Bussi, Dexter, Khadra, Manzini, May, Riccardi e “Tersite Rossi”

7 recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio

Colin Dexter

«Le figlie di Caino»

traduzione di Luisa Nera

Sellerio

pag. 476, euro 15

Oxford. 1994. Il diabetico e poco udente Colin Dexter (Stamford 1930-Oxford 2017) è stato un docente inglese di greco e latino, specialista in enigmistica, magnifico scrittore di genere. I 13 romanzi con protagonista l’ispettore Thames Valley Police Endeavour Morse sono datati 1975-1999, la televisione inglese ne trasse una serie di 33 episodi trasmessa anche in Italia; serie connesse continuano ancor oggi. “Le figlie di Caino”, terzultimo, è del 1994, come sempre magnifico, ironico, erudito. La narrazione è in terza varia al passato, brevi tratti in punta di piedi dedicati ai vari protagonisti, belli e brutti. Qui la 46enne Julia, docente severa, separata, dai capelli rossi; la sua preziosa colf Brenda; il suo studente Kevin 17enne poco intelligente, violento e dinoccolato; l’esimio 66enne Felix, professore universitario in pensione e cliente affezionato di una prostituta, presto ucciso con una pugnalata. Il protagonista incanta, appassionato di Wagner.

 

Yasmina Khadra

«Dio non abita all’Avana»

traduzione di Marina Di Leo

Sellerio

pag. 238, euro 16

L’Avana e Cuba. Non molti anni fa. Juan Del Monte Jonava era un famoso cantante e aveva 59 anni quando si trovò in mezzo alla strada. Madre corista (“La Sirena rossa”) morta in un incidente d’auto, padre precario (autista privato fra mille lavoretti) suicidatosi poco dopo, entrambi brave generose allegre persone di Trinidad, in seguito alla separazione dalla moglie Elena e dai figli Ricardo e Isabel, quattro anni prima era tornato a vivere dalla composita ampia famiglia della sorella maggiore Serena, innamorato sempre e solo delle note cantate. Lavorava al Buena Vista Café della capitale, tutte le sere idolo di un vasto pubblico, conosciuto da 35 anni proprio come “Don Fuego” perché capace di infiammare gli spettatori di ogni sesso e colore, di far vibrare le sale e fremere le donne. Credeva che l’esistenza fosse solo musica, ma ora il locale è stato comprato da una signora di Miami nell’ambito delle privatizzazioni disposte dal Partito, non c’è più posto per lui. Cerca aiuto senza successo, presuntuosamente illuso. Gli amici non hanno nemmeno gli occhi per piangere; i vicini sono mezze cartucce che stentano a sbarcare il lunario; il delegato di quartiere non dà una mano neanche alla sua famiglia; i funzionari preposti lo trattano con sufficienza. Ha soldi da parte, si accontenta di poco, fa qualche serata, trascorre spesso la notte nel vagone di un tram abbandonato. Finché una sera, fra i sedili s’imbatte in una meravigliosa ventenne dai rossi capelli sciolti, seno perfetto e sguardo magnetico, occhi azzurri e corpo da favola, riottosa e selvatica. Lei (Mayensi) vive nascosta ostile ai maschi. Se ne invaghisce. La fa ospitare, cerca di proteggerla da guai (è sola) e pericoli (c’è chi ammazza ubriaconi molesti), dopo un po’ per qualche mese sarà amore.

