione è in terza persona fissa sul protagonista, alternando capitoli sull’efferato delitto contemporaneo (al presente) e capitoli sulla sua biografia (al passato), segnato dalla lettura in carcere di una spessa opera in due volumi, I Miserabili. Finì quel romanzo commosso, con la certezza di non essere più la stessa persona che aveva iniziato a leggerlo, e che non lo sarebbe più stata, innanzitutto perché scelse di continuare a leggere molto. Analoga certezza avrà molti anni dopo, conosciuta e sposata Olga, la bella bibliotecaria del paese. Nel corso del tempo lo rileggerà ancora centinaia di volte e gli accidenti esistenziali lo porteranno a identificarsi nel profondo, nei vari momenti, con ognuno dei personaggi principali. E, a capire meglio, contraddizioni e plurivalenze della storia collettiva e delle vite personali, lui che ha imparato a fare a meno di cocaina e alcol, beve solo Coca Cola. Non a caso, anche rispetto alla guerra civile spagnola (che molto interessò la Terra Alta), Olga osserva che “le vere ferite sono altre. Quelle che nessuno vede. Quelle che la gente tiene segrete. Sono quelle che spiegano tutto”. Del resto, la vita civilizzata consiste nell’imparare a convivere in maniera ragionevole con la frustrazione. La Terra Alta è una delle 41 comarche della Catalogna, con una popolazione di quasi 13 mila abitanti; fa parte della provincia di Tarragona (che comprende 10 comarche); appare come una povera pietraia di perdenti, un territorio scosceso, deserto, inospitale, agreste e isolato, a circa due ore mezza di macchina da Barcellona, verso sud (da cui il titolo). Buon vino rosso a chilometro zero con abbinamenti italiani: aceto di Modena, maccheroni alla bolognese. Non ha alibi chi resta a casa da solo ad ascoltare l’opera, quella sera Il crepuscolo degli dèi del maestro Wagner.

Massimo Carlotto

«E verrà un altro inverno»

Rizzoli

230 pagine per 16,50 euro

Una valle veneta. Estate e autunno 2019. Roberto Robi e Michele Michi Vardanega sono due cugini coetanei uniti da una complicità speciale, poco sveglio e prestante il primo, subalterno, furbo e opportunista il secondo, già sposato, legati affettivamente a due sorelle, Sabrina e Alessia Cappelli. In paese hanno un lavoro precario, ora sono disoccupati e accettano un po’ di soldi per minacciare il ricco colto raffinato 50enne Bruno Manera, da dilettanti: cinquecento euro per squarciare le gomme della bella Volvo, mille per bruciare l’auto nel giardino della villa, tremila infine per pestarlo ben bene. Sgraffignano una Fiat Punto (l’unico modello che sono capaci di scassinare) e si procurano una pistola (dall’unico pregiudicato della zona, Fausto Righetti, detto il Riga). Manera viene dalla città, là si era affermato e arricchito come imprenditore immobiliare; un anno prima, ormai rimasto vedovo da tempo, si era risposato con la bella 35enne locale Federica Pesenti, appartenente a una delle note famiglie maggiorenti del paesino, pur colpita negli ultimi anni da qualche avversità economica. Si sono trasferiti insieme, ma Bruno non si è ben inserito, la moglie non lo ama più e vuole separarsi, l’imponente comandante della stazione dei carabinieri Piscopo lo considera un eccentrico intruso portatore di guai e intrallazzi. Quando i cugini affrontano Bruno e, dopo essersi infilati i passamontagna, gli menano, Michi punta l’arma e gli intima di andarsene dalla valle, ma l’uomo ha una crisi isterica e urla. Robi prende la pistola e spara, un colpo fracassa la clavicola, l’altro si pianta sul ginocchio. La riabilitazione è complessa e travagliata, Bruno parla solo con un’attempata guardia giurata della banca, Manlio Giavazzi, che lo avvisa circa l’amante della moglie, il 36enne consulente finanziario Stefano Clerici, e gli consiglia di tenere un diario e facilitare che Federica lo legga, giusto per forzare un chiarimento. Il fatto è che Manlio si sente perseguitato e ha una storia terribile alle spalle, il figlio bulimico si è ucciso ingozzandosi di marron glacé, la moglie se ne è andata. Niente di buono all’orizzonte, tante regie, morti e assassini non saranno pochi.

