Callegari, Carofiglio, De Giovanni, Khadra, Le Corre, Nesbo e Winslow

7 recensioni (giallo-noir) di Valerio Calzolaio

 

Jo Nesbø

«Il fratello»

traduzione di Eva Kampmann

Einaudi

644 pagine, 22 euro

Os, un podere montano del minuscolo paesino ai piedi del monte Ottertind nella Norvegia settentrionale. Settembre 2014. Inaspettatamente il 35 enne Carl Opgard torna dal Minnesota e sono nuovi guai, iniziati fin da quando il padre gli chiese, fragile 15enne, di dimostrarsi uomo e di uccidere il cane Dog, poi sgozzato invece dal protettivo duro fratello maggiore 16enne. Lo racconta lo stesso 36enne Roy Opgard, quasi vent’anni dopo, lui che è rimasto sempre lì a gestire la stazione di servizio e l’officina, burbero solitario silenzioso, dopo che i genitori morirono sulla strada di casa, sfracellandosi nello strapiombo all’altezza della curva delle Capre. Carl arriva su una nera Cadillac de Ville, un modello più recente dello stesso pesante veicolo che aveva avuto papà, a bordo c’è anche la graziosa esile minuta moglie Shannon Alleyne, carnagione bianca, occhi bruni, corti capelli rosso ruggine, lentiggine sulla radice del naso, originaria di Barbados, divenuta architetto in Canada (dove aveva appunto incontrato pure il futuro marito, impegnato come imprenditore in un progetto edilizio). Carl se n’era andato da casa quindici anni prima, a cercar fortuna, senza più farsi vedere. Era il cocco di tutti, effeminato e irresistibile amicone, alto e aitante, allegro e sempre ottimista, brillante cinico delicato compassionevole. Torna perché non gli sta andando molto bene all’estero e vuole proporre il grandioso progetto di costruire un hotel-spa d’alta quota, in modo di trasformare Os in una ricercata località turistica. Gran parte dei compaesani si lascia presto convincere e in un anno e mezzo ne accadono di cotte e di crude. Tornano a galla tutte le storie e gli intrecci del passato, riemerge il contorto profondissimo legame morboso fra i due fratelli, si continua a indagare sugli incidenti delle auto cadute nel precipizio e ora sulle magagne del nuovo progetto. Roy prova a tenersene alla larga, si ricrede pur di salvare Carl, possono uscire dai guai solo insieme.

L’ottimo talentuoso fortunato Jo Nesbø (Oslo, 1960), già calciatore di A, agente di borsa, giornalista, chitarrista e paroliere (spesso negli stadi con la sua band Di Derre), da quasi venticinque anni è famoso nel mondo per gli ottimi lunghi noir della serie Harry Hole (ormai siamo tutti tragici holeomani) ma scrive spesso altri interessanti romanzi di genere (quando non ha da suonare o arrampicarsi). Questa volta le peculiarità stilistiche sono varie: la narrazione è sempre in prima persona al passato (proprio del protagonista che usa parlare poco); l’ambientazione lontana dalla metropoli e fissa sullo sperduto selvaggio gelido ecosistema di monti, foreste, laghi, stradacce e piccoli agglomerati (la pompa in mezzo alla neve della copertina); il tema un’introspezione psicologica della potente primordiale relazione di sangue fra due fratelli (da cui il titolo) pur molto diversi, divenuti inseparabili durante infanzia e adolescenza, a costo di scelte morali sbagliate; lo svolgimento una specifica rete di gelosie e rivalità, odi e amori, interessi e alleanze, falsità e pettegolezzi della comunità in un piccolo posto, connessi a inevitabili accidenti e crimini di tante esistenze individuali (effimere e precarie). Possedere malvagità interiore è la ragione per cui il dolore di farsi del male è minore della gioia di poter trascinare a fondo con sé altre persone. Shannon preferisce il norvegese all’inglese, conoscendola meglio ma considerandola (forse) la lingua scritta più infelice del mondo; considera Sigrid Undset una sorta di second wave feminist; attribuisce correttamente il desiderio mimetico a René Girard: desideriamo quello che desiderano gli altri. Roy ama il blues sommesso e gli assolo (a solo?) minimalisti di J. J. Cale. Gli alcolici sono urgenti e abusati; molto ruota pure intorno al tabacco, in particolare allo snus americano (ben diverso da quello svedese)!

