Cadorna e altri massacratori

di Maria Rosa Calderoni (*)
Il IV novembre? Va bene, si potrebbe anche chiamarla, egregio ministro La Russa, la «Festa del Decimato Ignoto». Il capitolo fucilazioni sommarie, nel corso di quei tre maledetti anni 1915-1918,

non è mai rimasto chiuso anzi si è andato arricchendo, via via che la durezza della guerra si inaspriva e le terroristiche circolari di quel generale cui sono intitolate tante strade e piazze d’Italia, il comandante in capo dell’esercito italiano Luigi Cadorna, trovavano pronta esecuzione sul campo. Un capitolo tuttavia su cui la retorica patriottarda, i libri di scuola e gli stessi storici (tranne lodevoli eccezioni) preferiscono sorvolare. Ma il capitolo è lì, qualcosa di molto prossimo all’assassinio.
Nel 1917, dopo la catastrofe di Caporetto, viene istituito in Parlamento un Comitato segreto sulla condotta della guerra (i cui lavori vennero resi noti solo nel 1919); ecco alcuni flash dai verbali di quelle sedute. 29 giugno, intervento del deputato Giuseppe Emanuele Modigliani (socialista): «Il gen. Cadorna è in arretrato di un secolo, anche nel modo con il quale s’intende da lui mantenere la disciplina militare, cioè col terrorismo e le fucilazioni per sorteggio e le decimazioni». 1 dicembre 1917, dall’intervento del deputato Michele Gortani (cattolico): «Perché si è permesso che il gen. Cadorna instaurasse e mantenesse per due anni e mezzo nell’esercito il regime del terrore?». 17 dicembre 1917, dall’intervento del deputato Marcello Soleri (liberale giolittiano): «…Quando si è punito con la decimazione chi non ha peccato, nessuna impunità può concedersi».
Ma nessuno, né il Parlamento né il governo, riuscirono a fermare la mano di quel Comando supremo con a capo Cadorna che, secondo il giudizio lapidario che ne ebbe a dare Vittorio Emanuele Orlando, «ammazza troppi soldati e troppo in fretta».
La lugubre statistica dei soldati uccisi per decimazione o per giustizia sommaria sul posto o durante il combattimento, non è precisa, sfuma e si disperde «in quell’immensa schiera di processati e condannati, un esercito nell’esercito» che la militar giustizia causò nei ranghi dei nostri soldati al fronte. Nel loro libro «Plotone di esecuzione» (Laterza), Enzo Forcella e Alberto Monticone riescono a darne solo una valutazione per difetto. Se in totale «durante la guerra furono più di quattromila le condanne a morte emesse dai tribunali militari», da tale computo resta escluso quello «delle fucilazioni sommarie, che, senza giudizio, vennero eseguite nell’esercito operante nei tre anni e mezzo di guerra». Un computo che forse non si saprà mai, «tanto più che lo stesso ufficio giustizia militare del comando supremo ammise nel 1919 che non sempre erano pervenuti i rapporti sulle esecuzioni sommarie ordinate dai comandi subordinati». Fucilati e cancellati, senza nome e cognome, caduti per la patria, nel mucchio. Se infatti, per i soldati fucilati “in contraddittorio”, cioè con un processo, si conoscevano le generalità, e quindi le tombe (una rozza croce, con incisi alla bell’e meglio nome cognome e giorno della morte) i fucilati sommariamente finivano in una fossa anonima e venivano dati per dispersi in combattimento. Spesso persino gli ufficiali che ordinavano l’esecuzione ignoravano il nome delle vittime.
Comunque, uno più uno meno, la conta esiste, stilata di pugno dall’autorità militare medesima: 107 uccisioni sommarie “ufficiali”. Ma una noticina a margine avverte, vedi caso, che in tale contabilità «non erano comprese le 34 fucilazioni ordinate dal generale Graziani». Per esempio.