Il grande scrittore Massimo Carlotto (Padova, 1956) invecchia bene come i distillati di qualità. Con il nuovo ottimo lineare romanzo si concede umori inediti nello sfondo criminale del noir e ci fa gustare un’inconsueta ambientazione strapaesana, strabordando i confini del genere per descrivere l’acida morbosità e la pervasiva illegalità diffuse nelle piccole comunità. Narra in terza varia al passato, i pensieri e i comportamenti dei vari personaggi, tutti legati da segreti inconfessabili e dalla complicità residenziale. Inutile dare un nome alla collocazione geografica, possiamo riconoscere una dinamica sociale a tre ore d’auto da Cortina, un posto vale l’altro, ogni specificità va considerata aggiornabile, così come ogni novità risulta dimenticabile. Quel che conta è l’ambito collettivo ristretto che distingue solo maggiorenti e non maggiorenti, fisicamente contigui seppur comunque separati; oppure i forestieri. Ci sono pettegolezzi, voci, chiacchiere, omertà, diffamazioni, gelosie, invidie, rivalità, sotterfugi, equivoci, riti, convenzioni, intrighi, sfruttamenti, ricatti, stratificazioni sociali, quanto è proprio di un paesino dove nessuno sembra interessato a perseguire la responsabilità personale di un crimine e sembrano sempre valere i due principi riassunti da Giavazzi: tutte le faccende si risolvono tra paesani, inevitabilmente dopo estate e autunno verrà un altro inverno (da cui il titolo). Un plot e uno stile implacabili, come nella miglior tradizione dell’autore. Non ci possono essere rimorsi coerenti, né remissione di peccati, ogni personaggio è fedele a sé stesso. Le vite e le morti scorrono immutabili (nella sostanza) là per la valle, anche quando dalla città arrivano poliziotti e giornalisti metropolitani, visto che l’ultimo delitto che lì era stato commesso risaliva ad almeno una ventina di anni prima. Informazione e intrattenimento sono garantiti da Bellavalle Tv e Radio Serenella. Alcol vario, saggiamente la coppia di imprenditori sloveni segue l’ultima tendenza del dopocena: rum accompagnato con cioccolato extra fondente. Canzoni immarcescibili: da Joni Mitchell a Adamo, da Vasco Rossi ai Cugini di campagna.

Michel Bussi

«Tutto ciò che è sulla terra morirà»

traduzione di Alberto Bracci Testasecca

Edizioni e/o

624 pagine, 18 euro

Monte Ararat e resto del mondo. Prima e ora. Verso il 2014-15 in alto sull’Ararat, almeno tremila metri sopra la pianura di Erevan e di varie frontiere, Estêre parla con Aman nel giorno del decimo compleanno della figlia, le regala una collana con un disco di rame attaccato a un laccetto di cuoio e spiega che così diventa anche lei guardiana del segreto millenario della loro famiglia e della loro tribù di pastori curdi, dal quale dipendono miliardi di vite sulla terra, tutto ciò in cui gli esseri umani credono e per cui vivono, uccidono, saccheggiano e amano. Più o meno nello stesso momento il 35enne Zak Ikabi, prima nella sala dell’inferno (l’archivio segreto) della Biblioteca apostolica del Vaticano riesce rocambolescamente a fotografare tutte le pagine del manoscritto originale del Libro di Enoch, quindi nel museo d’Aquitania a Bordeaux individua un legnetto dell’arca ostacolato da tre killer, per poi dirigersi verso Tolosa dalla giovane famosa competente scienziata Cécile Serval, piccola e geniale autrice di una recentissima perizia glaciologica sull’Ararat (il rapporto RS2A-2014, appena inviato al Parlamento mondiale delle religioni riunito a Melbourne in Australia). Più o meno nello stesso momento svariati miliziani mercenari assassini guidati da Kyrill Eker, prima nella Cattedrale apostolica di Santa Echmiadzin (Vaticano bizantino) a Erevan in Armenia terrorizzano vari religiosi e civili alla ricerca del frammento dell’arca, quindi nella biblioteca dell’Università statale Immanuel Kant di Kaliningrad in Russia bruciano gli impiegati e tutti i libri rubando solo l’originale inedito Rapporto Roskovirsky del 1917 sull’Ararat, sempre in contatto con i crudeli colleghi che hanno avuto assegnati compiti analoghi altrove, per poi rifugiarsi nella repubblica autonoma azera, presso il Palazzo di Ishak Pascià a Naxçivan. Ed è solo il mistico inizio, c’entrano gli unicorni.

