Canto del cigno della Bolivia progressista
La lotta senza quartiere tra Luis Arce ed Evo Morales ha distrutto il Movimiento al Socialismo, ormai sgretolato al suo interno, e le organizzazioni popolari. La battaglia tra i due litiganti, esclusivamente per il potere, rischia di affossare la sinistra in vista delle presidenziali del prossimo agosto.
di David Lifodi
Immagine ripresa da https://www.notaalpie.com.ar/2023/10/02/cruce-morales-arce-en-bolivia/ (Credits: Horacio Tiseira)
Sembrano lontani i tempi in cui Pablo Stefanoni e Hervé Do Alto, nel libro Evo Morales. Il riscatto degli indigeni della Bolivia (Sperling&Kupfer, 2006) raccontavano la riscossa di uno stato secondo solo ad Haiti, a livello di povertà nel continente latinoamericano, e definito «un paese da spolpare».
Il sogno della Bolivia come uno dei paesi protagonisti del socialismo del XXI secolo da tempo si è interrotto e, soprattutto negli ultimi mesi, la lotta senza esclusione di colpi all’interno del Movimiento al Socialismo (Mas) tra Evo Morales e l’attuale inquilino di Palacio Quemado, Luis Arce, una volta suo delfino, si è tramutata progressivamente in una battaglia esclusivamente per il potere.
Luis Arce, accusa Evo Morales, si è venduto alla destra assumendo un’attitudine sempre più repressiva, come dimostra, in effetti, anche il caso dell’attivista Adriana Guzmán Arroyo fermata dalla polizia lo scorso 25 novembre durante le proteste contro la violenza di genere. Sullo stesso Morales, però, pendono pesanti accuse di violenze contro le donne minori di età. In questo contesto, sono definitivamente esplose sia la crisi di rappresentanza sia l’estrema frammentazione del Mas, con buona pace del progetto post-coloniale e post-liberista che il leader cocalero e indigeno aymara prospettava una volta assunta per la prima volta la presidenza del paese il 22 gennaio 2006.
La guerra tra Arce e Morales, che probabilmente finirà per affossare il progressismo boliviano, indipendentemente dall’ipotesi che Evo riesca, anche sotto un simbolo diverso dal Mas, a candidarsi alle prossime presidenziali, in programma nell’agosto 2025, o che la spunti Arce nel tentativo di non farlo presentare alle elezioni, ormai da mesi ha provocato scontri e blocchi tra i sostenitori dei due litiganti.
Il tentativo di omicidio dell’ex presidente, avvenuto alla fine dello scorso mese di ottobre, quando agenti dei corpi d’élite dello stato hanno colpito con 14 proiettili il veicolo su cui viaggiava in direzione Cochabamba, dove era atteso per partecipare ad una trasmissione radiofonica, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da un lato, Arce non ha mai smesso di mettere i bastoni tra le ruote a Morales, impegnandosi di più a contrastare il suo stesso compagno di partito che ad affrontare la pesante crisi economica in cui è sprofondato il paese. Dall’altro Evo, che ha mobilitato la sua base soprattutto per denunciare quella che lui definisce come una “persecuzione giudiziaria” relativa al presunto stupro di una sedicenne avvenuto nel 2016, quando quest’ultima faceva parte della sua Guardia giovanile e dalla quale avrebbe avuto un figlio. Una sollevazione, quindi, ad personam, mascherata da ideali politici.
Nel mezzo a questa disputa tra il personale e il politico si trova la Bolivia secondo uno schema che, rimanendo in America latina, ricorda lo scontro avvenuto in Ecuador tra Lenín Moreno e Rafael Correa e in una situazione di collasso economico da cui non è prevista, a breve un’uscita, visti i balbettii, su un tema così fondamentale per la vita delle persone, di Arce e Morales.
La tregua tra i due contendenti non sembra, al momento, un’opzione percorribile. Morales gode del sostegno di ampia parte dei militanti del Mas, che appoggiano la sua ricandidatura e Arce sa bene che la sua popolarità è in picchiata, ma preferisce distruggere definitivamente il partito piuttosto che vedere Evo di nuovo in corsa sotto le insegne del Movimiento al Socialismo. A farne le spese sono la governabilità del paese e la spaccatura in seno ai movimenti sociali e alle organizzazioni popolari. La destra sta alla finestra nella speranza di poter eleggere a Palacio Quemado un uomo forte approfittando della contesa tra i due litiganti.
Del resto, l’implosione del Mas, tra il culto della personalità che esige Morales e la mancanza di democrazia all’interno del partito, risulta ormai sempre più evidente. Difendere Morales significa difendere l’evismo, più che l’ideologia progressista che aveva portato al cambiamento politico del 2005, quando il leader cocalero, da Palacio Quemado, dichiarava guerra alle multinazionali e prometteva di battersi per i diritti dei popoli indigeni in un paese a maggioranza india, ma con politiche di apartheid nei loro confronti simili a quelle del Sudafrica.
I rapporti tra Arce e Morales si sono definitivamente incrinati nel momento in cui Evo ha capito che l’attuale presidente si sarebbe rifiutato di ricoprire il suo ruolo solo per un periodo di transizione allo scopo di far tornare lo stesso Morales alla guida del paese. La crisi delle istituzioni, insieme all’utilizzo della giustizia a fini politici, sia da parte Arce sia da quella di Morales, hanno trasformato lo stato boliviano in una giacca da strattonare continuamente per scopi personali, indebolendo così la fiducia nella democrazia.
A seguito del prevalere degli interessi personali, il Mas si è sgretolato, passando da essere un blocco popolare coeso a venir dilaniato da molteplici fazioni. La supplica rivolta dal partito ai leader della sinistra latinoamericana affinché intervengano per mediare tra i due contendenti, difficilmente porterà a dei risultati concreti.
Intanto, la Bolivia rischia grosso.
Se il socialismo abbisogna dell’ uomo forte al comando, cessa. Nella democrazia socialista si dovrebbe perseguire la giustizia sociale; ovvero il riscatto dei più deboli. Non sono ammessi personalismi; gestioni personali. La legge che tutti debbono rispettare, prima di tutto i governanti, deve essere amministrata da una magistratura indipendente. Così come non dovrebbe essere finanziata la stampa, se non dai lettori che acquistano i giornali. Nessuna religione deve poter condizionare la governabilità; va garantita la libertà di culto; come va garantito il diritto all’ istruzione e la parità tra uomini e donne et altro genere. Che dire ancora? Che i miti, prima o poi crollano. La prassi socialista non dovrebbe dissolversi; se avviene è perché il fare fallace umano non ha alimentato ed elevato il livello di cultura delle masse, del popolo. La conoscenza è il miglior guardiano della democrazia. Quella socialista, non quella filoamericana. In quel caso trattasi di plutocrazia.