Yasmina Khadra (Mohammed Moulessehoul, Algeria, 1955) è un affermato scrittore. Ex ufficiale nato nel Sahara francofono, testimone attivo della guerra civile, poi militare in congedo, da oltre 20 anni si è trasferito in Francia, scrive in francese (all’inizio gialli con lo pseudonimo segreto) e continua a fare la spola fra colonia (nel 2014 si è presentato alle presidenziali algerine) ed ex-colonia. Questa volta si “trasferisce” nei Caraibi, lontano dal terrorismo, laddove “Dio è ormai una moneta fuori corso”. L’ultimo romanzo (uscito con lo stesso titolo in Francia nel 2016) racconta in prima persona al presente un adolescenziale amore senile. Don Fuego ci rifletterà per anni dopo la fine, anche quando sarà tornato sulla cresta dell’onda, presentando ancora gli antichi successi della rumba e del son (insieme a un nuovo gruppo con qualche testo scritto appositamente), consapevole di quanto e come era stato segnato nel corpo e nello spirito dalle emozioni e dagli avvenimenti di quella travolgente relazione, con tanti misteri aperti. Nella fascetta si parla di thriller tropicale, forse non proprio a proposito. Il travaglio della Cuba di oggi è descritto molto bene, con sensibilità e acume, comunque il protagonista investiga solo alla ricerca del nuovo amore. È un artista non più giovane (all’incirca l’età attuale dell’autore) improvvisamente catapultato sulla strada e sul viale del tramonto, che s’innamora di una fresca beltà e rischia tutto per lei, senza più ben comprendere cosa o chi ha intorno e l’intera propria precedente esistenza. In presa diretta una botta di vita, un intervallo d’entusiasmo, un’avventura di passione, un diario di amorosi sensi. E, causa presbiopia, riesce a fatica a decifrare una gran bella canzone. La costante per lui, per gli altri tutti, per ogni umano di quei tropici è il rum. Aiuta quando finiscono i momenti di gloria, tanto più che chi ne ha viste di tutti i colori può fare un arcobaleno.

Tersite Rossi

«I signori della cenere»

Pendragon

pag. 398, euro 16

New York e Creta (fra l’altro). 2006-2008 (e molto prima). Lorenzo Rettura, nato a Settebagni nel 1968, padre postino e madre casalinga, liceo linguistico e Lettere Moderne, molto amante di Bukowski, scommesse, ozio e avventure di una notte, nell’estate 1993 durante il classico road-trip negli Usa conosce un trader di Wall Street, fanno amicizia e inizia a far carriera, diventando presto asso del trading e cocainomane. Dopo l’11 settembre l’amico si suicida, la psicanalista gli spiega che ha una personalità dipendente, diventa più ricco e potente, sempre più dipendente da borsa, droga, violenza, prostitute. Visti il parco clienti e i successi finanziari è quasi l’unico cui viene concesso di non adeguarsi al modello “banca e famiglia” (serietà, austerità, salutismo, stabilità sentimentale con prole). Inevitabilmente all’inizio dell’autunno 2006 la competizione al vertice si fa durissima e, per prevalere, deve imparare i trucchi illeciti del mestiere e usare i ricatti personali del potere. Non mancheranno incidenti di percorso e comportamenti criminali, riuscirà a scalare verso l’alto, finché nel maggio 2007 a Milano condividerà un pericolo di poche ore con la donna. Petra Venturini è una bella 31enne fiorentina iscritta a un dottorato in antropologia, si mantiene sistemando scatole in una profumeria, con pessima vita sentimentale (grande amore svanito, pletora di occasionali feticisti, frustati, impotenti o idioti), ora disperata per la scomparsa dell’amica Sonia. D’estate Lorenzo e Petra cominciano a scriversi, legati anche dall’interesse per gli studi che stava facendo Sonia su civiltà neolitiche pacifiche, imperniate sulla Grande Madre, un altro modo di essere umani sapienti, da sempre perseguitati e stuprati (anche nel mondo della finanza). Escogitano un piano.