 

Hervé Le Corre

«L’ombra del fuoco»

traduzione di Alberto Bracci Testasecca

Edizioni e/o

496 pagine, 19 euro

Parigi. Giovedì 18-domenica 28 maggio 1871. L’insegnante (ora in pensione) e grande scrittore Hervé Le Corre (Bordeaux, 1955) si cimenta con successo in un’impresa narrativa complicata: ambientare un sordido noir (genere di cui è riconosciuto premiato maestro) nei giorni finali di una nota dolorosa rivoluzione affogata nel sangue, fra i mitici corali epici Comunardi, creativi ma barricati agli albori della Terza repubblica, sotto assedio e i bombardamenti dell’esercito prussiano vincitore e dell’esercito regolare francese sconfitto. Per chi ne ha letto le ricostruzioni storiografiche, cronache e testimonianze, letteratura e scienza, c’è ancora di che commuoversi ogni volta che se ne parla. La narrazione investigativa sull’infernale braciere di morti, “L’ombra del fuoco”, è in terza varia, gli amabili personaggi principali sono il sergente Nicolas Bellec della Guardia nazionale e l’indomita fidanzata infermiera Caroline, rapita anche lei da un malvagio criminale.

 

Maurizio De Giovanni

«Troppo freddo per settembre»

Einaudi

256 pagine per 18,50 euro

Napoli. Gennaio (non 2021). La conturbante dottoressa 42enne Gelsomina Mina Settembre, miopi occhi e capelli corvini, labbra piene, zigomi alti, seno prosperoso, gambe lunghe, assistente sociale nel consultorio del quartiere più popoloso (Quartieri Spagnoli Ovest), milleduecento euro mensili pagati a singhiozzo, riceve la vedova Antonia D’Amato che le chiede un aiuto inedito. Il figlio Rosario Contini è appena uscito dal carcere, dove ha scontato una pena di anni dieci ridotta a sei e mezzo, la madre è certa che stia per essere accusato di omicidio volontario e, in effetti, è davvero morto Giacomo Gravela, docente di Lettere in pensione. Sul caso stanno indagando l’integerrimo intelligente ambizioso magistrato Claudio De Carolis e il maresciallo Gargiulo. La portinaia di uno stabile ha trovato in soffitta, un sottotetto di pertinenza condominiale, il cadavere dell’uomo, è stato probabilmente avvelenato dal monossido di carbonio, intossicato dal vapore della stufa, appariva già strano che si trovasse lì e sul cornicione verificano che la canna era stata scientemente ostruita. La residenza del professore risultava al piano di sotto, con la famiglia del debole figlio Alessandro, l’antipatica nuora Tiziana e la sveglia nipotina Fabiana di dieci anni, che adorava il nonno, ricambiata. Rosario aveva perso il padre quand’era neonato, ucciso per questione di famiglie criminali, poi era stato un ottimo studente di Gravela, si era sposato con Deborah, la figlia del boss numero uno, avevano un amato figlio Pasqualino che lui non aveva visto crescere; proprio il professore lo aveva denunciato alla vigilia di un colpo criminale imposto dal contesto, si era laureato in carcere e, una volta libero, tutti si attendevano che si sarebbe vendicato. Appunto. Appunto? Mina è buona e sincera, pronta ad accollarsi cause disperate; si confida col bellissimo collega ginecologo della porta accanto Domenico Mimmo Gammardella e, insieme, passano all’azione per capire, sbrogliare e risolvere. Forse.