Il magnifico scrittore Michel Bussi (Louviers, 1965), professore universitario di Rouen (Normandia) e direttore di ricerca al Cnrs francese, ha pubblicato dal 2006 una quindicina di divertenti corpose avventure, tutte senza protagonisti seriali, ambientate in originali ecosistemi biodiversi, non solo della sua regione, e appartenenti al genere policier o noir. Oltre la metà dei romanzi ormai sono tradotti in italiano: dopo una sporadica apparizione nel 2014, dal 2016 le Edizioni e/o alternano la pubblicazione delle novità (è atteso Au soleil redouté, uscito in Francia a febbraio 2020) con la proposizione dei primi romanzi; oppure, come in questo caso, con la pubblicazione di altre opere inedite. Il volume in questione era uscito nel 2017 con un altro titolo e sotto lo pseudonimo di Tobby Rolland, scelto dall’autore “per non disorientare” i lettori, considerando la prima stesura “ben più nera e violenta” dei suoi soliti romanzi, come spiega lui stesso nella prefazione, scritta quando fu ripubblicato in edizione tascabile due anni dopo. Il titolo attuale riprende la citazione biblica del capitolo 6 della Genesi ed è Dio che parla, annunciando a Noè la necessità sia del diluvio che dell’arca (altrimenti tutto perirà). Il fatto è che nella mirabolante splendida fiabesca sanguinosa avventura c’è quasi tutto di vero: le fedi e i miti, i testi e i luoghi, le spedizioni e i personaggi antichi citati sono no fiction. Su ogni continente da millenni ampissime comunità di sapiens conservano memoria analoga di un diluvio universale e di un’arca salvifica quasi per ogni specie vegetale e animale. La narrazione è in terza varia al passato, sui vari protagonisti, più o meno buoni e cattivi, ciascuno con la propria morale e i propri obiettivi, scandita da nove concitate corse plurali, a partire dall’antica culla mesopotamica verso propaggini umane in tutti gli angoli del mondo, sull’asse meticcio Kurdistan-Francia. L’autore si è documentato da scienziato e conclude: “è sempre per spiegare l’inspiegabile e far credere l’incredibile che gli uomini inventano le loro storie più belle”, i conflitti religiosi come gli affetti familiari, invidie e odi come amori e progetti, un miscuglio riuscito di tanti generi letterari. Champagne M&C, ma non mancano le vigne sul versante abitato del massiccio. Cucine e musiche per tutti i gusti.

Loriano Macchiavelli

«8 indagini ritrovate per Sarti Antonio»

a cura di Massimo Carloni e Roberto Pirani

SEM editrice

442 pagine, 20 euro

Bologna. Nei decenni scorsi. Conoscete forse già il “sergente” Sarti Antonio, la sua istintiva partecipazione a dolori, infelicità, miserie e sventure del disordinato mondo non solo bolognese; eppure probabilmente queste avventure vi mancano, 3 romanzi brevi (uno parzialmente inedito) e cinque racconti (uno parzialmente inedito) del grande maestro Loriano Macchiavelli, inseriti nella nuova raccolta “8 indagini ritrovate per Sarti Antonio”, in cui sono coprotagonisti tanti bambini (Stecco, Elmo, Bambinamia) e ragazzi (Luca, Francesco, Rasputin), la violenza non bada all’età. I titoli fanno riferimento a: la ballata per chitarra e coltello, il mistero cinese, i casi della vita, una tesi pericolosa, il cerchio di gesso, uno sgombero forzato, il confine del crimine, come cavare un ragno dal buco. Completano il volume concisi freschi testi di due ottimi esperti: la prefazione di Roberto Pirani, la postfazione (in prima contemporanea su Antonio durante il lockdown) di Massimo Carloni.

