Caino

di Chief Joseph (*)

Non ho paura degli stranieri, di questi mostri che rubano, stuprano, uccidono e ci portano via la nostra terra. Non ho paura, perché sono identificabili ma soprattutto identificati. Infatti, qualsiasi cosa succeda, la storia di questi anni è costellata da colossali abbagli. «Dagli al mostro, albanese (rumeno. o marocchino)» e poi si scopre che le bestie, autori di efferati delitti, sono i nostri vicini. Mostrano la dolcezza dei ruffiani e la disponibilità degli intransigenti.

Il mio vicino mi angoscia e mi fa paura. Partecipa alla raccolta di fondi per terremotati e si sente più buono però, quando qualcuno bussa alla sua porta, viene allontanato. Accetta tutti, a condizione che non sia invasa la sua ipocrita tranquillità quotidiana. Il mio vicino non ha difficoltà a discutere per ore sul numero esatto delle zampe di un millepiedi, o su come e quando deve essere insegnata la tabellina del nove. Non parla di politica, anche quando il mondo precipita, perché trattasi di cosa sporca. Sostiene che tutti i partiti sono uguali ma poi vota, da sempre, per la stessa fazione. Il mio vicino ha imparato dai governi Usa ed è in grado di innovazioni sociali e politiche. Ha fondato il partito comunista dei proprietari delle terre degli altri, sancendo il rivoluzionario principio per il quale ciò che è mio appartiene solo a me e la proprietà degli altri deve essere considerata spazio comune e soggetto ai principi marxisti-leninisti. Il mio vicino va in giro con un pallottoliere alfabetico che permette un numero limitato di possibilità per interloquire e sviluppa una struttura rigidissima, comprensiva in ogni evenienza di un inizio, un passaggio intermedio (non sempre) e una fine. Non c’è spazio per altri passaggi e, molto spesso, si trova spiazzato. Tuttavia non si scompone: pone a caso i due momenti, non cede mai alla debolezza della riflessione, e prosegue con la sicumera di che sa di essere salvo e nel giusto. Il mio vicino urla, insulta e invade i miei spazi con il sorriso sulle labbra e con la solidarietà degli altri. Si sente protetto da una legge bislacca, che si ispira al vecchio e mai abbastanza vituperato adagio: «Ma si è sempre fatto così» che non è naturalmente in grado di spiegare che i diritti e i doveri devono essere uguali per tutti. Il mio vicino non uccide e non ruba, fa anche le adozioni a distanza, addirittura di bambini neri. Ma che stiano al loro posto, diamine! Infatti allontana immediatamente la Piccola Fiammiferaia, quando la poverina ha la spudoratezza di sedersi al suo fianco; e Biancaneve, soprattutto se povera o straniera, aspetterà invano il soffio della vita, se spera che il mio vicino di casa possa contaminarsi le labbra. Il mio vicino ha una preghiera preferita, che recita pressappoco così «Mondo nostro, che sei sulla Terra, dacci oggi i nostri assassini, ladri e stupratori quotidiani, perché, solo in questa maniera, non verrà mai a galla la mia mostruosità, fatta di affettate buone maniere, ipocrisia, pettegolezzo, preconcetti, prepotenza». Il mio vicino non fa mai nulla all’insegna della gratuità, tutto nella sua vita è dominato dalla logica del “Do ut des”. Non bestemmia mai, infatti non condisce con epiteti il nome di Dio, gli è sufficiente usare il suo nome per fare i propri interessi e per esprimere una profonda schizofrenia fra quello che è e quello che mostra agli altri. Non nega Dio, si limita a negare gli altri uomini. Il mio vicino non si chiede dove è finito Abele, perché sarebbe pericoloso riavviare le indagini. Preferisce si continui a maledirmi, abbeverandosi alla falsa verità che l’assassino sia io, Caino.

(*) Chief Joseph (1840-1904) è stato una guida (militare e spirituale) dei Nasi Forati, un popolo nativo americano. Si chiamava in realtà Hinmaton Yalaktit, che in lingua niimiipuutímt significa Tuono che rotola dalla montagna.

L’IMMAGINE – scelta dalla bottega – è di Renè Magritte.

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