Bussi, Deaver, Manzini, Mogliani, Nesser e Persson

6 recensioni (giallo-noir) di Valerio Calzolaio

Jeffery Deaver

«Il taglio di Dio»

traduzione di Rosa Prencipe

Rizzoli

526 pagine, 20 euro

New York. Un marzo dei giorni nostri. Il Diamond District si trova a Midtown Manhattan. I giovani innamorati Anna e William stanno andando dal bravissimo famoso diamantaire 55enne Jatin Patel sulla 47° Street, lei deve provare l’anello di fidanzamento, oro bianco con pietra IF quasi pura tagliata princess da un carato e mezzo, valore sedicimila dollari. Un uomo li segue in ascensore, quando si fanno aprire li spinge dentro l’appartamento e fa una strage. In quel momento arriva anche l’apprendista tagliatore Vimal Lahori, esile 22enne, l’uomo spara anche a lui, ma in qualche modo riesce a scappare. L’assassino si mette sulle sue tracce, deve assolutamente ritrovarlo, non ha finito di cercare qualcosa e di uccidere vari. Il detective di primo livello del New York Police Department Lon Sellitto, tarchiato e sgualcito, chiede consulenza all’amico esperto Lincoln Rhyme, criminologo tetraplegico, già capitano al NYPD e capo della Scientifica, assistito da Thom e dalla moglie Amelia Sachs nella palazzina di Central Park West. I coniugi sono appena tornati da Washington, parecchio interessati al processo in corso contro il potente trafficante di droga messicano Eduardo El Halcón Capilla, di cui non è stato ancora scoperto il socio americano. Lon coinvolge nel caso della rapina e omicidio plurimo della sezione Major Cases anche Ron Recluta Pulaski, agente atletico e biondo. Come al solito, è Amelia a visionare di persona la prima e le successive scene dei crimini, arrivandovi a bordo della Torino Cobra da 410 cavalli. Sono vari gli interrogativi aperti: quasi tutti i diamanti non sono stati rubati, la tortura del proprietario sembra inspiegabile, qualcuno ha fatto una telefonata anonima di denuncia. Paura e dubbi crescono, altri fidanzati vengono aggrediti, cominciano a scoppiare conduttore del gas causa terremoto o simili, che sta succedendo?

Il grande scrittore americano Jeffery Deaver (Glen Ellyn, 1950) è giunto (in venti anni) al quattordicesimo bel romanzo della sua serie di maggior successo, portata più volte sul grande schermo. Come talora accade per i maestri del genere, attraverso il nuovo caso si apprende tutto su un fenomeno della vicenda (e commedia) umana contemporanea, questa volta la vita dei diamanti dopo il rinvenimento delle preziose pietre. Tutte le miniere del mondo hanno storie e mercati interconnessi, in cui investono finanzieri e governi, spie e sfruttatori di ogni risma. Gli acquirenti al dettaglio producono un giro di affari di circa quaranta miliardi di dollari l’anno solo negli Stati Uniti. Sono cinque i passaggi che servono per arrivare al pezzo finito, come cinque sono le parti del volume (una per ogni adrenalinico giorno della trama): marcatura, clivaggio, segaggio, sbozzatura, sfaccettatura o pulitura. La narrazione è in terza persona molto varia: i testimoni involontari (e alcuni assurgono a protagonisti), i differenti cattivi e buoni, pur se uno solo riesce a prevedere le dinamiche, dal letto dove mantiene buoni sensi e può muovere solo un dito e le palpebre. Noi, comunque, stravediamo per l’indomita e magnifica ex modella Amelia, alta snella rossa, autista spericolata, tiratrice provetta, sofferente di artrite e claustrofobia. C’è come sempre un cavallo di Troia e appare davvero troppo facile intrufolarsi nelle stanze-laboratorio di Rhyme, anche se poi, alla fin fine, gli fanno un baffo! Vini sudafricani, ma non per i due: cabernet rosso e robustoper lui, bianco chardonnay di Borgogna per lei. Alla salute!