 

Guillermo Martínez

«I delitti di Alice»

traduzione di Valeria Raimondi

Marsilio

264 pagine, 17 euro

Oxford. Giugno 1994. G. è un argentino 23enne, borsista dottorando in Inghilterra, e segue con passione e acume i corsi di logica matematica, ha un nome tanto difficile da pronunciare (in inglese) che nessuno lo esprime. Un suo professore è il caro grande Arthur Seldom, autore dell’Estetica dei ragionamenti e della prosecuzione filosofica dei teoremi di Gödel. Durante il primo anno di studio e ricerca, maestro e allievo hanno già risolto insieme un cruento caso criminale, testimoni di una serie di morti furtive, sottili, quasi astratte, che i giornali dell’epoca definirono delitti impercettibili. Ora, all’inizio del secondo anno, quando il giovane ha appena scelto l’argomento dell’obbligatoria relazione per la borsa (l’ipotesi di partire da un frammento di testo per riprodurre tratti e scrittura), Seldom lo mette in contatto con un ex-allievo emanuense australiano, che lavora alla sezione scientifica del dipartimento di polizia, e lo coinvolge in una riunione dell’eletta confraternita intitolata al matematico, logico, fotografo, prete anglicano e scrittore dell’età vittoriana Charles Lutwidge Dodgson (1832 – 1898), noto ovunque nel mondo con lo pseudonimo di Lewis Carroll per Alice nel paese delle meraviglie: L.C. per 26 anni aveva pure pigramente insegnato matematica proprio a Oxford. Ancora, per la seconda volta, devono affrontare un mistero, del passato e del presente, e, conseguentemente, crimini e delitti. Non è che è stata trovata la prova che il grande scrittore fosse proprio affetto da pedofilia conclamata? La seria attraente timida dottoranda Kristen Hill ha forse trovato una pagina scomparsa che potrebbe sconvolgere l’imminente pubblicazione del diario dello scrittore come authoritative edition, con saggi critici scientifici dei vari biografi della confraternita. La ragazza sta per raccontare bene la vicenda, viene investita, varie differenti morti seguiranno.

Il matematico argentino Guillermo Martínez (Bahía Blanca, 29 luglio 1962) ha effettivamente insegnato in gioventù per due anni al Mathematical Institute di Oxford, costruendosi ben presto una bella parallela carriera di scrittore, complessivamente 4 saggi scientifici, 6 romanzi (abbastanza tradotti nel mondo, tre in Italia), molti racconti. E, certo, risulta davvero splendida la relazione fra logica matematica e genere giallo, sempre più, via via che gli autori intelligentemente competenti dell’una hanno affinato la pluralità emozionale dell’altro. Seldom era stato iscritto al Partito comunista del Regno Unito e non crede nella improvvisa conversione di Kristen, appunto, sulla base di una matematica antropologica. Qui l’autore molto si è documentato (e ci diletta) sull’amata citatissima personalità di Lewis Carroll e sulla connessa meravigliata figura di Alice, una dei quattro figli dei Liddell, che lui fotografava durante la stesura del libro a lei dedicato nell’estate 1863. In venticinque anni Carroll fotografò solo otto nudi infantili, questo è provato. Il romanzo si ispira alla scoperta, fatta a Guildford dalla drammaturga Karoline Leach, di un foglio con il riassunto delle pagine strappate del diario di Carroll; tutti gli altri eventi e i personaggi (compresa la Confraternita) sono immaginari, seppur dopo meticolosa ricerca su biografie e studi in materia. Tanti rompicapi, enigmi, giochi, indovinelli, combinazioni, sostituzioni. Segnalo l’esame grafologico, a pag. 35. L’anziana mitica Josephine a occhi chiusi mostra ripetutamente di saper distinguere un caffè con il latte e un latte con il caffè (per l’ordine del versare), inglesi esperti, grazie al tè! Interessante il rapporto fra cioccolatini e diabetici, anche se quel che perlopiù quasi tutti industrialmente divorano è il whisky.