Il grande scrittore napoletano Maurizio De Giovanni (1958) prosegue con successo la nuova serie gialla sulla prorompente protagonista apparsa già (per Sellerio) in due racconti di raccolte di qualche anno fa e nel precedente romanzo del 2019, uscito in libreria sempre nel mese di settembre. L’autore si mostra ancora alla ricerca di un incidere specifico e meno caricaturale, diverso dagli altri ingranaggi già e meglio noti. Comunque il personaggio piace e tornerà presto, nel 2020 sono stati girati fra l’altro i dodici episodi della serie televisiva con Serena Rossi. La narrazione è sceneggiata in terza persona varia, soprattutto sulla volitiva Settembre (con le pettegole amiche sodali) e sul suo ex marito De Carolis (con lo schiavizzato maresciallo); oppure su Rudy, il portiere dello stabile dell’ufficio con lo sguardo fisso sulle tette di Mina (è a loro che parla) e su Rosario, colpevole designato e vittima sociale, accreditato erede a un trono che non desidera, giustamente segnato a scuola da Il conte di Montecristo. In corsivo, ogni tanto, le gradevoli brevi storie raccontate dal nonno alla nipote. Segnalo che anche gli assassini possono migrare, a pagina 198. La trama è ben congegnata, a tratti fiabesca; come al solito lo stile è godibile ed empatico. Mina vive ancora con l’insopportabile madre e ne soffre molto; mostra notevole insofferenza pur essendo sempre più attirata da Mimmo. Ora gli ricorda l’irresistibile Kevin Costner, in ogni situazione di contatto riferibile alle diverse interpretazioni di indimenticabili film; l’attrazione è crescente e reciproca, pur se ancora non si esplicita in gesti e parole. Fuori, fa un terribile freddo siberiano, ci si imbacucca (da cui il titolo). Napoli vien fuori come sempre alla grande, nel male e nel bene. Dal suo ventre emerge il personaggio di Enrico Scotto Il Dottore, vecchio colto barbone, sincero amico del defunto: gli basta uno sguardo e individua tutte le reali malattie dell’interlocutore. Vino rosso, se possibile Aglianico del Taburno.

 

Carlo Callegari

«La Ling Gao Gang»

presentazione di Nicola Bruno, prefazione di Matteo Strukul

Linea Edizioni

Veneto e molto altro. Dieci giorni di inizio 2019. Carlo “Pazzo” Verdi è un agorafobico tatofobico da un anno recluso in casa a Padova, pieno di tic, manie e attacchi di panico. Gli hanno riconosciuto una mini pensione e lavoricchia in vari modi (pure illegali) dal computer. Insieme ad altri tre disabili ha organizzato una collaborazione esterna a distanza per l’agenzia Digital Investigation, raccolgono informazioni commerciali che possono essere rivendute. Gli altri tre F4, Fantastic Four, smanettoni web investigator, sono: da Hong Kong la minuta bella paraplegica Ling Gao, benestante direttrice della piattaforma Happy Card con interessanti punti orgasmo; dalla Norvegia il muto allampanato Lars Olaffson, baby pensionato, falsario e traduttore per turisti sordomuti; dai romeni Carpazi il tarchiato cieco Poppe Vaideanu, ottimo craccatore di ebook e audiolibri, buon conoscitore di lingue compreso l’italiano. Si è appena consumata la più grande rapina di merce nella storia dell’e-commerce e decidono subito di proporsi per investigare. Alibaba, la nota enorme piattaforma di commercio elettronico cinese, è stata alleggerita di più di 100 milioni di dollari in merce di vario tipo, recapitata direttamente in un magazzino con indirizzo dato e gestito dai ladri, un colpo apparentemente impossibile considerando gli standard di sicurezza e i controlli sui pagamenti. I vertici del gruppo hanno immediatamente messo due milioni di dollari di taglia destinati a qualsiasi soggetto capace di risolvere il mistero e smascherare i colpevoli. Nicola, il titolare della loro agenzia, accetta la sfida e Carlo chiede agli altri tre (e al cane guida di Poppe, il golden retriver Ivan) di raggiungerlo, pagando i biglietti aerei di tasca propria. Non potranno restarsene fermi, qualcuno o tutti verso Frisinga, Montecarlo, Barcellona, Dakar, la storia è ingarbugliata e pericolosa, criminale e avventurosa.