 

Michel Bussi

«La doppia madre»

traduzione di Alberto Bracci Testasecca

Edizioni e/o

492 pagine, 17 euro

Le Havre. Novembre 2015. La 39enne comandante di polizia Marianne Augresse, con il giovane strafigo vice Jean-Baptiste Jibè Lechevalier e il tenente 52enne pluripaterno Pierrick Papy Pasdeloup, sono sulle tracce dei ricercati e del bottino della rapina del 6 gennaio a Deauville; un colpo organizzato alla perfezione con la refurtiva nascosta prima che la polizia riuscisse a uccidere la coppia in moto dei quattro rapinatori e a colpirne gravemente un terzo, Timo Soler, poi anche lui sparito; dieci mesi dopo il ferito contatta un medico, forse possono prenderlo. Il bello psicologo scolastico Vasil Dragonman, voce soave e accento slavo, occhi brioche dorata e possente corpo fascinoso, contatta Marianne e la distrae: è convinto che il piccolo Malone Moulin di soli tre anni e mezzo dica qualcosa di vero quando, nonostante prove contrarie, fra tante frasi di apparente fervida fantasia, in continuo dialogo col peluche Guti, accenna al fatto che i suoi genitori ufficiali, Amanda e Dimitri, non siano i veri mamma e papà. Le indagini parallele rendono sempre più pieni e convulsi i giorni di Marianne: chi aiuta Timo è furbo o insospettabile, si allunga una scia di cadaveri dietro il principale cervello della banda; Vasil è sempre più osteggiato, ma convincente e affascinante nel tentare di comprendere il passato del bambino; la sexy nuova gentile geniale amica Angélique Angie Fontaine le sta vicino e condivide lo stesso desiderio di avere finalmente un figlio. Finché si capisce che è proprio Malone la chiave di tutto, il punto d’intersezione fra i casi, la memoria dei misteri e dei crimini, lo strumento di vari registi non in sintonia, l’occasione per trovare qualche verità e giustizia.

Il professore universitario di Rouen e direttore di ricerca al Cnrs francese Michel Bussi (Louviers, 1965) continua a realizzare ottimi gialli senza protagonisti seriali con ambientazioni accurate, talvolta nella sua Normandia, in questo caso l’area portuale sulla Manica. Ormai, ogni volta che s’inizia, subito si comincia a capire che ci sono frasi e situazioni in cui ti sta fregando, gli intrecci sono sempre minuziosi e sorprendenti, ancor più in un romanzo imperniato su un ometto. Intuisci che il testo è opera creativa di un illusionista (per certi versi è così tutto il giallo classico alla Christie), poi cominci a divertirti, a incuriosirti, ti prende ed è un colto grande intrattenimento. Ovviamente è dedicato alla mamma (e alle mamme di tutti noi?). Del resto, non mancano teorie e lezioni di psicologia dello sviluppo: accade che la memoria adulta non possiede ricordi dei primi anni di vita (perché e a che punto scompaiono?), che l’infante ha poco tempo a disposizione prima che si dimentichi tutto (giorni o mesi?), che i bambini mantengono rilevante memoria sensoriale, emozioni e impressioni che si incidono (e restano nell’inconscio oltre che in gusti e personalità?), che il gioco svolga le funzioni di imitazione, codificazione, trasgressione (e ubbidienza?), che la resilienza mescola sincerità e menzogna. Come nel resto della vita. La narrazione è in terza varia, distinta in tre parti di donna (Marianne, Amanda, Angie) con lo stesso incipit del venerdì all’aeroporto della fuga e il flashback verso i primi giorni della settimana. Un sito le accompagna, voglia-di-uccidere.com, oltre una ventina di significativi spunti per farlo, con condanne e assoluzioni popolari! In corsivo le belle storie ascoltate da Malone. Al bar o da sole le amiche bevono rioja, in famiglia faugères. Freddie Mercury è sempre decisivo.

 

Antonio Manzini

«Fate il vostro gioco»

Sellerio

394 pagine, 15 euro

Aosta. Dicembre 2013. Il quasi 50enne vicequestore Rocco Schiavone, laureato in giurisprudenza con il minimo dei voti, fa un salto nella sua Trastevere, ma Seba è ai domiciliari e continua a non volerlo vedere, Furio e Brizio accampano scuse, è proprio in crisi la storica amicizia (siglata con goccia di sangue a dieci anni). In montagna l’attendono il freddo, la neve e un paio di brutte storie. C’è qualcuno che ruba negli uffici, alcuni oggetti costosi sono scomparsi (un laptop, un drone), almeno tre spini pronti e mezzo sacchetto di marijuana risultano pure spariti (dal suo cassetto), bisogna assolutamente individuare Manolunga. E poi li chiamano in un condominio di Saint-Vincent, in un appartamento trovano il cadavere del vedovo ragioniere Romano Favre, 65 anni, in pensione da 7, prima lavorava al casinò, controllore di sala, da qualche tempo aveva ricominciato a frequentarlo. Lo hanno squarciato con due coltellate, una al fegato, l’altra alla giugulare, tanto sangue in giro. Trovano le chiavi sulla toppa interna della porta blindata, dentro un accendino bianco sul comodino e una fiche (di Sanremo) serrata fra le dita della mano destra del morto, spalancata la porta-finestra sul giardino. Le indagini piacciono a Rocco, però continua a non sentirsi in forma: gli amici sono distanti anche col cuore, Caterina lo ha tradito sul lavoro e negli affetti e ormai è a Roma, il giovane amico agente Italo Pierron è turbato (non solo per l’amata collega), la sua squadra ha molti altri punti deboli; inoltre, il famigerato Enzo Baiocchi è divenuto collaboratore di giustizia, sempre più protetto dalla magistratura alla quale consente arresti eccellenti nel mondo della droga, pur non avendo rinunciato all’idea di uccidere Rocco; e il casinò appare una fogna sotto tutti i punti di vista. Quello valdostano è pure stranamente in perdita, mentre raccoglie (come tutti gli altri) troppi ludopatici e qualche affare sporco. Non potrà finire lì.

