Camilleri, Fogli, Läckberg, Morchio, Recami, Wilson e Winslow

7 recensioni (giallo-noir) di Valerio Calzolaio

Francesco Recami

Il diario segreto del cuore

Sellerio

214 pagine, 14 euro

Milano, casa di ringhiera al civico 14 di via *** del quartiere Casoretto. Ottobre-novembre 2011. Ricapitoliamo i protagonisti conviventi: Consonni (appartamento 8), Angela Mattioli (2 e 22, ma ha anche altre tre o quattro deleghe), Luis De Angelis (5), coniugi Du Vivier (6 e 7), Antonio con occasionali compagne (9), la signorina Olga Mattei Ferri (12), Claudio Giorgi (15), i peruviani (senza numero), la signora Xing (locali di sotto). Per ragioni diverse gli appartamenti son tutti vuoti. Consonni, già circa 66enne tappezziere pensionato, orrendamente morì, proprio nella corte, il funerale aveva traumatizzato tutti. Tanti inquilini sono altrove, provvisoriamente o meno, causa lavoro, vacanza, salute o chissà perché. Solo un nucleo è in qualche modo restato nel condominio, Donatella e i due figli, Gianmarco e Margherita, nell’appartamento familiare (il 15) e il separato marito Claudio come badante regolare della vecchia pettegola (del 12) ora assente. I due ragazzi (13 anni e mezzo e quasi 11) erano stati testimoni di vecchie storie criminali, trovarono pure un panetto di fumo, hanno sempre paura che tornino a galla. Donatella ha da poco compiuto 43 anni, è povera e piena di dubbi. Gianmarco sta ripetendo la terza media, gioca a calcio e attraversa un complicato inizio di adolescenza. Dal 12 settembre la piccola (anche di statura) genietto Margherita tiene un diario e la mamma finalmente lo scopre: vi sono giudizi severi, recensioni di libri, lettere del padre, le risposte, commenti inaspettati, soprattutto un accenno a chi uccise Consonni. Poi un profilo Facebook tira l’altro e succede di tutto, fin quando, via via, pure altri affezionati inquilini cominciano a farsi rivedere.

Il bravo scrittore toscano Francesco Recami (Firenze, 1956) non è riuscito a lasciar morire il suo personaggio principale (un fattore abiotico, però), come già accadde ad autorevoli personalità del genere giallo e noir. Aveva annunciato fin dal principio (2011) che sarebbero stati sei i romanzi della serie della “casa di ringhiera”, dedicata a un curioso microcosmo milanese, un modesto edificio del primo Novecento, con una corte rettangolare, ringhiere di ferro battuto e una ventina di inquilini. Mantenne l’impegno, un volume ogni anno (fino al 2016), anche se le narrazioni coprono un intervallo temporale più breve. Dopo un paio di commedie nere, a fine 2018 l’autore torna a casa. Amedeo Consonni è evocato ma non può manifestarsi; tutto (come al solito) ruota intorno all’originale ambientazione, impronta “bianca e noir”: misteri, misfatti e crimini fanno da cornice, servono a evocare il genere letterario non a praticarlo. A prescindere dall’assenza di persone uccise, è l’ulteriore verifica e conferma che in ogni dinamica sociale affettiva ci sarebbe sempre qualcuno o qualcuna da far fuori! La narrazione è in terza, ma quasi la metà è dedicata al diario, in corsivo (da cui il titolo). La talentuosa bimba adora Gerry Way (fondatore e cantante dei My Chemical Romance, 7 anni fa ancora attivi), legge molto e bene (forse con gli stessi gusti dell’autore) e vince a mani basse il concorso per studenti Raccontare è vivere (con un racconto che ci è possibile apprezzare); mentre la passione per Nesbø (Premio Chandler 2018) è passata da Amedeo a Donatella.

