«Campo Archimede»

Enrico Voccia sul romanzo di Thomas Disch (*)

DISH, Thomas M., Campo Archimede, Piacenza, La Tribuna, 1972.

Thomas Dish (**) tra le altre cose, è noto – soprattutto alla generazione di appassionati di fantascienza che vedeva la TV negli anni sessanta/settanta – per il romanzo The Prisoner che fu lo spin-off del noto telefilm Il Prigioniero. Le tematiche della serie erano per l’epoca notevoli, con temi di critica sociale difficilmente presenti prima di allora in un prodotto dedicato al grande pubblico televisivo, per non dire delle trame surreali e con caratteri innovativi quali l’ipnosi, le droghe allucinogene, il furto d’identità, il controllo della mente, la manipolazione dei sogni e, soprattutto, un’ambientazione in un luogo chiuso ed opprimente, completamente dedicato al controllo sociale dei prigionieri.

Probabilmente il motivo per cui fu scelto per la scrittura dello spin-off fu il suo romanzo Campo Archimede che, pubblicato praticamente in contemporanea alla serie televisiva, da molti punti di vista mostrava un’atmosfera assai simile. Ambientato in un futuro prossimo alla data di pubblicazione (1968), il contesto generale è quello di una guerra tra USA e URSS che si svolge con ogni mezzo, tra cui le armi batteriologiche. Il protagonista è Louis Sacchetti, un poeta e militante politico di sinistra rinchiuso in carcere in quanto pacifista e renitente alla leva. La sua permanenza nel carcere non dura però molto, in quanto viene scelto per essere portato in una installazione sotterranea, chiamata “Campo Archimede”, gestita da una organizzazione legata ai servizi segreti e diretto dal generale Haast, dove sono rinchiusi molti altri dissidenti. Apparentemente più liberi relativamente alla vita in carcere, sono però tutti cavie di un esperimento segreto di carattere biotecnologico.

Uno dei detenuti, Mordecai Washington, con cui ha iniziato un rapporto di amicizia, dice a Sacchetti che sono stati tutti infettati con la “pallidina”, cioè una mutazione del batterio della sifilide. Gli effetti del batterio sono quelli di aumentare enormemente l’intelligenza al prezzo, però, di portare velocemente alla morte: scopo dell’organizzazione è di utilizzare, nel periodo di vita, la loro super intelligenza allo scopo di vincere la guerra in corso. Un altro personaggio presente nel campo è la dottoressa Busk, psicologa militare che, però, è in forte contrasto con il generale Haast, con il comportamento delle guardie e, dopo la morte di Mordecai Washington, decide di andarsene, rischiando di apparire anch’essa una dissidente.

Sacchetti comincia ad avvertire gli effetti del batterio – le intuizioni straordinarie della super intelligenza ma, allo stesso tempo, episodi di follia e il decadimento del corpo – e comprende, dopo che i primi detenuti che ha conosciuto muoiono, quello che sarà il suo destino. Nel frattempo giungono a Campo Archimede Skilliman, un ex consulente scientifico del governo caduto in disgrazia che vuole in qualche modo riscattarsi agli occhi del governo, insieme ai suoi studenti; hanno deciso di contagiarsi tutti volontariamente per permettere la riuscita dell’esperimento. Va detto, infatti, che i primi detenuti, prigionieri politici, per impedire al governo di sfruttare a scopi militari la loro super intelligenza, si erano dedicati a vari generi di pseudoscienza – in particolare l’alchimia.

Nel frattempo arriva a Campo Archimede la notizia che la pallidina è uscita dal campo – probabilmente a causa della dottoressa Busk – e sta infettando l’intero pianeta e, contemporaneamente, Sacchetti, dal punto di vista di Skilliman, comincia ad avere una “cattiva influenza” sui suoi studenti. Skilliman allora decide di non aspettarne la morte “naturale” e lo accusa di ammutinamento davanti ad Haast; questi decidono di portarlo all’esterno per simulare un suo tentativo di fuga e sparargli alle spalle: a questo punto il romanzo termina con un notevole colpo di scena che, purtroppo, siamo costretti a svelare per il seguito del ragionamento.