Settimo romanzo della bella sospesa serie Schiavone per l’attore e regista Antonio Manzini (Roma, 1964), originale anche perché concepita come opera unica “alla ricerca del tempo perduto”. Dal 2013 finora ha narrato quindici mesi valdostani del suo vicequestore (comunque frequenti le incursioni sugli antefatti romani, non solo nei racconti), sempre con uno straordinario meritato successo (anche in tv, seconda serie ora nell’autunno 2018). Tutto avviene in terza persona, quasi fissa, al passato. I consueti personaggi pubblici fanno la loro funzionale figura: il questore Costa, il magistrato Baldi, i subalterni più o meno efficienti, i collaboratori come Gambino e Fumagalli. Il protagonista, invece, fa i conti con un dolore strutturale e con il ruolo formale, si è creato un proprio mondo nella testa, sofferente per la moglie morta oltre 7 anni prima a causa sua (con lei spesso dialoga) e per i sodali romani, lui ormai poliziotto di (poco) potere, bene o male che sia. Comunque il ladro Brizio molto lo aiuta. E anche lui s’acconcia bene a furti contro i cattivi (il decalogo dei principi etici si trova a pagina 182), poi prende i casi sul personale, come sfide private, alla fine ricomincia da capo se non è soddisfatto. L’attenzione si concentra sulle varie forme della malattia del gioco (da cui il titolo): Italo perde a poker, tanti altri ai tavoli del casinò, è scientifico. Manzini, attraverso Rocco (che odia carte e cavalli), scandaglia: i tic del personale e dei giocatori incalliti, la mesta umanità perduta destinata a perdere ancora, l’imprescindibile necessità di curarsi. Rocco invecchia, soffre dolori alla colonna vertebrale, acquista continuamente Clarks nuove, fuma Camel, vive solo con la cagna Lupa (se non fosse per l’imberbe Gabriele!) ma ha come al solito molto successo con le donne (pare valga anche per Giallini, l’autore che lo interpreta, da prima) e, talora, per evitare problemi e sfogare rabbia, si limita a frequentare puttane. Rum e genepy, ovviamente, ma anche nebbiolo e Blanc de Morgex. Pink Floyd e David Bowie fanno gioire più generazioni.

 

Mauro Mogliani

«Cerco te»

Leone editore

176 pagine per 11,90 euro

Tolentino. Il 28 febbraio 2015 tal Nessuno scrive una lettera al barbuto ispettore Piero Nardi, che vive nel capoluogo Macerata e lavora presso la Stazione dei Carabinieri: l’autore annuncia di voler iniziare un gioco, dopo due giorni rapirà una donna e la terrà segregata per una settimana, poi la libererà, aspetterà due giorni e ne prenderà un’altra, continuando così fino a una quinta vittima, un uomo, che però ucciderà, se lo stesso Nardi non riuscirà a impedirlo. Effettivamente il due marzo il “gioco” comincia, scompare Carla Crocetti. E continua, quasi tutto come annunciato, nella crescente delegittimazione degli investigatori, non si capiscono proprio il movente generale e i nessi particolari. Nuovo bel giallo per l’artigiano storico e nuovo scrittore Mauro Mogliani (Tolentino, 1971), “Cerco te”, un viaggio nei complessi colpevoli rapporti di coppia, in terza varia al passato (ma il drammatico epilogo è al presente).

