Camila O’ Gorman e Ladislao Gutierrez: un…

… amore tragico nell’Argentina del 1800

di Francesco Cecchini

Goya è una città a circa duecento chilometri a sud di Corrientes,in Argentina. È sul fiume Paranà,

ha un paio di piccoli porti, poco attrezzati e poco utilizzati. É famosa per la fiesta nacional del surubí, un grosso pesce che nuota in abbondanza nelle acque del fiume. Accorrono pescatori da tutta l’Argentina per pescarne alcune centinaia di esemplari. Nell’aria delle periferie della città si respirano mescolati gli odori del fiume e delle foglie di tabacco messe a essicare. L’industria “tabacalera” qui è importante. Le origini della città non sono ben definite e prende il nome non dal pittore ma sembra da una bottegaia, Gloria – detta Goya – che faceva e vendeva formaggi. Si dice che passò di qui anche Giuseppe Garibaldi. La città possiede un patrimonio di architettura coloniale notevole, case basse in uno stile che dicono “italianizzante”. In una di queste (la casa de los Fernandez forse) vissero dal febbraio al giugno 1848, Camila O’ Gorman e Ladislao Gutierrez: lei giovane di 22 anni dell’alta società argentina, lui prete. Fuggiti da Buenos Aires e protagonisti di un amore proibito.

Nella primavera 1846 Ladislao, parroco della Iglesia del Socorro tra Juncal e Suipacha, e Camila (maestra della stessa parrocchia) sono inseparabili. Passano il tempo assieme: a cavallo o passeggiando per Palermo, nelle librerie o leggendo assieme poesie. Un amore non accettato dalla cultura del tempo ma anche fuori legge. Una relazione intollerabile che nella Buenos Aires di allora non poteva avere né presente né futuro. Nella società porteña le donne erano soggette all’autorità paterna e controllate affinché potessero consegnate vergini al futuro sposo. Le giovani di buona famiglia come Camila non erano obbligate né a studiare né a lavorare, ma a pregare, andare a messa, a cucire, rammendare… Camila, che insegnò in una scuola della parrocchia e frequentò un prete non solo in confessionale, ruppe così – poco più che adolescente – con il rigido schema sociale imperante. Per poter continuare ad amarsi fuggirono con nomi (Valentina San e Máximo Brandier) e passaporti falsi con l’idea di andare in Brasile. Dovevano fare i conti con i soldi che non erano molti e non permettevano immediatamente di attraversare il confine e di stabilirsi nel Paese straniero. Da Santa Fé o Paraná, dove avevano ottenuto i passaporti, risalirono in barca (alcuni dicono a cavallo) il fiume Paraná e si fermarono a Goya, molto lontano da Buenos Aires. Per tirare avanti aprirono una piccola scuola, la prima del posto, ed ebbero un ruolo sociale importante in quell’ambiente. Il padre di Camila, Adolfo O’ Gorman, che si sentiva disonorato, e la gerarchia ecclesiastica, nella persona del vescovo Medrano, li vorrebbero puniti: lo chiesero direttamente al dittatore in carica, Rosas.

Però dei due si erano perse le tracce. Per poco.

A una festa vennero riconosciuti da Michael Gannon, un prete irlandese (cioè con le stesse origini di Camila) e denunciati. Vennero trasportati a Buenos Aires per essere processati. Furono incarcerati e messi in catene nella caserma General de Santos Lugares di Rosas, ora San Andrés, General San Martín, a nord della capitale. Non ci fu processo, la violazione del voto di castità del sacerdote richiedeva una pena dimostrativa e immediata.

I tre – infatti Camilla aspettava un figlio da Ladislao – vennero fucilati nel freddo mattino (siamo in pieno inverno australe) del 18 agosto 1848.

Paradigmatico è un articolo che «La Gaceta Mercantil», quotidiano vicino a Rosas, pubblicò senza firma il 9 novembre 1848: «Camila e Leandro burlarono le leggi umane, come le divine; di crimine in crimine davano alla società scandalo e la prospettiva di altri in una innumerevole catena che il Governo tagliò con un colpo salutare di giustizia».

La memoria sociale dell’orrore commesso da Rosas e dagli alti vertici della Chiesa venne recuperata subito dal poeta gauchesco, Hilario Acasubi che la menzionò in «Paulino Lucero o Los gauchos del Río de la Plata cantando y combatiendo contra los tiranos de la Republica Argentina y Oriental de Uruguay» e in «Aniceto el Gallo: gacetero prosista y gauchi-poeta argentino».

Anche Alexandre Dumas (nelle «Memorie di Garibaldi 1» del 1860) raccontò di un eventuale battesimo del bimbo che era nel ventre di Camila: «Battezzate il ventre, disse il Rosas, che da buon cristiano vuol salvare l’anima del fanciullo. Dopo battezzato il ventre, Camila O’ Gorman è fucilata».

La storia è raccontata anche in una pellicola argentino-spagnola del 1984 – «Camila» – che può essere vista su youtube:

http://www.youtube.com/watch?v=XVEM9s0NO2o&feature=youtube_gdata_player

Moltissimi anni prima, nel 1910, un regista italiano, Mario Gallo girò un film muto, «Camila O’ Gorman»; forse se ne trova una copia in qualche archivio cinematografico di Buenos Aires.

La tragica vicenda viene ricordata nell’anniversario della fucilazione dall’Agencia para La libertad di Buenos Aires che riporta con risalto le parole che il dittatore Rosas scrisse anni dopo: «Nessuno mi consigliò l’esecuzione del prete Gutiérrez e di Camila O’ Gorman, nessuno mi parlò a loro favore. Tutte le alte cariche del clero mi parlarono di questo spudorato crimine e dell’urgenza di un castigo esemplare per prevenire altri scandali simili. Pensavo lo stesso. Ed essendo mia la responsabilità, ordinai l’esecuzione». Il dittatore e le alte sfere della chiesa punirono quindi con la morte, per dare l’esempio, una donna incinta di otto mesi e il suo amante. È evidente il filo nero che unisce questo drammatico episodio di metà Ottocento e la complicità della gerarchia ecclesiastica con la dittatura militare del 1976-1983. La domanda che viene alla mente è: quanti altri nodi (dello stesso colore nero) esistono nell’arco di tempo che unisce l’assassinio di Camila e Leandro alle desapariciones?

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