 

Don Winslow

Palm Desert. Le indagini di Neal Carey

traduzione di Alfredo Colitto

(originale 1996: «While Drowing in the Desert»)

Einaudi

178 pagine per 13,50 euro

Dal Nevada (Austin e Las Vegas) verso la California. Agosto 1983. Neal Carey, indigeno della Grande Mela, dopo la prima avventura è dovuto restare sette mesi in quarantena dello Yorkshire e dopo la seconda confinato nel Sichuan cinese; dopo la terza da due anni si è sistemato con la maestra cowgirl Karen Hawley, capelli neri e occhi azzurri, in un’immensa valle a circa milleottocento metri di quota. Ormai ha quasi 30 anni, dovrebbero sposarsi fra un paio di mesi e sta iniziando l’ultimo semestre del master presso l’università del Nevada, tesi su Tobias Smollett, il fuoriclasse della letteratura inglese del XVIII secolo. Il suo prof potrebbe poi fargli avere un posto di assistente a New York dove sarebbero quindi presto intenzionati a trasferirsi (Karen sta pure suggerendo di fare un figlio). Senonché arriva Joe Graham, il padre putativo, con una richiesta del solito datore di lavoro, gli Amici di Famiglia, il servizio privato di una potente ricca banca di Providence. Gli chiedono di riportare a casa (Palm Desert, vicino a Palm Springs) un vecchietto finito nella città del gioco e del peccato: “il posto più assurdo del mondo” pensa Neal. Prende la Jeep e parte (rivelandosi in seguito incapace di guidare con il cambio manuale). Il tipo si chiama Nathan Silverstein, ben noto come Natty Silver, uno dei grandi del burlesque; un piccolo ebreo di almeno 85 anni, radi capelli bianchi spettinati, naso a becco, pelle sottile e rugosa, occhi di bambino, ancora indiscreto fumatore e scopatore, inesauribile verve (estro conversevole) di battute, gag e racconti. Lo trova al Mirage, lo accompagna al casinò e lui subito si apparta con l’alta bionda simpatica sensibile Hope White. Torna e continua a sfinire Neal di chiacchiere, rimandando il rientro. In realtà forse è paura, ne ha ben donde.

Don Winslow (New York, 1953), miglior autore noir dell’ultimo quarto di secolo, californiano d’adozione, realizzò una serie d’esordio (1991-96). Qui la narrazione è ancora in prima al passato, ma non mancano, quando la scena si sposta, anche pagine dei diari di Karen e Hope, un professionale scambio di mail fra la sovrintendente agli indennizzi e due avvocati, qualche registrazione da microfono illegale. Lo stile è già eccelso, seppur sbrigativo, lo scrittore cominciava ad avere altri progetti. L’ambientazione anni ottanta è legata a quel che allora faceva lui stesso (investigatore privato, regista e manager teatrale, guida di safari fotografici anche in Cina, consulente finanziario). Questo è il quinto e ultimo romanzo (1996), un commiato, molto più breve dei precedenti. L’amato deserto c’entra, ovviamente, in più di un senso: se vi stai annegando (da cui il titolo americano), allora “scalcia nell’acqua” conclude Neal. Il burlesque impera: pare che i maghi abbiano sempre nomi italiani e gli ipnotizzatori russi; poi si usano molte figure letterarie, dalla metafora tormentata alla doppia ridondanza. Natty è il risultato di un accurato lavoro di documentazione (scritta e orale) sul genere: noi ci divertiamo, Neal impazzisce. Del resto, il padre era il classico donatore di sperma anonimo che aveva messo incinta la madre, la quale faceva la prostituta; non sa proprio se ha voglia di diventare genitore e si conferma maratoneta del tenere il broncio, con una faccia cupa da manuale. Pensa che la vita sia una sequenza casuale di eventi arbitrari, non (come Karen) un viaggio predestinato, pieno di sfide e scoperte. Sono innamorati. Eppure?

