Camilleri, Deaver, Lansdale, Stassi, Verasani, Winslow con…

con il trio Cassar Scalia-De Cataldo-de Giovanni

7 recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio

 

Grazia Verasani

«Come la pioggia sul cellofan»

Marsilio

176 pagine, 15 euro

Bologna. Fine estate. Dopo un anno di convivenza, l’irreprensibile giudizioso Luca Bruni, dirigente della questura a capo della squadra Mobile, ha lasciato la graziosa conciliante Giorgia Cantini, esperta titolare di una piccola agenzia di investigazioni private, incallita fumatrice e bevitrice, impulsiva atea solitaria. Lui aveva avuto una bella infatuazione, ora è tornato sui suoi passi, ha radunato le proprie poche cose mentre lei era fuori, ha lasciato le chiavi sul tavolo e se n’è andato senza lasciare un biglietto. Tre mesi prima il figlio Mattia aveva avuto un grave incidente con una settimana di coma, è ancora in convalescenza, la madre Giusi aveva vietato a Giorgia di fargli visita, Bruni non si era opposto e anzi aveva progressivamente scelto di tornare in “famiglia”. Lei si compiange e si ubriaca spesso. Un amico la distrae suggerendole un lavoro: la famosa pop star alcolista cocainomane Furio Salvadei ha una devota ammiratrice non più giovanissima, la 44enne Adele Fossan residente a Mestre ed ex proprietaria di un negozio di abbigliamento. Si è fatta troppo insistente, è stata già ammonita dalla polizia; il musicista è in piena crisi artistica ed esistenziale, se ne vorrebbe liberare senza ricorrere a forza e giustizia. Giorgia va a trovarlo in un appartamento da capogiro, che uomo! Vicino ai cinquanta, niente di artificiale, capelli folti e castani schiariti dal sole, setto nasale deviato in modo fascinoso, occhi marroni luminosi; un fratello quasi altrettanto affascinante. L’incarico si rivela meno facile del previsto: si tratta di uno stalking intermittente, la donna molestatrice è sfuggente enigmatica strana mutevole. A Giorgia, in parallelo, viene anche chiesto di verificare la biografia della possibile futura nuora di una riccona. E poi ci scappa un omicidio.

La scrittrice e cantautrice, attrice e doppiatrice Grazia Verasani (Bologna, 1964) confeziona l’ennesimo bel noir, come sempre narrato in prima persona al presente dalla riuscita protagonista. Scrive buone storie e musiche da oltre trent’anni, il primo romanzo con Cantini nel 2004 (ne furono tratti un film da Salvatores e una serie televisiva). Questo è il sesto, a quattro anni dal precedente; la vita cartacea scorre più lenta, è trascorso solo un anno dalla vicenda narrata nel 2016. Ora che è tornata sola, Giorgia incontra di nuovo molti dei soliti interessanti amici, sempre aiutata dalla mitica Genzianella. Il titolo parte dalla pioggia persistente della stagione e riprende un effetto sensoriale, gli involucri che ci proteggono e separano dal fastidio e dal dolore, in un contesto dove tutto appare disilluso, falsato da miti e tecnologie. La stalker e l’investigatrice sono donne disperate e lottano insieme a noi, nell’ombra, in un continuo rimando di citazioni cinematografiche e letterarie, perlopiù di testi e film di genere giallo e noir. Come epitaffio della sua storia d’amore Giorgia sceglie, comunque, Françoise Sagan: “per un istante furono sul punto di conoscersi”. La gioia di veder cadere chi è salito in cima si chiama Schadenfreude, lo sapete? Come spesso, la lotta interiore è, invece, a metà fra il senso di colpa e lo scaricabarile. Liquori, birra e vino in gran quantità, anche amarone e traminer. Pure molta musica, compreso il pezzo di Dalla che piaceva alla scomparsa sorella Ada: “leva il tuo sorriso dalla strada e fai passare la mia malinconia”. Beati quelli che ci riescono.

