Canti per il 24 aprile

di Riccardo Venturi (*)

 

Mi è stata fatta una richiesta precisa: quella di introdurre i dieci canti della/sulla Resistenza che, da persona che se ne occupa pressoché da una vita intera, considero sia i più sconosciuti che i più importanti. Una richiesta del genere rivolta al sottoscritto è come invitare a correre un battaglione di lepri; e quindi ringrazio parecchio chi me l’ha fatta, ovvero Daniele Barbieri. Ognuno dei dieci canti sarà accompagnato da un video, da un link diretto al testo e da un breve commento; ma prima di cominciare, una piccola spiegazione per il titolo di questa cosa qua. Il Venticinque Aprile, come è noto, si canta Bella Ciao. Un profluvio di Belle Ciao. Un’alluvione. Lascerò quindi la festa comandata a quel canto che, oltre ad essere squisitamente democristiano nel suo spirito, non è mai stato cantato da nessun partigiano per la semplice ragione che (come ha oramai appurato uno studioso del calibro di Cesare Bermani) è una mistificazione fatta ad arte per trovare un “canto partigiano” accettabile da tutti ma che non fosse esplicitamente comunista o anarchico. In realtà sembra che “Bella Ciao” sia stato composto nel 1948, e che tutta la storia del “canto delle mondine” dal quale sarebbe derivato, sia un’invenzione. Quindi, quelli che seguono sono i canti del 24 aprile. Del giorno prima della Liberazione, quando si davano gli ultimi ritocchi all’insurrezione. Quando il cavalier Benito Mussolini si cacava addosso dalla paura e si preparava a scappare come un coniglio, travestito da caporale tedesco. Quando ancora morivano gli ultimi partigiani, e alcuni ne morirono il 25 e pure il 26, il 27, il 28. Quando si cantavano le cose che seguono, non le Belle Ciao del cavolo; quelle cantatevele voi assieme a Matteo Renzi.
1. INSORGIAM 
Testo
Questo era l’inno della Brigata Partigiana fiorentina “Vittorio Sinigaglia”, che entrò per prima in Firenze insorta già all’alba del 4 agosto 1944. Il partigiano Sugo, che allora aveva 17 anni, lo conosco da anni di persona anche perché, invece di frequentare il PD, séguita a fare il diciassettenne e frequenta il Centro Popolare Autogestito Firenze Sud. Insomma, quel ragazzo di 88 anni continua a fare il partigiano. Ce l’ha raccontata parecchie volte la storia di “Insorgiam”: sembra che fu composta in base, si pensi un po’, a un concorso. Il fiorentino Cesare Massai si trovava nel 1942 prigioniero politico a Castelfranco Emilia: la canzone, come racconta il Massai, sarebbe nata in carcere nell’autunno dello stesso anno, come componimento poetico, in occasione di un concorso indetto tra detenuti della sezione politica per celebrare l’anniversario della rivoluzione d’ottobre. Autore del testo sarebbe Bruno Falaschi di Ponte a Elsa (tra Empoli e Pisa), e autore della musica Alfredo Puccioni. “Insorgiam” fu pubblicata in un disco clandestino a Torino, e attribuita però ad autori ignoti; tornò quindi a Firenze diventando l’inno della Sinigaglia. Però, dice Sugo, non pochi partigiani dicevano che l’aveva scritta Vittorio Sinigaglia in persona (l’unico caso al mondo di vero negro, ebreo e comunista, ammazzato dai fascisti nel centro di Firenze il 13 febbraio 1944), e che la musica l’aveva scritta il musicista russo antifascista Igor Markevich, pure lui partigiano della Sinigaglia. Ultimamente è diventata l’inno riconosciuto di tutto il movimento antagonista fiorentino, e vi assicuro che fa una certa impressione sentire dei diciassettenni di ora cantarla come facevano i diciassettenni di settant’anni fa.
2. PARTIGIANO DI VALLE SUSA
La Prokura di Torino, Casellon de’ Caselloni e Padalinorinàudo possono dormire sonni tranquilli senza mandare in galera nessuno: non si tratta dell’ennesimo & terroristico canto NO-TAV. In Valsusa, però, ben prima del TAV c’erano gran convogli di tedeschi e fascisti, ai quali i valligiani dettero un bel po’ di filo da torcere e non certamente a sassate. La 41a Brigata Garibaldi “Carlo Carli” operava in bassa Valsusa e prendeva nome da un ragazzo di ventiquattro anni nativo di posti lontani da lì (era di Pontebba, in provincia di Udine). Un sottotenente di artiglieria, Carlo Carli, che, all’armistizio, fu tra i primi a organizzare la resistenza armata in Valsusa; fu ammazzato dai fascisti in uno scontro a fuoco vicino alla stazione ferroviaria di Avigliana, il 21 gennaio 1944. Più su nella valle operava la 46a divisione “Renato Baratta”.
3. SUI MONTI DI PIACENZA
Avvertenza: “Sui monti di Piacenza” inizia a 4’02”.
Questa canzone è la storia, popolarissima a Piacenza e dintorni ma pressoché sconosciuta altrove, del partigiano Giovanni Lazzetti, detto “Il Ballonaio” perché suo padre, per campare, vendeva palloncini e altri giocattoli alle fiere di paese. Se non fosse stato per il signor Carlo Picozzi di Cigogni di Pecorara, che se la ricordava e la cantò al folklorista Mario Di Stefano che la registrò, sarebbe andata persa; da allora è diventata il simbolo del canto partigiano piacentino. Giovanni Lazzetti, facente parte della divisione partigiana “Piacenza”, fu fucilato dai fascisti nel 1945; aveva 25 anni. Era una figura mitica per il suo ardimento e, soprattutto, per le beffe che giocava ai nazifascisti a volte in un modo un po’ pazzo e incosciente. Fatto sta, che quando fu fucilato la notizia fu data da Radio Londra.
4. VALSESIA