 

Andrea Camilleri

Gli arancini di Montalbano

Sellerio

(edizione originale Mondadori 1999)

424 pagine. 15 euro

Montalbano è… nato nel 1960, poliziotto da varie parti e da un po’ a Vigàta, fidanzato con Livia (che prevalentemente resta a Boccadasse), baffuto (nonostante il bel Zingaretti), invidiato soprattutto per Enzo (la trattoria del pranzo) e Adelina (la governante per la cena pronta in frigo). Andrea Calogero Camilleri (Porto Empedocle, Agrigento, 1925) narra sempre in terza fissa su Salvo, opere pensieri sogni mangiate. Accanto ai romanzi, gli dedica racconti. Dei 20 di “Gli arancini di Montalbano” pubblicati quasi venti anni fa, 4 erano già stati parzialmente editi, due su riviste e due su quotidiani. Quasi sempre ispirati a fatti di cronaca nera, si gioca e si riflette non solo su crimini, più o meno sgangherati; anche il complotto comunista, il questore poco persuaso dal criminologo francese Marthes, il centralinista Catarella che risolve casi a suo modo, Montalbano che telefona all’autore; personaggi, lingua e stile che conosciamo, amiamo e rileggiamo sempre con voluttà.

 

Bruno Morchio

Uno sporco lavoro. La calda estate del giovane Bacci Pagano

Garzanti

208 pagine per 17,60 euro

Genova e Pieve Ligure. Luglio 1985 (e oggi). La primavera scorsa Giovanni Battista Bacci Pagano, dopo aver ricevuto una chiamata, è andato a trovare Maria Samperi in ospedale, reparto di pneumologia, appena rioperata. Lei racconta, ha tre maschi, il grande lavora in una compagnia aerea, di fatto li ha cresciuti da sola, il padre dava una mano. Insieme rievocano l’estate di oltre 30 anni fa, quando si conobbero (e un po’ amarono). Maria era la sbarazzina baby-sitter del piccolo Daniele (Lele) di 2 anni, Bacci aveva ricevuto come (primo) incarico la protezione della ricca famiglia Rissi in vacanza nell’immensa meravigliosa villa (ex Pirelli). Maria, pure genovese, appena ventenne, folta capigliatura nera e riccia, profondi occhi verdi velati di tristezza, corpo minuto e ben proporzionato, mediterranea carnagione olivastra, lavorava bene con affetto e diligenza ma non ne poteva più di domestici di mezz’età e genitori assenti, agognava esplicitamente cervello e carne freschi con cui trascorrere il poco vitale tempo libero. Bacci aveva il noto travagliato passato alle spalle (militanza politica, immeritata galera, morte dei genitori, vita randagia), ormai era un povero ateo alto trentenne sposato e – regolare investigatore privato con molte lezioni di tiro – iniziava una “feritevole” pericolosa carriera. Il lavoro di addetto alla sicurezza gli fu presentato come poco impegnativo e ben remunerato, circa sei milioni di guadagno netto per una ventina di giorni, isolato (con pistola Walther P38, calibro 7,65, Parabellum) in un bel posto. Subito si accorse che c’era qualcosa di strano: da uno yacht al largo partì un gommone, a bordo due tipacci, qualcuno li stava controllando, seguendo, intimorendo. Il socialista padrone di casa Silvano risultava intrallazzato con commerci di armi e tecnologie in zone di guerre, la moglie Adriana era magnifica e soggiogata, arrivarono guai dal mare e da tutte le parti.