 

Jeffery Deaver

«Gli eletti»

traduzione di Sandro Ristori

Rizzoli

492 pagine, 20 euro

California. Giugno 2019. Avevamo lasciato incerto Colter Shaw, sprofondato in una sedia da giardino nella Silicon Valley: rintracciare i due ragazzi probabili autori di un crimine d’odio nazista a Gig Harbor nello Stato di Washington o buttarsi finalmente alla ricerca del segreto nascosto dal padre alla Tenuta nella Sierra Nevada. Colter di mestiere fa il localizzatore, potrebbero andar bene entrambe le missioni. Lui insegue ricompense, materiali e affettive. In genere, cerca le persone che qualcuno vuole ritrovare, valutando caso per caso, non lavora per criminali, risulta allergico alle burocrazie. Ha 31 anni, parla solo sobrio e composto, sorride molto raramente; uno da non prendere alla leggera, talento da vendere nello sviscerare ogni tipo di indizio, calcola le probabilità di ogni eventuale nesso di causa ed effetto. Sfiora il metro e ottanta, capelli biondi corti, occhi blu, spalle larghe, muscoli tesi, cicatrici su guancia, coscia e (più grande) collo; vive solo in un camper (Winnebago), se può gira in moto (Yamaha da cross), affitta auto servizievoli. Il padre gli ha insegnato il grande Libro del Mai, l’arte della sopravvivenza in condizioni estreme o inattese; prima o poi dovrà scoprire perché era stato perseguitato. Intanto, parte per il selvaggio nord e trova subito complicazioni. Non è detto che i due sospetti siano colpevoli e, quando riesce a rintracciarli prima della polizia, il 27enne si lancia felice nel vuoto da un dirupo. Era stato ospite di una strana Fondazione Osiride, isolata tra le valli delle Montagne Rocciose. Vuole capire e vi si intrufola, ottima idea; sono vietati armi e cellulare, pessimo posto; non è fatto per uscirne felici vivi. C’è una Victoria a motivarlo.

L’eccelso scrittore americano di thriller Jeffery Deaver (Glen Ellyn, Illinois, 1950), dopo altri cicli ed esperienze narrative (dal 1988) e lo straordinario successo della serie con Lincoln Rhyme (1997-2018), ben conosciuto in 24 lingue e oltre centocinquanta Paesi, pure al cinema, insiste con il nuovo affascinante personaggio. Anche il secondo romanzo è ottimo, meccanismi perfettamente oleati, il seguito è già in corso di stesura. La terza persona è fissa su Colter Shaw, il testo serve a presentarcelo a tutto tondo, forte e veloce corridore, gran lottatore e arrampicatore, incapace di incassare bene la gratitudine, continuamente alle prese con le regole del Mai apprese e aggiornate; se ne contano citate in corsivo oltre venti, in contrapposizione con altrettanto numerose regole obbligatorie durante le settimane del Percorso per i novizi. Il titolo fa riferimento al particolare ristretto esclusivo gruppo di accoliti e affiliati della setta, l’ipnotico guru Maestro Eli propone presto a Colter di entrare a farne parte, lui capisce però di essere un Elemento Tossico. La sua salvezza si chiama Mack McKenzie, donna detective stanziale in grado di creare a tavolino le premesse di ogni attività dell’uomo d’azione. L’autore ci introduce con maestria nel mondo delle variegate sette americane, sono tutte programmate e poi servono deprogrammatori. Alcolici apparentemente vietati, il vino rosso potrebbe essere adulterato, i liquori circolano di straforo. Nel campo risuonano a ogni ora le note dell’introduzione dell’Inno alla gioia, il movimento corale della Nona sinfonia di Beethoven. L’occasionale alleato canticchia Paverelli (Pavarotti).

 

Andrea Camilleri

«Riccardino»

Sellerio

292 pagine, 15 euro (c’è anche il volume cartonato con la prima stesura del 2005: 562 pagine per 20 euro)