Lo scrittore Carlo Callegari (Padova, 1972) inaugura per la bella casa editrice veneta una “collana analogica” di «gialli digitali», interamente prodotta da un’agenzia di marketing e comunicazione, con l’obiettivo (anche) di consentire ai lettori di familiarizzare con dinamiche, acronimi, sigle, alchimie algoritmiche del settore; ecco che in fondo al divertente romanzo, una sorta di fiaba noir, c’è un glossario di varie pagine su una decina di termini e concetti chiave, spesso usati nel testo. Del resto, il dark web è parte importante dell’ambientazione e della vicenda. La narrazione è in prima persona al passato. Parla Carlo, impaurito e curioso, alla riscoperta dell’uscire all’aperto on the road e alla scoperta della precaria fisicità dei nuovi grandi amici. I dialoghi sono inevitabilmente allegri e ridicoli, sorprendenti e scoppiettanti, nell’azione comune si fanno maggiori reciproche veritiere confidenze e vengono fuori originali interessanti biografie. I viaggi in pulmino sono flagellati da play list di Ling Gao (inevitabile capo della gang, da cui il titolo) e di Poppe, i protagonisti passano da brani come l’Italiano Vero di Toto Cotugno alla musica folk cinese. Lars preferisce i Subsonica. Ottimo il mix di tre gocce di Valium e una pasticca di Xanax con l’aggiunta di un paio di chupito rum e pera; pur se non mancano Sambuca, Bloody Mary, Dom Perignon e vari Chardonnay di marca e d’annata.

 

Don Winslow

«Ultima notte a Manhattan»

traduzione di Alfredo Colitto (originale «Isle of Joy» 1996)

Einaudi

352 pagine per 18,50 euro

Manhattan. 23-31 dicembre 1958. Walter Withers è nato nel 1925 in una famiglia benestante del Connecticut (padre agente di borsa), liceale a Loomis, universitario a Yale (laurea in Storia), naso piccolo e capelli biondo cenere, discreto giocatore di tennis e bravo giocatore di poker, fumatore di Gauloise, onesto e affabile, elegante e forbito. Ha raggiunto i 33, nel marzo precedente si trovava a Stoccolma per la CIA e gli mancava molto New York. Da vari anni risultava, di fatto, soltanto un Puttaniere, Grande Pappone Scandinavo e Reclutatore Letale: aveva tutta una scuderia di sincere svedesi, fantasiose danesi e ardenti norvegesi che facevano fare ai loro amanti del patto di Varsavia le Olimpiadi del sesso, per piacere, per denaro e per i microfoni della Compagnia. Si parlava però di una talpa in azione, lui si sentiva stufo e distratto perché innamorato della bella sensuale Anne Blanchard, alta solo uno e cinquantacinque, occhi grigi, corti capelli biondi, donna di sinistra e magnifica cantante di jazz, conosciuta al party del 4 luglio 1956 e spesso accompagnata dove si esibiva: Parigi, Amburgo, Copenaghen, Costa Azzurra, poi con un breve contratto nella capitale svedese, in procinto di tornare a New York per registrare il secondo disco e cantare nelle sale. Avevano deciso di ripartire insieme, Walter si era dimesso per andare a lavorare come investigatore privato alla Forbes & Forbes in Rockefeller Plaza. Da aprile 1958 mantengono due appartamenti distinti, lei al Village in Washington Square, lui nel pittoresco Murray Hill sull’East River, ma dormono quasi sempre insieme. Per la vigilia di Natale gli assegnano un paio di incarichi che travolgeranno le loro esistenze: deve verificare il fascicolo di Michel Howard, in lista per il posto di vicepresidente della American Electronics e, soprattutto, gestire le marachelle del probabile futuro Presidente, il senatore democratico Joseph Keneally.