Tersite (antieroe omerico) Rossi è un collettivo di scrittura (prevalentemente due, Mattia e Marco). Dopo un paio di bei romanzi d’inchiesta sulla Sera della “trattativa” Stato-Mafia («E’ già sera, tutto è finito», sempre Pendragon – nota della “bottega”) e sui Sinistri della deriva assolutista scelgono di raccontare la grande crisi economico-finanziaria esplosa nel 2007-2008, nelle sue (evitabili criminali) premesse di finanza speculativa e nei suoi sviluppi, per i quali i principali responsabili alla fine si sono trovati meglio. Dietro la narrazione (ancora “binaria”) vi sono letture e ricerche sulle perverse reazioni a catena nei processi decisionali di chi opera in borsa e sui sempiterni “globocrati”, uomini del fuoco e signori della cenere. Interessanti (seppur parziali) anche i riferimenti alle teorie sulla contrapposizione fra società androcratiche e gilaniche, adattata alle strategie dei contropoteri per non subire l’oppressione e gli istinti criminali dei poteri. Non a caso l’incipit si colloca nel XII secolo a. C. e nel 1973, prima fra i guerrieri alla caccia delle donne guidate da una Sacerdotessa, poi fra i ricchissimi neoliberisti (non solo americani) che fondano la globalizzazione e il Clan, o la Trilateral che dir si voglia. Variabile parzialmente indipendente (ma funzionale ai potenti) sono gli extraterreni monaci del Grande Ordine, che fanno rinviare a un ecosistema sconosciuto l’epoca della Pacificazione Globale. Si giustificano così continui salti nel tempo e nello spazio, sempre in varia terza persona, con molte storie collaterali al percorso di Lorenzo e Petra. Nell’insieme, si mescolano bene fiction hard-bolied e pagine tecnico-informative (forse troppe e troppo lunghe). Ovviamente alcuni mangiano e brindano alla grande.

 

Roberto Riccardi

«La notte della rabbia»

Einaudi

pag. 318, euro 18

Roma. Maggio 1974. Una colonna delle Sap (Squadre d’Azione Proletaria) uccide il giovane di scorta e rapisce il professor Claudio Marcelli, autore della proposta di riforma della legge penale, nominabile presto ministro dell’Interno. Il colonnello dei Carabinieri Leone Ascoli, ostinatamente rispettoso della legalità, indaga con acume, nonostante manovre e intralci dei servizi non solo italiani e non solo occidentali, bastoni fra le ruote interni e istituzionali, pericoli e lutti. Due anni prima aveva arrestato il capo del gruppo eversivo, ora ne chiedono la liberazione immediata. Trova aiuto nell’amico giudice Tramontano e nell’interessante scrittrice Luisa Rivelli, testimone dell’attentato, proprio quando il vecchio partigiano Bepi (che gli aveva salvato la vita ad Auschwitz) rintraccia un aguzzino e gli chiede di intervenire. Nel nuovo romanzo “La notte della rabbia” l’ufficiale dell’Arma Roberto Riccardi (Bari, 1966) racconta con dettaglio competente gli anni di piombo.

 

Michel Bussi

«Non lasciare la mia mano»

traduzione di Alberto Bracci Testasecca

E/o (originale 2013)

pag. 360, euro 16

Francia, Saint-Gilles-les-Bains, Isola della Réunion. 29 marzo-1 aprile 2013. Josapha Sofa Bellion ha sei anni, disincantata figlia di Liane e Martial, capelli biondi e occhi azzurri, adorabile peste, intelligente appassionata volitiva. Liane Armati, bibliotecaria a mezzo tempo, è la più bella donna dell’hotel, bionda, lattiginosa, lentigginosa, esile, allegra, di classe. Martial aveva già vissuto sull’isola, ora è custode di palestra in un piccolo comune della regione parigina, muscoloso e abbronzato, sono sposati da cinque anni. Sofa sta facendo la smorfiosa coi braccioli in piscina quando la madre svanisce. Era salita un attimo in camera, il padre l’aveva raggiunta, un’ora dopo lui affranto ne dichiara la scomparsa, nella stanza manca un coltello e sono evidenti gli schizzi di sangue. Poche ore dopo i primi interrogatori, quando vari indizi convergono sulla colpevolezza del marito che sta per essere arrestato pur non essendo stato rinvenuto il cadavere, anche papà e figlia scappano e riescono a non farsi più trovare. Li braccano ovunque con perquisizioni e posti di blocco, all’inizio sotto la guida della locale giovane comandante della brigata di gendarmeria, Aja Purvi, meticcia zarabe (padre di origine indiana e religione musulmana) e creola, lunghi capelli neri e occhi a mandorla, laureata in Giurisprudenza a Parigi, sposata con il perfetto maestro Tom, due figlie, piccola nervosa ambiziosa tenace, coadiuvata dall’irregolare vecchietto sottotenente Christos innamorato della curiosa arrapante Imelda. Vari muoiono, la matassa risulterà dolorosa e difficile da sbrogliare.