Il bravo psicologo e psicoterapeuta Bruno Morchio (Genova, 1954) prosegue la serie Pagano, ottima e di successo (12 romanzi, prima Frilli ora Garzanti), il noir dei caruggi, con una bella avventura dedicata al suo analista. Il racconto è sempre in prima persona; dal nuovo improvviso incontro con Maria s’avvia un flusso di ricordi sull’esordio investigativo; memoria riaperta, ogni tanto intervallata e conclusa da significativi dialoghi con l’affetto di allora. Il peso della “prima” parte d’esistenza è più recente e gravoso: gli adolescenziali sentimenti sovversivi nei movimenti di sinistra, la manifestazione con la pistola in tasca e l’ingiusta condanna per attività terroristiche, 5 anni dentro una minuscola cella bianca a leggere in massima sicurezza, il diventare orfano prima della piena assoluzione (nonno e padre operai), l’inutile laurea in lettere, altri 5 anni di lavori precari in giro per Cuba, Usa, Kenya, Senegal e Marocco, un matrimonio inevitabilmente poco affiatato (Clara si stava specializzando a Parigi in letteratura francese). Alcuni tratti già sono impressi: la Vespa, la pipa, il caffè amaro, il tifo per i colori del Grifone, l’irruenza saturnina malmostosa, la rabbia morale, il solitario acume e la fedeltà ai clienti (da cui il titolo). La figlia e la separazione, tante ferite fisiche e relazionali erano di là da venire. Quando si va rimettendo dopo aver rischiato la vita per salvare separatamente i Rissi, incontra per la prima volta anche il mitico imponente Pertusiello, ispettore della squadra mobile di Genova. I ricchi si sollazzano col Cristal, un po’ tutti con vermentino; bianchetta, pigato e sauvignon, in Liguria non mancano. E poi arrivano i brani di Sanremo, anche se il padre musicofilo ha consentito a Bacci di apprezzare il melodramma italiano e le grandi opere sinfoniche.

 

Patrick Fogli

A chi appartiene la notte

Baldini Castoldi

480 pagine, 18 euro

Appennino reggiano. Estate. Filippo è precipitato di notte dalla Pietra di Bismantova; mamma Dorina, la casearia del posto, stava aspettando il suo bravo ragazzo fumando l’ennesima sigaretta sul terrazzo di casa. Il giorno dopo, quando il corpo viene recuperato dalle squadre di soccorso, sul posto si trova casualmente Irene Fontana, appassionata di arrampicata e di rocce, giornalista d’inchiesta sconvolta e ritiratasi da tutto alla Contessa, l’antica residenza dei nonni, dove vive ben gestendo i campi coltivati accanto al bosco. Dorina non si rassegna all’ipotesi di suicidio, per scoprire la verità contatta Irene che s’immerge nella vita di Filippo, fra i locali e le famiglie dei borghi. Gran bel romanzo il nuovo di Patrick Fogli (Bologna, 1971). “A chi appartiene la notte”, recente meritato vincitore del Premio Scerbanenco 2018, alterna terza varia e prima (la rossa 46enne Ortensia, l’antica Irene), presente e passato, mondo avventuroso e microcosmo montano.

 

Camilla Läckberg

Donne che non perdonano

traduzione di Katia De Marco

Einaudi

148 pagine per 14,50 euro

Svezia. Un inverno dei giorni nostri. Tre donne di differenti generazionisopravvivono con maschi molto imperfetti e imperdonabili, due in realtà si conoscono (pur non sapendo molto l’una dell’altra), la terza è segregata lontana. Ingrid Steen è sposata con Tommy. Entrambi sono giornalisti a Stoccolma; lei, dopo 14 anni di professione, due come corrispondente dagli Stati Uniti, innumerevoli premi, ha accettato di restare a casa quando il marito è divenuto l’intelligente direttore dell’autorevole Aftonpressen (dove per altro si erano conosciuti); la loro figlia Lovisa era nata da poco; lui aveva detto che in caso opposto avrebbe fatto la medesima cosa. Ora è certa che Tommy la tradisca con qualcuna della redazione, mette un piccolo registratore nella fodera del giaccone. La maestra della bimba si chiama Birgitta Nilsson, a due anni dalla pensione le hanno appena diagnosticato un tumore al seno. Per tanto tempo aveva rinviato le sollecitazioni istituzionali a fare la mammografia, non voleva mostrare ferite ed ecchimosi procuratele dall’amato marito commercialista Jacob con sempre maggior crudeltà, ancor più dopo che i gemelli ventenni si sono trasferiti e li vanno solo a trovare con le fidanzate. Victoria Volkova si trova a Sillbo nella Svezia centrale, senza amici né lavoro. Si è sposata per corrispondenza con Malte Brunberg, dopo che tre anni prima in Russia, alla festa del suo ventesimo compleanno, avevano ucciso il gangster con cui viveva. Lui si ubriaca spesso, impone frequenti pompini, lesina soldi, usa cattive parole. Le tre decidono di vendicarsi, separatamente ma insieme.