Vigata, Montelusa. Novembre 2004. Chi ha ucciso all’alba davanti al Bar Aurora l’impiegato della Banca Regionale Riccardo Lopresti, bello inappuntabile elegante sportivo espansivo, cittadino esemplare e cattolico osservante? Aveva appuntamento con tre inseparabili amici per una giornata da trascorrere insieme; sembra sia arrivata una grossa motocicletta Yamaha 1100 da strada, il conducente con casco integrale gli ha poi sparato due colpi in faccia. Lo strano è che poco prima la vittima aveva sbagliato numero e chiamato a casa il 54enne commissario Salvo Montalbano, presentandosi con un “Riccardino sono!” e ingiungendogli di sbrigarsi. L’indagine parte subito: gli amici erano tutti coetanei (del 1972), si erano conosciuti in prima elementare e non si erano più persi di vista; i giovani “quattro moschettieri” facevano giri e palestra insieme e avevano messo su famiglie intrecciate. Liotta e Licausi avevano sposato le due sorelle di Bonanno, Bonanno quella di Liotta; Lopresti, invece, Else, una tedesca, con la quale però gli altri non mantenevano buoni rapporti, lei sorella minore della sposa di un vigatese. Probabilmente, si capisce subito, Riccardo era amante di una moglie dei tre amici, due geometri e un ragioniere, loro tutti a vario titolo impiegati nella società della miniera Cristallo a Montereale. La vittima aveva fatto anche un’altra telefonata prima di morire. Corna o affari o altro dietro al delitto? Il commissario è molto incerto, sballottato su più fronti, distratto anche dalla voluminosa chiromante chiaroveggente Augustina Tina Macca che denunzia uno strano rumoroso traffico da parte di di un camionista che tutte le notti lascia un pacco nascosto sulla via davanti casa, per poi riprenderlo il giorno dopo con un’auto. Indaga su tutto e si consola mangiando in trattoria da Enzo o quel che Adelina gli lascia in frigo, parlando con Livia al telefono (pur pericolosamente incerta fra Rio e Johannesburg per le vacanze), bevendo whisky a canna.

Per chiudere in bellezza, l’immenso Andrea Camilleri (1925-2019) ha scelto una narrazione tridimensionale, con espliciti riferimenti a Pirandello e ad altri scrittori. Leggerete un impeccabile noir (senza verità e giustizia) imperniato sul solito protagonista (in terza persona fissa), con attorno i suoi mitici fedeli accoliti personaggi (Catarella e Fazio, Enzo e Adelina, la fidanzata Livia e il vice Augello a distanza) ed altre personalità (soprattutto questore, pm e vescovo). Leggerete del complicato locale impatto sociale dei mezzi di comunicazione di massa, in particolare dei rapporti conflittuali con l’immaginario prodotto dall’attore televisivo che interpreta Montalbano e dall’intera serie che stravolge la vita di tutto il paese. Leggerete della pessima relazione ormai instauratasi fra Salvo Montalbano e l’Autore dei romanzi ambientati, hanno opinioni diverse praticamente su ogni questione (eccetto che sullo scrivere o leggere americanate): da una parte sull’indagine, la sua evoluzione, la sua conclusione; dall’altra sulle reciproche biografie, l’invecchiamento e il futuro che, eventualmente, li aspetta. Sono tre le dimensioni, non due! Il vero Montalbano è infastidito dalla popolarità del falso, che gli complica il lavoro di polizia, lo fa sentire insieme bravo attore e inerte spettatore e, soprattutto, è più giovane, fisicamente non gli assomiglia affatto e non deve improvvisare come fa lui, impara la parte e via. Il vero Montalbano ha ormai propri codice e coerenza e sopporta sempre meno le idiosincrasie del pur altrettanto vero Autore che da Roma telefona a Vigata (la sua Porto Empedocle). Dovrà trovare non solo i colpevoli ma pure il modo di liberarsi delle verosimili fiction, una volta per tutte. Camilleri ideò il romanzo nel 2004, comunque come quello conclusivo della serie, voleva essere ironico e autoironico sul personaggio che lo aveva reso famoso nel mondo e gli aveva ingombrato le scritture oltre che la vita. Abbiamo continuato a godere le sue avventure anche dopo, a prescindere, altri diciotto romanzi e vari racconti. Nell’estate 2005 lo consegnò a Elvira Sellerio (1936-2010), amica del cuore e responsabile dell’omonima casa editrice; nell’attesa, Elvira custodì il manoscritto, poi gestito dal figlio quando lei morì e l’autore decise di “sistemarlo” un poco, rimodulandolo nella lingua e nelle sfumature (a 91 anni, nel 2016). Segnalo l’esame di filosofia di Montalbano a pagina 216 e la lettera rivoltagli dall’Autore con le opinioni sul governo del 2004-2005 a pag. 259. Teatralità e musicalità ovunque. Imperdibile.