Il professore di geografia all’università di Rouen (Normandia) e direttore di ricerca al Cnrs francese Michel Bussi (Louviers, 1965) continua a scrivere ottimi gialli senza protagonisti seriali in ecosistemi sempre molto biodiversi e originali. Grande oltre 2.500 chilometri quadrati con quasi un milione di abitanti (5 deputati all’Assemblea Nazionale), la frastagliata isola tropicale Réunion fa parte dell’arcipelago delle Mascarene nell’Oceano Indiano, dipartimento francese d’oltremare a est del Madagascar non lontano da Mauritius, una meraviglia per le vacanze, piena di turisti soprattutto durante la settimana di Pasqua. Immigrazioni plurime e diacroniche ne hanno fatto un guazzabuglio etnico, attira godurioso turismo per il vulcano e i 207 chilometri di costa, le foreste tropicali e le barriere coralline. Vi si svolge un’accorata caccia all’uomo di 50 ore e verrebbe voglia di visitare ognuno dei centri urbani e dei siti naturali citati. La narrazione è in terza varia al presente, emerge la sensibilità evoluzionistica dell’autore, sia quando parla delle specie animali presenti più o meno estinte (come il tenrec o il papangue, il tec-tec, il dodo) sia quando usa termini e modi di dire del posto. Il titolo (anche francese) fa riferimento alle paure della bambina (per suggestione o rischio pratico), che si rivolge accoratamente al papà (talora in prima), pur non sapendo se abbia davvero già ucciso la mamma. Frequenti i richiami normanni e Monet non manca mai! Vino di Cilaos e rum alla nespola giapponese (anche lo Charrette andrebbe benissimo).

 

Peter May

«Il sentiero»

traduzione di Alessandra Montrucchio

Einaudi

2017 (originale 2016, Coffin Road)

pagg. 364, euro 19

Isole Ebridi, Scozia. Settembre 2013. Un bell’uomo quasi quarantenne, capelli scuri e ricci, occhi azzurri e zigomi alti, magro e in forma, si trova stropicciato sulla spiaggia di un luogo sperduto e pochissimo abitato, con un giubbotto di salvataggio, senza ricordare chi è e dove abita, perché è lì e come ci è arrivato. Un tipo lo osserva col binocolo dalla collina prospicente accanto a una roulotte e a una Land Rover malconce. Grazie alla battuta di un’anziana incontrata mentre sale verso la strada per il sentiero fra le dune, impara di chiamarsi Maclean e di abitare nel piccolo cottage a un piano dove lei lo accompagna. All’interno ci sono il Labrador color cioccolato Bran (accidenti, sa il suo nome!) e alcuni indizi: bollette destinate a Neal Maclean, Dune Cottage, Luskentyre, isola di Harris. Dunque, è la spiaggia di Tràigh Losgaintir, Ebridi scozzesi. Il computer è vuoto ma fra i pochi libri c’è Il mistero delle isole Frannan, sono vicine, isolotti vari a 30-35 chilometri, con un faro da dove scomparvero i tre guardiani nel dicembre 1900. Continua a non capire cosa ci fa lì, arriva una coppia di vicini, Jon e Sally Harrison. A loro ha detto di essere in periodo sabbatico dalla carriera accademica a Edimburgo e di star scrivendo un libro sull’antico mistero. Lo viene a sapere da Sally, a letto, hanno una relazione. Lei gli conferma di gestire col marito un anno sabbatico rispetto a un matrimonio che si stava sgretolando. Poi lo accompagna sul sentiero evidenziato in una mappa, la Via delle Bare, una specie di cimitero all’aperto in pendenza. In cima ci sono due massi e subito dietro una conca, ove qualcuno ha messo al riparo 18 arnie quadrate. Sa cosa sono e vede ferite da puntura sulle mani. Ancora non ricorda, intuisce che nella propria vita c’entrano le api e l’agrochimica.