 

Javier Cercas

«Indipendenza»

traduzione di Bruno Arpaia

Guanda

406 pagine ,19 euro

Terra Alta e Barcellona, Catalogna. Estate 2025. Da quattro anni ogni finesettimana il poliziotto 34enne Melchor Marín va al cimitero di Gandesa; di fronte alla lapide della moglie Olga Ribera (1978 – 2021) cambia l’acqua nel vaso e sostituisce un mazzo di fiori appassiti con uno di fiori freschi; le racconta un poco della loro figlia Cosette che ormai ha quasi sette anni. All’uscita spesso incontra Rosa Adell, coetanea di Olga e madre di quattro figlie grandi, conosciuta quando aveva dovuto indagare sulla cruenta morte dei genitori per poi far arrestare il marito assassino. Melchor ora, a tempo perso, va a malmenare uomini che maltrattano donne, studia biblioteconomia e dà una mano nella biblioteca cittadina (aspettando un concorso per farsi assumere), legge sempre tantissimo (romanzi non contemporanei per sé o ad alta voce alla figlia, prima che dorma), ha addirittura accettato di fare il giurato per un concorso letterario e dovrà pure pronunciare un breve discorso alla cerimonia di consegna dei premi. Lo sta cercando e poi lo va a trovare l’ispettore Blai, il suo ex sergente promosso a dirigere la Sezione centrale Indagini sulle persone presso la sede del corpo catalano dei Mossos d’Esquadra nel complesso Egara vicino Barcellona. Blai gli chiede di trasferirsi qualche giorno nella metropoli in missione per aiutarlo in un caso complicatissimo di soldi e caste, che impone di non potersi fidarsi dei più che ha attorno o incontra: qualcuno sta ricattando Virginia Oliver, la furba pragmatica sindaca, minacciando di rendere pubblico un video porno in cui era stata coinvolta molti anni prima; lei ha già pagato trecento mila euro, intuisce che possano averlo tanti amici e nemici del mondo delle rivalità affaristiche e politiche, pagherebbe ancora. Melchor si sistema dal paterno amico avvocato, non vi sono tracce facili, tanto più se s’incrocia l’involuto Procés per l’indipendenza.

Splendida prosecuzione di quella che si annuncia come una straordinaria innovativa serie: il filologo, traduttore, saggista e grande scrittore spagnolo Javier Cercas (Ibahernando, Cáceres, Estremadura, 1962) giunge in libreria col secondo romanzo noir, dopo il primo (2019), mentre sta completando il terzo, alta letteratura! La narrazione è in terza persona fissa al presente sul protagonista, alternando tanti turbolenti capitoli sull’indagine, distinta in tre parti, con i quattro lunghi capitoli del secco dialogo fra Melchor e il personaggio in grado di ricostruire realmente l’intera vicenda dei video e anche qualcosa che, a sua insaputa, aveva in passato sconvolto la vita del poliziotto quando era in carcere e successivamente. L’espediente narrativo è rimarchevole: Cercas ritiene che il clima “prebellico” respirato a Barcellona nell’autunno 2017 sia “periodizzante” la storia politica e culturale degli spagnoli, per parlarne si e ci colloca qualche anno dopo il momento in cui scrive, fa pochi concisi riferimenti a Puigdemont e ad Ada Colau (critico con acume sul primo) e descrive una possibile evoluzione verso destra degli indipendentisti, ormai ce l’hanno più con gli immigrati che con i madrileni, innestandosi comunque su durature imperiture dinamiche nel rapporto umano col denaro e col potere. Segnalo il bipolare perbene Vàzquez. E il buon padre di fatto Vivales, che versa 250 euro al mese a Open Arms. L’autore è pacifico e ragionevole, in letteratura lavora con ambiguità, ironie, sfumature, paradossi, cita tantissimi altri bei libri (non solo Hugo, pure Winslow questa volta); così Melchor è un buon poliziotto cattivo: incarna alcuni suoi sentimenti segreti silenziati, come il vendicare senza filtri la violenza contro le donne (la madre del poliziotto era appunto una prostituta lasciata morta alla periferia della città). Da un po’ Cercas ha scelto di usare l’imprescindibile umile genere giallo, ben sapendo che scrivere e leggere sono difese democratiche contro le offese (e talora i crimini) dell’esistenza. Con grande dedizione nella stesura, riesce a offrire ottimi romanzi, facili da leggere, difficili da capire, perché contribuiscono a cambiare la percezione diffusa della realtà, catalana in questo caso. L’indipendenza del titolo ha una pluralità di sensi: politica, personale, fisica, morale. Melchor ormai beve solo Coca-cola, s’abbandona ai superalcolici solo dopo qualche vendetta, magari ascoltando Like a Virgin di Madonna.