 

Don Winslow

«Broken»

traduzioni di Giuseppe Costigliola e Alfredo Colitto

HarperCollins

540 pagine, 20 euro

New Orleans. Inutile dire alla piccola mite Eva McNabb che il mondo è a pezzi. Lavora di notte per smistare le chiamate alla sala operativa del Pronto intervento, sente la disperazione umana per otto ore buone, cinque giorni a settimana e nei doppi turni. Incidenti, rapine, sparatorie, omicidi, mutilazioni; paura, panico, rabbia, furia, caos. Il marito è un poliziotto in pensione, John, un omone alto un metro e novantatré col torace ampio e le spalle larghe dei suoi progenitori irlandesi, una leggenda, molto violento sia a casa che fuori, ormai spesso sbronzo. Anche i suoi figli sono poliziotti, abbastanza diversi fra loro: il maggiore, Jimmy, simile al padre, iroso e inasprito, potente ed efficiente, non ha mai una ragazza fissa, tende a odiare tutti; il minore, Danny, alto snello allampanato, sensibile e buono, fidanzato con la splendida allegra infermiera Jolene. Accade che la oleata squadra della Narcotici guidata da Jimmy sequestri un carico di anfetamine del trafficante Oscar Diaz per un valore di un paio di milioni di dollari e mandi saluti irridenti al boss; che Diaz faccia rapire e personalmente spezzi tutte le ossa più grandi di Danny, torturandolo fino alla morte, e invii al fratello il relativo video; che Eva chieda al figlio rimasto vivo di uccidere tutta la banda degli assassini per vendetta. Eva conosce la vita, conosce il mondo: sa che comunque tu ci entri, ne esci a pezzi, rotto. Il primo racconto lungo è per stomaci forti, i quattro successivi meno, l’ultimo più. Il violento episodio della famiglia McNabb è ambientato nell’estuario del Mississippi, ancora sofferente per le conseguenze dell’uragano Katrina. La madre dell’autore era nata lì, lì conobbe il padre durante la seconda guerra mondiale, era agli ultimi giorni di vita durante la stesura della novella.

Ennesimo mirabile capolavoro per Don Winslow (New York, 1953), il migliore scrittore americano dell’ultimo quarto di secolo. Non un libro minore o di transizione, non una raccolta di racconti; sei dettagliate novelle o romanzi brevi, crime stories tecnicamente, attente ai poliziotti, capaci di toccare più generi letterari e corde emotive, con alcuni personaggi che ricorrono, almeno quattro ripresi da differenti precedenti testi. Imperdibile. Non a caso, l’ottima traduzione è stata assegnata ai due ottimi traduttori dei romanzi passati dello stesso autore, Giuseppe Costigliola (le prime tre) e Alfredo Colitto (le seconde tre). In esergo Stephen King, i due si apprezzano. La prima novella, Broken (con citazione di Hemigway) dà il titolo al volume, pure nell’edizione americana. La seconda (per Steve McQueen) è dedicata a un eccelso non violento rapinatore, operativo sulla U.S. Route 101, la PCH, Pacific Coast Highway, el camino real, circa 2500 chilometri da Messico a Canada, oltre la metà in California. Proprio lì a sud agisce Davis, elegante e volatile: non compra niente, non possiede niente, paga in contanti con svariate identità pratiche. Fra l’aprile 2008 e l’ottobre 2018 ha messo a segni perfetti colpi mentre gioiellieri affidano a corrieri merce di enorme valore, due o tre lavori l’anno, mai nello stesso posto. L’unico a pensare che il colpevole sia lo stesso uomo solo è però il tenente Ronald Lou Lubesnick, nessuno dà credito alla teoria e, dopo l’ultima rapina, lui è costretto a separarsi dalla moglie che lo tradisce, pateticamente affitta un piccolo appartamento vista mare a Solana Beach. Casualmente frequenta il complesso residenziale anche Davis, sarà una bella sfida all’O.K. Corral fra i due. La terza novella (per Elmore Leonard) è una divertente mirabolante storia d’amore che inizia con lo scimpanzé Champion in giro con una pistola fuori dallo zoo di San Diego; Lou c’è. Anche la quarta (per Raymond Chandler) si svolge a San Diego e ruota intorno al surf e al Duca, Duke Kasmajian, ricchissimo malandato capo della più grossa agenzia di garante delle cauzioni della zona; Lou c’è ancora e ci sono anche sia il cacciatore di taglie Boone Daniels e i suoi amici della pattuglia dell’alba, sia il 65enne professor Neal Carey e la 68enne moglie pokerista (ex maestra) Karen; tutti in forma, a rischiare la vita. La quinta è un’avventura intermedia di Ben, Chon e O nel 2008, droga e surf nel pericoloso paradiso delle Hawaii, in sorprendente compagnia di Frank Machine e di Bobby Z. La sesta e ultima (anche come scrittura) è meravigliosa e terribile, descrive con cruda poesia quel che avviene ai bimbi strappati alle famiglie immigrate, buttati nelle gabbie del confine col Messico, a El Paso e altrove; il 37enne Cal lavora con le Pattuglie, ha votato per l’uomo del muro ed è un gran segugio; poi incontra Luz, una bambina salvadoregna di sei anni, isolata e silente. Trump c’è e non lotta insieme a noi, Winslow lo avversa con intelligenza e maestria letterarie (oltre che con militanti ottimi tweet quotidiani), solidale col figlio Thomas che lavorò per Obama e ora è nello staff di Biden. Tanto jazz e cioccolato fondente.