Don Winslow è nato il 31 ottobre del 1953 a New York, è cresciuto nei pressi, sulla costa orientale (a Rhode Island), madre libraia, padre sottufficiale della Marina, precoce vocazione letteraria, laurea in storia africana. Nel 1958 aveva cinque anni e non era ancora divenuto il migliore scrittore americano dell’ultimo trentennio. Nel 1996 uscì questo suo ottimo sesto romanzo e dal mitico settimo (Bobby Z., 1997) si dedicò poi a tempo pieno alla scrittura. Fino ad allora, fin quasi a 43 anni, pur sempre scrivendo molto a vario titolo, aveva svolto molteplici fantasiosi mestieri in patria (fra l’altro, manager teatrale) e all’estero (fra l’altro, guida di safari in Kenya ed escursioni in Cina), in particolare l’investigatore privato e il consulente di studi legali o assicurativi, attività di cui vi è ampia traccia (di continuo si citano le dettagliate istruzioni e informazioni per spia e detective, apprese dal giovale Walter in seno alla Compagnia statale e all’agenzia privata), così come nella pentalogia d’esordio con l’investigatore letterato Neal Carey (1991-96) avevamo goduto pure delle esperienze internazionali. Nelle opere successive l’autore e l’ambientazione prevalente migreranno in California, pur se il legame con New York non verrà mai reciso. Qui la metropoli imperiale emerge come la “sua” città, nei migliori giorni e notti di un anno magnificamente ricostruito, da cui il titolo italiano (esplicitamente) e quello originale (implicitamente), tratto dall’ultima strofa del celebre pezzo intitolato appunto alla gioiosa isola Manhattan, eseguito anche da Sinatra. La narrazione è in terza esclusiva su Walter lungo una settimana di avventurose storiche peripezie. Sono tre i fili del racconto: il complotto e i tradimenti di cui il protagonista è vittima e di cui si rende conto quando gli omicidi lo toccano da vicino; le sue ricerche professionali ed etiche su un ignaro ambizioso uomo d’affari sposato, forse omosessuale; le corrotte guerre fredde e calde, politiche e istituzionali, che alludono ai Kennedy e fanno confliggere tanto Fbi e Cia, quanto Usa e Urss; sempre intrecciando mystery, spy-story, hard-boiled, noir e classici (Shakespeare) con amorevoli sentimenti rosa. Segnalo le oltre venti deliziose pagine sul football americano e poi la discreta competenza sulle specie umane a pag. 307. Fra ossimori e metafore coerenti con varie simmetrie biologiche e matematiche, in mezzo a veritieri grandi scrittori e musicisti, innumerevoli puntuali divertenti citazioni di libri, film e canzoni d’epoca (queste ultime nella nota conclusiva). Tanti alcolici misti, sempre e ovunque; non mancano i cioccolatini Godiva. Jazz suonato, ascoltato, interpretato, addirittura cantato, alla grande!

 

Gianrico Carofiglio

«La disciplina di Penelope»

Mondadori

186 pagine per 16,50 euro

Milano. Novembre 2017. Penelope Spada scivola dal letto per non svegliare l’ennesimo uomo col quale si è accompagnata la sera prima, un culturista col quale aveva simulato l’orgasmo pur di fargli interrompere le prestazioni ginniche. Esce di casa, lascia una banconota da venti fra le dita di un barbone dormiente, infila gli auricolari per ascoltare Nick Cave e torna a casa. Alle 11 ha appuntamento al bar di Diego, lì vicino, con tal Mario Rossi. Aspettando si fa un caffè americano in tazza grande con correzione di Jack Daniel’s. Quando lui arriva scopre che non è uno pseudonimo, si tratta del vero nome di un agente immobiliare alto e magro, bello e fragile. La moglie Giuliana Baldi era stata assassinata il 13 ottobre 2016, un anno, un mese e tre giorni prima, faceva l’istruttrice di fitness, lavorava soprattutto come personal trainer privata, considerava Rossi mediocre e certo aveva altre storie. Il corpo fu rinvenuto in un’area incolta alla periferia di Rozzano, ma il colpo di pistola alla testa l’aveva uccisa altrove, scomparsi cellulare portafogli gioielli, pur se qualcosa indicava che la rapina era movente da escludere. Dopo indagini abbastanza accurate, il caso era stato archiviato ma nel fascicolo avevano scritto che i sospetti a carico del marito erano “inquietanti” e, prima o poi, la piccola figlia di sette anni lo sarebbe venuto a sapere. Rossi è ancora segnato dalla vedovanza e tiene molto alla bimba, vorrebbe comunque evitarle il trauma e il dubbio. Su consiglio di uno dei giornalisti che aveva seguito la vicenda, Filippo Zanardi del Corsera, chiede a Penelope di scoprire il colpevole, le dà la chiavetta e le offre 2000 euro come anticipo, a lei perché sa che era un pubblico ministero bravo, di botto cacciata (per porcate altrui e cazzate proprie) e rimasta senza ruolo. Lei pensa di rifiutare, parla con l’amico Zanardi e con l’esperto poliziotto Barbagallo e infine accetta; approfondisce l’unica traccia, i peli di un cane bianco sugli abiti della vittima; cerca di risolvere il giallo.