Se c’è un canto partigiano che ha una storia veramente incredibile, questo è Valsesia. E’ nato sulla melodia di una canzone fascista: Dalmazia, Dalmazia, che veniva cantata dai legionari dannunziani a Rijeka (la chiamo così, quella città, così fo rabbia ai nazionalisti da quattro soldi bucati). Sulla natura di quella canzone non ci possono essere dubbi, dato che in seguito divenne l’inno della Divisione “San Marco” della X MAS di Junio Valerio Borghese. Al tempo stesso, i partigiani della Valsesia ne fecero una rielaborazione, l’inno della divisione partigiana “Valsesia” (guidata dai leggendari Eraldo Gastone “Cirò” e Vincenzo Moscatelli “Cino”) e la canzone più conosciuta della zona: l’unico esempio, forse, di un canto che nello stesso periodo veniva cantato dai fascisti in un modo e dai partigiani in un altro. Dalla Valsesia passò praticamente a tutti le valli dove si combatteva, con gli adattamenti locali: ad esempio, in Val di Toce si cantava “Valtoce, Valtoce, che importa se si muor”. Con la fine della guerra partigiana, il canto fu dimenticato; tornò inaspettatamente in auge nel 1968, quando le organizzazioni militanti milanesi lo ripresero come inno-slogan della lotta antifascista.

5. IRIS E SILVIO
Di canti originali, su Silvio Corbari, Iris Versari e la loro banda partigiana autonoma e irripetibile, non credo ce ne siano. Mi piacerebbe essere smentito una volta o l’altra, e chissà se facendo un giro in Romagna qualcosa non salti fuori; però, nel 2006, ci hanno pensato un paio di misconosciuti e geniali fiorentini, i Delsangre (Luca Mirti e Marco “Schuster” Lastrucci), a scriverci sopra una canzone dopo che, nel 1970, Valentino Orsini ci aveva fatto un film con Giuliano Gemma (film bello, ma un po’ infedele storicamente). Le vicende della banda del Curbàra, sterminata dai fascisti e impiccata da morta ai lampioni di una piazza di Forlì, sono troppo lunghe per essere anche semplicemente riassunte; va detta però una cosa fondamentale, vale a dire che partigiani si era anche senza inquadrarsi, “di pelle”, per amore della libertà e in preda a una gioventù (erano tutti ragazzi di 18, 20, 22 anni) cui toccò combattere e morire atrocemente. Magari divertendosi anche un po’, come fece il Curbàra e la sua banda. E amando, e facendo l’amore come opossum. La vita contro la morte.
6. AL COMANDO PORTA’