Cristina Cassar Scalia

«L’uomo del porto»

Einaudi

322 pagine per 18,50 euro

Catania. Dicembre 2016. Alla stimata 39enne ispettrice vicequestore aggiunto Giovanna Vanina Guarrasi è stato recapitato un minaccioso proiettile (tale e quale a quelli che avevano ucciso il padre venticinque anni prima); il primo dirigente Tito Macchia, Grande Capo della Mobile di Catania, ha deciso di metterla sotto scorta, in una sorta di clausura forzata, e lei si sente sempre più insofferente. Il suo ottimo braccio destro Carmelo Spanò la chiama: nella grotta cantina di un pub del centro storico è stato ritrovato il cadavere accoltellato di Vincenzo Maria La Barbera (1960), noto solitario celibe appassionato professore di filosofia presso il liceo classico. Non aveva debiti, non ci sono indizi. Era di sinistra, disponibile e gentile, apprezzato da studenti e colleghi. Apparteneva a una famiglia molto facoltosa, conservatrice e patriarcale, con cui aveva solo sporadici rapporti dall’età di diciotto anni; si era ribellato, non aveva voluto i loro soldi. Da parecchio viveva su una vecchia barca a vela ormeggiata al porto, amico e sodale del gagliardo don Rosario Limoli, che si occupa proprio di carusi dipendenti da droghe e alcol, non senza creare fastidio a trafficanti e spacciatori. Da un anno aveva una fidanzata, Maria Venera Vera Fisichella, 51enne brava psicologa al Sert; condividevano pure l’impegno di salvare ragazzi e ragazze dalle tossicodipendenze. Vien fuori che decenni addietro, c’era una comune in campagna e nel 1978, dopo la maturità, La Barbera vi era rimasto qualche anno prima di laurearsi, per poi, improvvisamente, ora (come mostrano i contatti telefonici indagati), ricontattare i genitori di tre ragazzi che nel 1981 erano scomparsi proprio da quell’esperienza comunitaria. Forse c’è un caso antico da studiare attentamente per risolvere l’omicidio contemporaneo.

La medica oftalmologa Cristina Cassar Scalia (Noto, 1977) fa bene a insistere col giallo, siamo al quarto ottimo romanzo della bella serie, ogni avventura ambientata a circa un mese di distanza l’una dall’altra, finora tutte a fine 2016. La narrazione è in terza varia al passato, perlopiù sulla protagonista, oppure sugli altri investigatori. Lo stile appare simpatico, scorrevole, colto e attento alle parole, incistato là alle pendici della muntagna, dell’Etna (per quanto la protagonista sia originaria di Palermo e lì mantenga legami). Il titolo fa riferimento all’inconsueta residenza del professore ucciso. Parallelamente all’indagine scorre la turbolenta vita di Vanina, in fuga dal passato, reduce da anni di militanza nell’Antimafia, ex e forse ancora compagna di Paolo Malfitano, un magistrato della Dda; cinefila accanita (con collezione ricca di vecchi film e di pellicole imperniate su Sicilia e siciliani), buongustaia incapace ai fornelli, insonne sognatrice; dedita a Gauloises, cioccolata fondente, catanesate; sempre coinvolta dalle vicende della vicina Bettina, delle amiche, innanzitutto Giuli incinta di un ignaro gay, delle collaboratrici, innanzitutto Marta ufficiale splendida fidanzata vegana del possente Macchia, e di figure paterne, come il sensibile famoso cardiochirurgo Federico Calderaro, secondo marito della madre, o l’83enne commissario in pensione Biagio Patanè, con un persistente fiuto sbirresco e un’insistente moglie gelosa. Non a caso, è in progetto la realizzazione di una serie televisiva, gli ingredienti ci sono tutti. Birra e vino, al nerello mascalese mancava solo la parola. Meno spazio per la musica.

 

 

Redazione
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