L’affermato giornalista, scrittore e autore televisivo scozzese Peter May (Glasgow, 1951) dedica il nuovo romanzo “alle api”. E, in effetti, molte pagine illustrano, allegramente e senza supponenza o tecnicismi, che si meriterebbero molti ringraziamenti dalle altre specie, soprattutto da piante e umani. Sono una chiave decisiva per la sopravvivenza di molti ecosistemi. Anche se è stato un processo evolutivo casuale, non possiamo fare a meno di loro. Impollinano oltre i due terzi dei frutti e degli ortaggi, ovvero molto di quanto ci impedisce di morire di fame; hanno vita dura e breve, circa sessantamila in un alveare, tutte imparentate. Le femmine (“operaie”, fanno quasi tutto loro) svolgono le preminenti funzioni riproduttive e gerarchiche, i maschi (fuchi) oziano e muoiono dopo aver fecondato la regina. Quando lo incontriamo, il protagonista soffre di amnesia dissociativa e ci mette un po’ a ricordare come mai percorreva la Via delle Bare (il titolo inglese, Coffin Road) e cosa ha a che fare con le api. Narra l’improvviso enorme smarrimento in prima persona al presente, come ad alta voce; la storia avanza come disvelamento parallelo per se stesso e per i lettori. Emergono così due altre figure rilevanti, anche loro all’oscuro della sua identità: da una parte l’irrequieta figlia 17enne Karen, convinta che sia morto già da quasi due anni; dall’altra il non più giovane calmo sergente Gunn della stazione di polizia dell’isola, quasi convinto che comunque sia pure un assassino, visto che poi nel faro trovano anche un cadavere fresco. Il loro parallelo percorso investigativo è narrato in terza persona al passato, alternandosi col protagonista, con aggressioni e morti, intreccio e ritmi da buon giallo, ecothriller o “verdenero” che dir si voglia. Non mancano parole e frasi in gaelico, sono posti dove andare! Karen seleziona Marilyn Manson. Per provarci si serve dello syrah australiano, viola scuro. Caol Ila è l’ottimo whisky isolano.

 

Antonio Manzini

«Pulvis et umbra»

Sellerio

pag. 404, euro 15

Aosta e Roma. Giugno 2013. Il vicequestore Rocco Schiavone è sui 47 e da sei si trascina la vita sulle spalle con la faccia spiegazzata, i capelli spettinati, il torso masticato, gli occhi spenti e inespressivi, inno alla gioia come sarcastica suoneria personalizzata. Il 7 luglio 2007 era morta la moglie Marina (per caso, volevano uccidere lui). Depressione e allucinazioni non lo lasciano, ora da qualche tempo lei non va più a trovarlo, neanche ad Aosta dove è stato forzatamente trasferito da dieci mesi per punizione e ora retrocesso pure di ufficio. Vive solo, senza internet quadri libri. Gli resta Lupa, fedele cucciola lupetta che riconosce tre nomi (il proprio, “pappa”, “no”). Finisce pure per affezionarsi paternamente a Gabriele, l’adolescente ciccione brufoloso ignorante, vicino di appartamento, che gli chiede aiuto per il latino e glielo garantisce per il web. Rocco continua a detestare le rotture di coglioni (seconda una personale classifica), comprese criminologia e feste comandate, porta sempre le Clarks (sedici paia e tallonite al sinistro dopo i primi dieci mesi di montagna), si fa regolari canne, collega le persone incontrate a una specie animale, gira in Volvo. Trovano una trans argentina M to F morta, sulle rive della Dora Baltea; la prostituta è stata strangolata a casa e gettata lì. Già risulta complicato dargli un’identità, peggio se capisce di essere seguito e spiato, sembra c’entrano i Servizi in qualche modo. E, poi, a Castel di Decimo in un campo sulla Pontina, trovano un cadavere sgozzato, in tasca un foglietto con il suo numero di cellulare. Potrebbe tornare a galla la vecchia storia del traffico di droga ed essere coinvolto Enzo Baiocchi, il vendicativo detenuto scappato da Velletri che (volendo uccidere lui) ha già ucciso Adele, donna del grande amico Sebastiano, messosi in caccia verso il Friuli. Rocco cerca gli amici e risolve entrambi i casi; ma forse è peggio: verità e giustizia son distanti.