Se qualcuno mi chiedesse: Riccardino, pigliaci un canto sulla Resistenza, uno solo, ma che sia il più bello di tutti, non avrei dubbi: questo qua. Solo che, qua, non si va sulle montagne e nemmeno fra i canti spontanei delle loro Brigate: si va nella Poesia, e quella con la P maiuscola. Il testo è di un grande poeta triestino, Carolus L. Cergoly, ed è scritto interamente in triestino stretto; la sua musica l’ha trovata solo nel 2009, grazie a Alessio Lega. Che è di Lecce, e sentire un leccese che canta in triestino -secondo me- non va perso a priori. In giorni in cui si parla parecchio di torture, torturatori, agenti Tortosa e siffatta merda in regime democratico, sarà bene ripassare un po’ cosa accadeva, appunto, nei comandi di Polizia o tedeschi quando beccavano un partigiano. Ci sono anche canti partigiani autentici che ne parlano, di queste cose; naturalmente. Però è opportuno anche dare un po’ di voce a quella cosa, oramai semidimenticata, che si chiama Poesia.

 

7. DAI MONTI DI SARZANA [o DI CARRARA]

Chi ci aveva il Beppe Garibaldi, e chi Pietro Gori. Non bisognerebbe mai scordarsi che la Resistenza armata [mi perdonerete se insisto spesso su questo termine, armata, perché le Resistenze, quelle vere, non si fanno a chiacchiere e a sdilinquimenti nonviolenti del cazzo: si fanno coi fucili], l’hanno fatta, e parecchio, pure gli Anarchici. Le Alpi Apuane, terra Anarchica par excellence, sono state terre partigiane fin dai tempi di Re Pipino, credo; da quelle parti, per insorgere ed essere torturati e sterminati non si aspettò certo il fascismo. Ci pensò la feroce Italietta umbertina e crispina già nel 1894. E così, questa canzone, c’è chi la canta con Sarzana e chi con Carrara; ma i monti son sempre quelli. Parla del battaglione “Gino Lucetti”, libertarti e nulla più: una formazione che prendeva nome da un anarchico che aveva attentato alla vita del Mussolerda nel ’26 e che trovò la morte nel ’43 affondato da un bombardiere tedesco mentre cercava di scappare su un battello dal confino a Ischia. Curiosamente, nel ’26, l’attentato (che non riuscì per un ètte) avvenne in un giorno che, se tutto fosse andato come doveva, si sarebbe riscattato alquanto dalla sua brutta fama futura: l’11 settembre. Ma va detto che sulle Apuane, di formazioni partigiane anarchiche ne operavano più d’una, e non solo il Battaglione Lucetti. Il quale, a guerra finita, decise di non scendere affatto da quei monti, e di restarci a fare la rivoluzione. Fu riportato giù dai Carabinieri, e assai poco cerimoniosamente . Il Battaglione Lucetti, c’è voluto un famoso romanzo per riportarlo un po’ a conoscenza: Il coraggio del pettirosso di Maurizio Maggiani (che è della Spezia, quindi di quelle parti). Però la sua canzone la sentirete cantare spesso, a condizione che frequentiate certi ambientini che non vanno a festeggiare il Venticinqu’Aprile ove si avverta la benché minima puzza istituzionale. Nel video, Dai monti di Sarzana è cantata da Ivan Della Mea. E’ stata l’ultima volta che Ivan ha cantato qualcosa in pubblico: era il 25 aprile 2009 a Fosdinovo, in provincia di Massa-Carrara. Il 14 giugno di quell’anno è morto.