Haast, infatti, non uccide Sacchetti ma Skilliman. Haast, però, è in realtà Mordecai: le “inutili” ricerche pseudoscientifiche erano, in realtà, un linguaggio segreto con cui, in realtà, portare avanti ricerche scientifiche effettive che hanno portato alla realizzazione, grazie alla loro super intelligenza, di un “reciprocatore mentale” ideato dai detenuti super intelligenti, con il quale si sono trasferiti nei corpi del generale e del suo corpo di guardie – ora si dedicheranno alla ricerca di una cura per la pandemia che la pallidina sta creando in tutto il pianeta. L’esperimento ha funzionato ma non nella direzione che Campo Archimede gli voleva dare.

Mordecai [nel corpo di Haast] mi ha spiegato come, durante il primo mese, a Campo Archimede fosse stato messo a punto dai prigionieri un sistema di comunicazioni segrete (…). Tutti i loro discorsi di alchimia erano un codice di complessità più che egizia, complicato per di più da frequenti voli pindarici, completamente fantastici, intesi a creare ulteriore confusione al computer della N.S.A. [che controllava ogni loro minimo accenno allo scopo di ricavarne informazioni utili al governo]. Una volta stabilito il linguaggio, furono intraprese numerose ricerche ma la più promettente fu (…) la duplicazione meccanica delle onde cerebrali e la loro registrazione su “memorie” (…) un altro corpo umano. (…) Il fatto siano riusciti a sviluppare un simile strumento con un minimo di prove pratiche, mantenendo per tutto il tempo l’impostura dell’Opus Magnum, disegnandolo in modo da mascherare il suo vero uso anche agli occhi degli esperti di elettronica (…) e di avere portato a termine con successo la prima operazione di questo tipo è la testimonianza più spaventosa dell’effettivo potere della pallidina.[2]

Il romanzo – che ricordiamo è stato pubblicato in edizione originale nel mitico 1968 – riflette ed allo stesso tempo interpreta lo “spirito del tempo” a due livelli. Il primo e più evidente è quello antimilitarista: è stato scritto in piena guerra del Vietnam dove il tema dominante del movimento nordamericano – e non solo – era la critica all’imperialismo a stelle e strisce che, però, in molte componenti si allargava ad una critica più generale alle dinamiche relazionali gerarchiche, che nell’ambiente militare trovano l’espressione più evidente. Il carcere militare che è, in realtà, Campo Archimede, con le sue torture e gli assassini, poi richiama senza dubbio i campi di addestramento della C.I.A. nei vari paesi latinoamericani retti da dittature militari. Campo Archimede, infatti, rientra nei testi che svilupparono la tematica antimilitarista tra gli anni sessanta e settanta del secolo scorso giungendo, come abbiamo visto all’inizio, a “bucare” anche il piccolo schermo.

L’altro aspetto del romanzo, poco notato in generale ma certo più originale, è la critica alla nascente cultura che poi si dirà New Age all’interno dei movimenti di opposizione. Proviamo a leggere la dinamica della rivolta dei primi detenuti: la cultura alchemica appare, infatti, fino al colpo di scena finale, come una fuga dalle difficoltà derivanti dallo strapotere del dominio gerarchico. La ricerca dell’Opus Magnum, di per sé, non condurrebbe da nessuna parte, se non ad un sentirsi altri dal potere in una dinamica puramente soggettiva, in un sottrarsi senza ulteriori prospettive di creare un mondo nuovo. Sarà il distacco del loro sapere scientifico dalle gerarchie politiche e militari che farà la differenza, la sua gestione autonoma, che porterà ad una dinamica di liberazione. Da questo punto di vista, Campo Archimede è una delle prime critiche letterarie alle derive irrazionalistiche nei movimenti di opposizione.

Enrico Voccia

NOTE

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Il_prigioniero_(serie_televisiva) .

[2] DISH, Thomas M., Campo Archimede, Piacenza, La Tribuna, 1972, pp. 160-161.

(*) ripreso da umanitanova.org sotto l’occhiello «Fantascienza e anarchia»

(**) articolo puntualissimo ma con un refuso clamoroso e ripetuto: il cognome infatti è Disch e non Dish.

 

Redazione
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Un commento

  • Complimenti per la recensione, la trovo perfetta, ricca, rende merito a un capolavoro. Disch è una delle voci più significative della “nuova fantascienza”. L’immaginazione corre ai suoi molti racconti, come dimenticare i due volumi de “La signora degli scarafaggi”, e come non rimanere affascinati dal suo stile coinvolgente e autentico. Tra le altre cose, autore anche di uno dei racconti per ragazzi più riuscito: “Le avventure del piccolo tostapane”… Un autore straordinario.

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