 

Cristina Cassar Scalia, Giancarlo De Cataldo, Maurizio de Giovanni

«Tre passi per un delitto»

Einaudi

194 pagine, 17 euro

Roma. Primavera 2019. Il commissario Davide Brandi, giovane speranza dell’ordine pubblico nazionale, arriva sul luogo del delitto. In un palazzo tranquillo, in una zona residenziale del centro, in un bell’appartamento del quartiere Prati, sotto un grande quadro con La Piccola Fiammiferaia, la donna delle pulizie ha trovato il cadavere di una splendida ragazza in négligé, Giada Colonna, ventotto anni, laureata in Storia dell’arte. Cranio devastato da un solo violento colpo alle spalle. Nessun mobile rovesciato o cassetto svuotato. Nessuna traccia di rapina. C’è sperma nella vagina, cercano di ricostruire le ultime chiamate e gli ultimi contatti. Giada aveva un misterioso attempato amante, infine risalgono a Marco Valerio Guerra, basso e tarchiato, occhi grigi e sguardo acuminato, un settantenne ricchissimo e famoso, certo non bello, che li riceve al settimo piano dello stabile della sua Fondazione in via del Corso. E confessa di essere l’autore dell’omicidio con un lungo sproloquio senza interruzioni. Si considera di intelligenza superiore, un’insuperabile intelligenza emotiva coniugata all’altrettanto innata capacità di manipolare le coscienze e di acquisire strumenti funzionali alle strategie, un burattinaio salito alla massima altezza di denaro e potere, che di fronte ha avuto sempre solo marionette, anche coloro che lo stanno ascoltando ora. Era nato in una famiglia aristocratica di facciata (poi in realtà con le pezze al culo), si era sposato ed è sempre restato (senza alcuna fedeltà) con la moglie Anna Carla Santucci, bella alta annoiata figlia di chi poteva garantirgli un forte investimento iniziale, hanno Lorenzo, figlio quarantenne che lui scansa detestandosi a vicenda, da tempo nemmeno lo vede. Giada ha introdotto una crepa nella sua vicenda di esclusivi successi, non se lo aspettava, è disposto a pagarne le conseguenze.

Tre bravi scrittori italiani hanno concertato un romanzo inusuale a tre ingegni e trenta dita. Inizia De Cataldo (Taranto, 1956) raccontando in prima persona il commissario Brandi alle prese con il caso della vita; segue De Giovanni (Napoli, 1958) con la spontanea dichiarazione confessione autobiografia dell’odioso manipolatore e astuto affabulatore Marco Valerio, prima adulato, poi disprezzato da tanti e dai media, ma che vuole restare arbitro dei destini umani; chiude provvisoriamente Cassar Scalia (Noto, 1977) narrando i riflettuti pensieri di Anna Carla, alla quale proprio la sera del delitto il marito aveva telefonato segnalando che era stato lasciato da Giada, mentre Anna Carla era alle Terme dei Papi di Viterbo con due amiche, tutte e tre ben consapevoli delle frequenti amanti di lui, ora reo confesso di un delitto che però non ha commesso, lei ne è convinta. Al secondo conclusivo turno la sequenza è ovviamente diversa: Marco Valerio continua a testimoniare; Anna Carla risponde alle immediate domande del commissario e, nei giorni successivi, intuisce progressivamente i dubbi dell’investigatore sulla verità; Brandi deve capire tutte le crepe della storia prima di tirare le fila, a suo modo, barcamenandosi fra tecniche e trucchi di chi fa l’inquirente con perspicacia. I tre autori hanno scommesso con successo anche con la propria identità letteraria: difficile rintracciare il Libanese o Spinori nello stile di Brandi, Ricciardi o un Bastardo nello stile di Guerra, Guarrasi in Santucci. Il filo unitario di eventi e relazioni tiene, l’esperimento ha funzionato. In auto Anna Carla cerca un canale nostalgico, in ordine di apparizione Fred Bongusto, Gino Paoli, Ornella Vanoni. A Marco Valerio piacciono sesso, macchine sportive e, ovviamente, il brandy.