Fra altre scritture, sesto romanzo per l’attore e regista Antonio Manzini (Roma, 1964) della bella sospesa serie Schiavone, originale anche perché concepita come un unico romanzo “alla ricerca del tempo perduto”. Dal 2013 finora ha narrato dieci mesi valdostani del suo vicequestore (comunque frequenti le incursioni sugli antefatti romani, non solo nei racconti), sempre con uno straordinario meritato successo (nell’autunno 2016 anche in tv). Tutto avviene in terza persona, quasi fissa o comunque connessa al protagonista, al passato. Anche qui è vero autentico noir, il protagonista fa i conti con il proprio dolore strutturale e con il proprio ruolo formale, mettendo a repentaglio l’amicizia più profonda, quella trasteverina dei sodali romani (Furio e Brizio oltre a Seba), loro ancora sul crinale del crimine ai bordi della legalità, lui ormai poliziotto di (poco) potere, bene o male che sia. Le molliche possono essere lasciate non da Pollicino ma a bella (polverosa) posta. E si tradisce nell’ombra, talora senza saperlo volerlo poterlo. Il latino appare nel titolo (appunto “polvere e ombra”, Orazio), nelle ripetizioni sulle declinazioni, in qualche proverbio. I personaggi vecchi e nuovi lasciano bene il segno: il questore Costa, il magistrato Baldi e la turbata vice Caterina fra i primi; fra le seconde la dolce Carmen all’ambasciata dell’Honduras e la sospettosa palermitana commissario della Scientifica (appena arrivata) Michela Gambino, convinta che le scie chimiche siano un ottimo sistema di controllo da parte dei 300 registi mondiali. Segnalo che il 40enne calciatore dilettante Gianandrea rinviene il cadavere mentre ascolta Finardi e corre dopo solo due mesi di fermo per la cuffia dei rotatori. Più che su scontati bianco o rosso, meglio puntare su rhum e cioccolato fondente. Gabriele gli mette David Bowie in sottofondo triste e Rocco apprezza.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Daniele Barbieri

    Mi fa piacere sapere che almeno dentro un romanzo («La notte della rabbia» di Roberto Riccardi) vi fu negli “anni di piombo” qualche alto ufficiale «ostinatamente rispettoso della legalità». Io – forse per sfortuna? – non ne ho avuto sentore in quel così difficile passaggio storico mentre, come tante/i, ho visto invece che le forze dell’ordine quasi sempre proteggevano i fascisti e/o violavano le regole minime della democrazia, Di certo alcune brave persone c’erano anche allora nelle “forze dell’ordine” italiane ma così poche da rendere difficile incontrarle… aggiungo che qualcuno venne anche cacciato – o emarginato – perchè davvero «rispettoso della legalità» (cioè della Costituzione), Ma forse Roberto Riccardi si fa “ingannare” dalla sua relativamente giovane età (leggo che è del 1966) mentre io che oggi sono un vecchietto nei cruciali anni ’70 e inizio ’80 c’ero e … ricordo un’Italia ben diversa.

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