 

Håkan Nesser

«Morte di uno scrittore»

traduzione di Carmen Giorgetti Cima

Guanda (originale 1996)

204 pagine, 16 euro

A., nel Nord Europa. Un gennaio di metà anni novanta. Il grande giallista svedese Håkan Nesser (Kumla, 1950) è solito ambientare in città di fantasia. Qui è protagonista il traduttore David Moerk, che spiega la scelta di partire in aereo per A., dopo che la moglie Ewa è scomparsa in circostanze misteriose e ha avuto l’incarico di tradurre l’ultimo testo di Germund Rein, celebre apprezzato scrittore del quale nel precedente novembre è stata annunciata la morte (da cui il titolo originale e il titolo italiano). L’inedito sarà fonte di dubbi, letterari e biografici: l’autore ha vietato la pubblicazione nella propria lingua e autorizzato solo l’uscita in altra lingua. Ne seguiranno ulteriori peregrinazioni e complicati incontri, nel freddo, narrati in prima persona fino in fondo. Dopo aver terminato la traduzione di tutte le opere della principale serie del commissario Van Veeteren, l’editore Guanda sta meritevolmente completando l’edizione italiana degli altri bei romanzi di Nesser.

 

Leif GW Persson

«La donna che morì due volte»

traduzione di Katia de Marco

Marsilio

478 pagine, 18 euro

Solna, contea di Stoccolma. Estate 2016. Edvin Milosevic, dieci anni, figlio di serbi profughi dalla Croazia, piccolo e magro, ha un ottimo rapporto di nobile cameratismo maschile con Evert Bäckström, capo della locale sezione di polizia, pessimo uomo, ormai ultra 60enne. Sono vicini di casa a Kungsholmen. Il ragazzino considera Evert un mito, ascolta e ripete ogni sua indicazione, discreto e leale, a disposizione per frequenti piccole commissioni; il commissario non ama i bambini e non sopporta praticamente nessuno, vede in Edvin qualche affinità interiore, si è quasi affezionato. Nel tardo pomeriggio del 19 luglio Edvin suona, qualche ora prima è fuggito dal campo scout avendo casualmente rinvenuto qualcosa di importante e orribile, apre lo zaino, estrae un sacchetto contenente un cranio, spiega bene cosa ha già giustamente dedotto, c’è un evidente buco di pallottola. Evert lo ringrazia e avvia l’inevitabile laboriosa indagine. I resti della vittima sono stati ritrovati sulla piccola inospitale maledetta isola di Ofärdsön sul lago Mälaren, nemmeno un centinaio di ettari, già pascolo estivo per il bestiame prima di acquisire la brutta fama di portare sfortuna, niente spiagge o facili approdi, quasi completamente coperta di arbusti e cespugli. Quel che presto emerge dalle analisi è che il Dna appartiene a una thailandese nata nel 1973 e già morta nello tsunami di fine dicembre 2004. Tutta la squadra, i tecnici della scientifica, i colleghi asiatici, pure i servizi segreti studiano genetica e si immergono nella vicenda per un paio di mesi. Una delle due morti deve riguardare qualcun’altra, non si può morire due volte. Oppure sì?

Leif Gustav Willy GW Persson (1945), professore di criminologia alla Scuola nazionale di polizia a Stoccolma, è stato consulente del ministero di Giustizia e dei Servizi segreti svedesi e, da una ventina d’anni, ci delizia con lunghi bei gialli (la vicenda Palme insegna)! Colti e divertenti, costituiscono un ritratto vivido e ironico delle opulente società contemporanee, terza fissa al passato, una goduria di dettagli ed emozioni: si scherza e si pensa, si odia e si ama, si ride e si piange, ci si stupisce e ci si commuove, incantati da dialoghi con deliziosi retro pensieri, in punta di piedi, con raro senso della musicalità. Il suo primo mitico protagonista Lars Martin Johansson è ormai morto da oltre cinque anni. Persson alterna pertanto cattivi e buone che erano ai suoi comandi, segnalando talora personaggi e intrecci dei precedenti romanzi, qui tutto ruota intorno a Bäckström, il peggiore. Il tondo furbo fortunato commissario è figlio d’arte, corrotto ubriacone misogino arrapato volgare (grazie a un celebre supersalame), né brutto né sciocco, capace di mirabolanti intuizioni induzioni deduzioni abduzioni, ricorda collega pianifica il proprio esclusivo benessere, soprattutto gastronomico, alcolico e sessuale. Fra l’altro riemergono varie vecchie storie, pare che Putin e il governo russo, per il tramite dell’amico Gustafson GeGurra Henning, vogliano assegnare a Evert la medaglia Puškin per il caso del naso di Pinocchio, si rischia l’incidente diplomatico. Più che buon vino tanta birra e vodka, al meglio con i würstel Bullens Pilsnerkorv. Il nome della barca viene da Puccini.

 

Redazione
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