8. BEPPINO [DALLE RIVE DELL’ARNO UN MATTINO]

Questo è un canto partigiano assolutamente raro, e non solo perché strettamente circoscritto alla città di Firenze. Prima di tutto è cantato sull’aria di Gorizia tu sei maledetta, e la cosa è notevole di per sé; indi di poi, è eccezionale per avere un happy end. Dopo essersi fatto tutta la guerra partigiana nella divisione Potente, il Beppino ce la fa a tornare sano e salvo a casa, sposa la fidanzata e ci fa intrafinefatta un bel bambino che nasce figlio della libertà. Insomma, un canto partigiano che, finalmente, ci parla un po’ di uno vivo. Ma ci parla, quasi con esattezza storica, anche di tutte le vicende della guerra di Liberazione a Firenze e dintorni. A proposito: il cantore, Alessandro Giobbi detto Il Menestrello, voce storica dei Centri Sociali fiorentini, folklorista e grand’interprete pure delle canzonacce sconce da caserma che i partigiani, secondo la precisa testimonianza del Sugo, si cantavano in abbondanza lassù in montagna mentre combattevano l’invasòr (altro che “Bella Ciao”: bella vieni qui che ti trombo, casomai…), ha seguito ammodino le orme del Beppino: dopo anni di concerti tirati per tre ore urlàndognene di tutte quando voleva smettere (“Sòòòòòòònaaaaaaaaa…!!!!”), s’è trovato la fidanzata e ci ha fatto subito un bel bambino. Auguri!
9. DANTE DI NANNI
Dante Di Nanni aveva diciannove anni quando lo ammazzarono. Stop. In un paese fondato su’ valori della Resistenza eccetera, io, che sono un ingenuo di tre cotte, mi rifiuto di credere che non sappiate chi sia stato Dante Di Nanni. E magari pure i GAP, tanto che ci siamo. Quindi non vi parlerò di Dante Di Nanni, perché sapete tutto su di lui; e se per caso non lo sapete, andate pure affanculo. Di canzoni su Dante Di Nanni ce n’è più d’una, ma ce n’è una sola sul serio partigiana; e lo è perché, in quella canzone del 1975, Dante Di Nanni viene fatto girare ancora per la città, addirittura sulla metropolitana; e i fascisti non si sentono tranquilli. Canzone partigiana è quella che trasporta la Resistenza attraverso il tempo, e nel suo giusto modo. In quel 1975 là la scrissero, e naturalmente saprete tutti anche questo, gli Stormy Six. Io però ve la fo ascoltare da un’altra band, nel suo arrangiamento: dai Gang dei fratelli Severini. Gente che ha sonato anche coi Clash, mica seghe.
10. CON LA GUERRIGLIA
Si termina con un canto semplicissimo, elementare, senza fronzoli. E’, probabilmente, di provenienza romana: lo testimonia anche il fatto che è cantato sull’aria degli Stornelli Romaneschi, quelli della più famosa Su comunisti della Capitale. C’è tutto l’armamentario che serve, perché la canzone è un’arma: il baluardo, la nuova Italia, le vittime invendicate, l’oppressa nostra gente…e c’è, soprattutto, la Guerriglia. E’, credo, l’unica canzone partigiana dove tale termine preciso è usato espressamente. Le cose come vanno dette. Provateci ora, a fare una canzone dove si dice: le cose si mettono a posto con la guerriglia. Non avete che da prepararvi immediatamente il borsone per la galera.
Buon Ventiquattro Aprile. E mi raccomando, imparate le canzoni e andate a letto presto perché all’indomani ci sarà parecchio da fare. Non fate come me che, per scrivere ‘sta cosa, ci ho fatto le cinque e mezzo di mattina.
(*) ripreso da http://ekbloggethi.blogspot.it che è davvero una “rete asociale” cioè una splendida fucina di idee non premasticate, di materiali pericolosi, di notizie sgradite ai poteri e di navigazioni controcorrente (per evitare di andar dritti e precipitare): spero che questo post sia l’inizio di una collaborazione intensa con Riccardo Venturi. Una sola piccola aggiunta: “Vittorio” era il nome di battaglia di Alessandro Sinigaglia. La sua storia è raccontata nel libro «Negro ebreo comunista» (Odradek) e qui trovate una recensione:  Le storie perdute di Mauro Valeri. (db)
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