Gianrico Carofiglio (Bari, 30 maggio 1961) è probabilmente il più bravo scrittore italiano contemporaneo, certo quello di maggior meritato successo (considerando Camilleri fuori quota, per più ragioni). I suoi romanzi sono levigati. Ha svolto a lungo funzioni di magistrato e iniziò la carriera letteraria con un giallo (uscito nel 2002), il protagonista divenne seriale ed è stato alternato in questi venti anni con altri romanzi, racconti lunghi, saggi sulle parole e la scrittura, sugli interrogatori e l’investigazione, sceneggiature, drammaturgie. Qui cambia registro emotivo, come in un soffio di vita (o come all’inizio di una serie tv), pur se con i soliti incidere elegante, stile chiaro, ricerca dei termini da usare o togliere. Questo breve bel romanzo è semplicemente un giallo, con varie novità dense di futuro: narrazione in prima persona al femminile, ambientazione milanese, mancate informazioni sulla dura Penelope visto che nulla sapremo per ora di preciso sulle trascorse rilevanti vicende familiari, professionali, affettive e sportive (forse salto con l’asta). Lei ha preso il nome dell’amata nonna che tanto le aveva insegnato su cucina e letteratura (morta quando aveva 16 anni); è disciplinata senza sottomissioni e competente di amministrazione della giustizia; non ha licenze e campa con indagini irregolari da due soldi su beghe amorose (quelle che però talora finiscono con le donne ammazzate) e con l’affitto di uno dei due appartamenti che possiede (dove abita si prende cura di una magnolia bonsai, Valentina); mangia equo e sano, dona il sangue, ma beve e fuma molto e sempre; continua a fare corse esercizi piegamenti trazioni nei giardini di Milano; gira in moto quando può; usa spesso psicofarmaci per dormire; cambia maschio di continuo e solo per il sesso (rare esperienze anche con donne). Fra i vini preferisce Sauvignon e Pinot nero; il whisky non manca mai.

 

Yasmina Khadra

«L’affronto»

traduzione di Marina Di Leo

Sellerio

258 pagine, 14 euro

Tangeri. Poco tempo fa. Il vicecommissario di polizia Driss Ikker, di umili origini, sposato con una bella signora di famiglia ricca e potente, era prossimo al coma etilico quando il sovrintendente lo trovò in un albergo malfamato, nudo di fianco a una prostituta che russava. La moglie è stata violentata, le indagini si avviano senza adeguata determinazione, finché non le prende in mano lui stesso, addolorato sinceramente e culturalmente oltraggiato. Tanto più lei, Sarah, che ha subito la violenza fisica. Quali onori sono stati distrutti? Driss se lo domanda, si sente un protetto invidiato, ora in balia dei rapporti di potere nel Marocco contemporaneo, di inganni e tradimenti, fuori e dentro la famiglia e il lavoro. “L’affronto” è l’ultimo ottimo noir in terza varia di Yasmina Khadra, ex militare nato nel Sahara francofono, testimone della guerra civile in Algeria, pseudonimo femminile (scelto decenni fa per non farsi riconoscere) dell’algerino.francese Mohammed Moulessehoul (1955).

 

 

Redazione
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