 

Joe R. Lansdale

«Una Cadillac rosso fuoco»

traduzione di Manuela Francescon

Einaudi

264 pagine per 17,50 euro

Quasi una sessantina d’anni fa, forse il 1964. East Texas, piccole città. Ed Edwards lavora da Smiling Dave, lui e il proprietario vendono auto usate. Dave, cento e rotti chili per appena un metro e sessanta, preferisce restare in ufficio. Ed è molto giovane, quasi un figlioccio capace di far bene a pugni con clienti riottosi, prende commissioni per ogni vendita. Sono abituati a gestire catorci arrugginiti, a contraffare il contachilometri, a sistemare alla meno peggio buchi e difetti (tanto radiatore che cinghia di trasmissione) chiarendo preventivamente che i contratti di vendita non si possono poi rescindere. Dave gli chiede di riprendere la Cadillac rossa che aveva venduto a una coppia, i Craig, lei splendida e il marito bello grosso, l’auto non era male e costava troppo, l’avevano acquistata a rate, ora non pagano. Ci va accompagnato dalla sorella Melinda, graziosa 19enne che vive con la madre alcolizzata in una roulotte, al ritorno ci sarà bisogno di un altro autista. La coppia vive fuori città, hanno un vasto pezzo di terra con un drive-in e un cimitero per animali. Nancy Craig, bionda con gli occhi scuri, li accoglie con rassegnazione, spiega che l’acquirente firmatario è Frank e lui chissà dove si trova, da due mesi via con la macchina, a fare a botte e a scopare da qualche parte. Ed è stato in Corea, ne è segnato, torna a piedi di notte convinto che la Cadillac sia nella rimessa. Proprio così, ma arriva Nancy con un fucile, vanno a letto insieme, Ed non fa brutta figura, almeno sa che le donne hanno il clitoride e lo sa trovare senza bisogno delle istruzioni. Iniziano a vedersi regolarmente, Ed riprende la Caddy ma s’impegna a tenerla, pagandone lui le rate. Molti mesi dopo Nancy suggerisce che se il marito fosse morto o morisse sarebbe l’ideale. Appunto.

Ogni romanzo di Joe R. Lansdale (Gladewater, 1951) è una garanzia, ripete situazioni letterariamente godibili, con colpi di scena, senza sorprese. E sai cosa leggi! Un classico antico hard-boiled non metropolitano, dinamiche che vengono da lontano, la provincia profonda degli Stati non uniti del sud! Questa volta la scorrevole narrazione è svolta in prima empatica persona al passato dal protagonista, ambientata negli anni sessanta: trame e accidenti, truffe e sesso, botte sudate e sparatorie letali; la polizia solo alla fine. Non si parla col cellulare né s’intercettano chiamate, non si cercano tracce di DNA né vi sono scienziati sulle scene dei crimini. Ed sembra bianco ma è nero, questo il filo dello svolgimento e dei dialoghi (eccelsi, come al solito). La mamma è bianca, il padre era nero, alto e virile, povero e forte, manesco e violento; il fratello maggiore Jake appare come il più scuro dei figli, fa l’operaio in fabbrica a Detroit, in qualche modo si è sistemato; Melinda vorrebbe studiare, Ed non sentirsi mediocre e fallito. In giro vengono presi per portoricani, messicani, certe volte italiani, belli prestanti bianchi poveri, nessuno sa che sono di sangue negro, loro hanno bisogno di soldi più o meno tranquilli e, inevitabilmente, finiscono per cercare documenti falsi che li “sbianchino” per sempre, almeno in quelle lande molto razziste dove vince solo chi ha la pelle chiara. Tanto più che ci sono neri a rifornire la madre di alcol, tipacci non damerini. Birra a fiumi e pure molto whisky.