La brava scrittrice Jean Edith Camilla Läckberg Eriksson (Fjällbacka, 1974) in circa 15 anni ha scritto la serie di una decina di romanzi gialli noir ambientati nella sua città natale, sulla costa occidentale della Svezia. Ha avuto grande successo di critica e di pubblico, tradotta ovunque, protagonista della vita culturale del suo Paese (serie tv, cucina, testi musicali, danza), attiva in molte iniziative umanitarie (anche con i figli). Qui prende di petto l’onda del #MeToo. Ovviamente ci son uomini di tutti gli stili, più o meno cortesi o violenti, rozzi o forbiti, ricchi o poveracci, campagnoli o metropolitani. Alcuni, molti hanno la cattiva abitudine di instaurare una relazione asimmetrica di potere e, talora, di violenza con le proprie compagne. Pure le donne hanno stili e caratteri diversi. Alcune, molte donne subiscono la relazione, anche le tre protagoniste, a lungo, troppo. Tutte e tre hanno chinato il capo di fronte a un modo (ingiusto) di sopravvivere finché non accade qualcosa che le spinge a reagire, a rifiutare ruoli di comparsa o di schiava, a cercare una soluzione, ognuna per suo conto, attraverso un percorso mentale individuale, chiedendo infine un anonimo aiuto su un sito collettivo (FamiljeLiv.se) e dichiarandosi disponibili a darlo per liberare altre. È un noir criminale, sia chiaro, non un fondo di denuncia o un appello pubblico. Lo stile è secco ed essenziale (a differenza di altre opere dell’autrice) senza eccessive introspezioni o lamenti teorici, in terza varia sulle tre “vendicatrici”, messe nelle condizioni di soffrire ancora molto, destinate comunque a incrociarsi e svelarsi. I capitoli sono brevissimi, una sceneggiatura già pronta. Vino e/o coca ai party, fiumi di birra il venerdì. Tommy canticchia Springsteen, Ingrid in auto ascolta Beyoncé.

 

Colin Wilson

Un dubbio necessario

traduzione di Nicola Manuppelli

(originale inglese 1964)

Carbonio

348 pagine per 17,50 euro

Londra e Heidelberg. Fine anni cinquanta e inizio anni trenta. Una vigilia di Natale, girando per le strade della capitale britannica ove si è trasferito prima dell’avvento del Nazismo, dopo aver partecipato a un seguìto quiz televisivo, il professore tedesco di filosofia Karl Zweig scorge un suo allievo di quasi trent’anni prima, Gustav Neumann. Era amico del padre, neurochirurgo ebreo poi suicidatosi, e aveva spesso discusso con il giovane, colpito da un’adolescenza tormentata rivolta infine al nichilismo e convinto di voler compiere il delitto perfetto. Ricorda il passato e sospetta un prossimo crimine, sotto la neve cerca prove e fa teorie, coinvolge gli amici e indaga. Con “Un dubbio necessario” il grande saggista e scrittore inglese Colin Wilson (Leicester 1931 – St. Austell 2013), gioca con lettori e personaggi, con il genere e con se stesso, a esempio intitola questo bel romanzo (di oltre 50 anni fa) come uno dei libri più celebri del suo protagonista: sia lode ai dubbi!

 

Redazione
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