Alberto Monticone nel libro citato offre una sua accurata, personale “conta”, molto precisa e circoscritta al solo maggio 1917, mese nel quale la cifra ufficiale era di 5 (cinque) fucilazioni sommarie. Invece, denuncia Monticone, «possediamo i seguenti dati: 1 fucilato per simulazione di infermità in faccia al nemico nel 139mo fanteria; 1 fucilato nel 262mo fanteria per mutilazione in faccia al nemico; 11 fucilati nel 117mo fanteria prima della decima battaglia sull’Isonzo; 2 fucilati per ammutinamento nel 4 bersaglieri; 10 fucilati nel 74mo fanteria; 2 fucilati nella brigata Mantova perché sorpresi a sparare in aria». Fa un totale di 28. Per esempio. Un resoconto che nessuno potrà mai fare, un sangue senza prezzo in vista degli «Orizzonti di gloria»…
Ecco come nel suo libro – «L’Isonzo mormorava» (Mursia) – Cesare De Simone riporta le gesta del “fucilatore” Andrea Graziani, il generale nominato da Cadorna come Ispettore generale del movimento di “sgombro” dopo la rotta di Caporetto. L’episodio viene reso noto da un articolo molto circostanziato pubblicato dall’«Avanti» il 29 luglio 1919. Ecco. «Il generale Graziani, di passaggio per Noventa di Padova il 3 novembre 1917, alle ore 16,30 circa, vede sfilare una colonna di artiglieri da montagna. Un soldato, certo Ruffini, di Castelfidardo, lo saluta tenendo la pipa in bocca. Il generale lo redarguisce e riscaldandosi inveisce e lo bastona. Il soldato non si muove. Molte donne e parecchi borghesi sono presenti. Un uomo interviene e osserva al generale che quello non è il modo di trattare i nostri soldati. Il generale, infuriato, risponde: “Dei soldati io faccio quello che mi piace” e per provarlo fa buttare contro il muricciolo il Ruffini e lo fa fucilare immediatamente. Poi ordina al tenente colonnello Folezzani (del 28mo artiglieria campale) di farlo sotterrare: “E’ un uomo morto d’asfissia” e, salito sull’automobile, riparte. Il tenente colonnello nel rapporto non ha voluto porre la causa della morte. Tutti gli ufficiali del 28mo artiglieria campale possono testimoniare il fatto».
L’«Avanti» ne fece uno scandalo e a Roma venne organizzata una manifestazione «contro le fucilazioni sommarie e le decimazioni dei generali di Cadorna».
IV Novembre. Quell’esercito di operai e contadini in gran parte analfabeti, quella carne da cannone mandata al macello con larga abbondanza. E con i regi carabinieri alle spalle, a fucile carico.
IV Novembre. Per esempio, come è morto il soldato Clerici Giovanni, secondo sentenza del Tribunale militare straordinario emessa alle ore 10 del giorno 16 luglio 1916: «…Considerato che, pur non essendo provato che egli sia l’autore dei due bigliettini incitanti alla rivolta, risulta però da prove testimoniali che egli abbia ripetutamente pronunciato frasi in cui l’incitamento alla rivolta è esplicito… Sentito il Pm che ha richiesto per l’imputato la pena di morte previa degradazione, il Tribunale all’unanimità lo condanna alla pena di morte da eseguirsi immediatamente sul posto»: Clerici Giovanni, nostro fratello.
(*) Ho recuperato dalla rete – per esempio in www.webalice.it/ – questo articolo del 2008 di Maria Rosa Calderoni (titolo originale «4 Novembre? Parliamo piuttosto del gen Cadorna, il fucilatore di soldati») che per anni ha scritto sul quotidiano «Liberazione» ed è autrice, fra l’altro, di «La fucilazione dell’alpino Ortis» (Mursia, 1999): vedi qui in blog Scor-data: 1 luglio 1916. Ricordo che su questo blog ci stiamo impegnando – non solo la piccola redazione ma ovviamente con chi ci sta – a recuperare le storie per costruire una contro-celebrazione a quella bugiarda che, dopo 100 anni, ci viene inflitta chiamando eroi gli assassini e battaglie i massacri, in nome di patrie inventate per favorire i mercanti d’armi. (db)

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  • Sarebbe bene che la sinistra e i movimenti politico-sociali di opposizione denunciassero invece con forza il carattere manipolatorio e falsante del centenario, si opponessero a spese consistenti e inutili (a cominciare dall’intervento di restauro e allestimento museale di Redipuglia), rilanciassero una visione corretta di quella guerra. E chiedessero di onorare la memoria dei decimati e fucilati attraverso un monumento che li ricordi e la riabilitazione giuridica.

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