 

Fabio Stassi

«Uccido chi voglio»

Sellerio

Roma. Da fine giugno a luglio. Vincenzo Vince Corso, ammalato di letteratura, da oltre vent’anni in graduatoria per insegnare italiano, non è mai passato di ruolo vivacchiando fra precari incarichi e supplenze (o anche collaborazioni giornalistiche con pseudonimo) fino a che si è inventato un mestiere da sperimentare. Da qualche anno ha affittato un appartamentino-studio in via Merulana, un sottotetto all’ultimo piano, dove vive, lavora e si propone come facilitatore emozionale e biblioterapeuta, ricevendo le potenziali clienti senza segretaria o sala d’attesa. È cresciuto a Nizza con la madre Anna, graziosa e solare, e le sue colleghe, cassiere o cameriere o cuoche o inservienti di tante diverse strutture alberghiere, sconosciuto padre di passaggio al quale scrive tutti i giorni una cartolina senza destinatario e con l’indirizzo dell’albergo dell’incontro che lo ha concepito. Niente elettrodomestici e automobile, si arrangia, gira in motorino Malaguti, talora si diletta con il clarinetto o con gli scacchi. Assomiglia un poco a Gérard Depardieu, fisico imponente, pelo grigio, occhi azzurri; e ha pure tradito tutte le donne amate, da ultimo Serena; ora sta con Feng che però è partita per la Cina. La mattina del 29 giugno il portiere Gabriel gli consegna la lettera del detenuto Queequeg che gli vuole parlare di libri. Di ritorno dall’edicola trova la casa a soqquadro, i vinili frantumati, l’amato muto cane Django avvelenato. Nella sala d’attesa dell’ambulatorio veterinario vede arrivare e riandarsene tanti padroni preoccupati, da ultimo un cieco. Sul giornale si parla di uno straniero ucciso a colpi di pistola sul lungomare di Tarquinia, più o meno quando c’era andato lui. Vince comincia a scrivere una lettera al padre. Poi, per giorni, assiste a distanza Django isolato e in coma, mentre strani eventi con ciechi presenti continuano ad avvenirgli intorno, incidenti furti omicidi, oscuri pedinamenti. Il commissario Ingravallo lo sospetta di svariati inghippi. E molte gli chiedono consigli professionali.

Il bibliotecario di origine siciliane Fabio Stassi (Roma, 1962) ha iniziato a scrivere romanzi di vario genere una quindicina d’anni fa, lindi, solidi e ben scritti, colmi di notevoli letture e densi di riferimenti ad altrui scritture, seriali quelli con Corso (protagonista anche di vari racconti), narrati in prima persona al passato, qui ancora con 26 capitoli titolati con le lettere dell’ordine alfabetico dalla Z alla A raggruppate lungo gli otto giorni della vicenda. L’incipit è un lungo “epilogo”, datato 16 dicembre 1959 quando i genitori scoprono un bambino d’improvviso ferito agli occhi. Le chiusure letterarie in corsivo sono due: l’intera completata lettera al padre, l’attentato di Nizza. In fondo al testo c’è l’appendice con libri, canzoni e altri rimedi citati esplicitamente o implicitamente in ogni capitolo, compresi consigli di lettura e origine dei nomi di alcuni personaggi. Segue la “mappa” delle quindici passeggiate romane (cui si aggiunge quella al Museo delle Relazioni Interrotte di Zagabria) descritte nel corso del testo: dai portici di Piazza Vittorio al cimitero acattolico di Testaccio. Contano le sale d’attesa, questa volta più quella del veterinario che quella del biblioterapeuta. Dal Don Chisciotte in poi, il vero protagonista di ogni romanzo è il lettore, si dice e si spiega in un dialogo importante fra carnefice e vittima. Onnipresente Carlo Emilio Gadda (Milano, 1893-Roma, 1973), anche la tomba. Dedica al grande Gianni Mura, “perché il tuo cuore faceva più rumore di una macchina da scrivere”. Aleggia una congiura di lettori non vedenti tramite il titolo e la copertina. Birra e Tim Collins. Cantautori francesi.

 

Redazione
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