Capezzuoli, Cerona, Fazioli, Heinichen, Longo con…

con Lucarelli, Van der Noot e Autori Vari

8 recensioni (giallo-noir) di Valerio Calzolaio

«Il commissario Maugeri e la Compagnia della Morte»

Fulvio Capezzuoli

Todaro editore

Pag. 214, euro 16

Milano. Metà e fine settembre 1949. Quel sabato pomeriggio Franco Dalmassi è salito in corriera da Bergamo alla baita di Valtorta che usa per la caccia. Qualcuno lo raggiunge di notte, prova a scappare fra i rovi, gli sparano due colpi alle spalle. Il lunedì mattina, quando arriva alla Squadra Mobile della questura di Milano (dopo una scadente prova di tiro con l’istruttore), il commissario Gianfranco Maugeri trova la signora Liliana Bergonzi ad aspettarlo. Gli dice che il marito Silvano, nemmeno 35enne, è scomparso dal giorno prima ma si è ricordata che si conoscevano e gli chiede di far qualcosa per rintracciarlo, hanno due figli piccoli. Maugeri prova a indirizzarla a un altro ufficio o al commissariato di zona (abitano in via Montenapoleone, sono molto ricchi), ma capisce che ci sono stranezze dietro alla sparizione e le garantisce qualche ulteriore verifica. Scopre che il marito nel 1937 era volontario tra le Fiamme Nere in Spagna, certamente non era fra i partigiani e non lo ha incontrato durante la guerra, così accompagna l’ispettore Bentivoglio, responsabile dell’Ufficio Persone Scomparse, alle Officine Meccaniche Bergonzi, azienda di grosse dimensioni, aperta solo dopo la liberazione ma già molto nota e con tanti operai. Rintracciano l’auto e per caso scoprono un collegamento con il caso di Valtorta. Viene ucciso anche Giovanni Politelli a Sorrento. Lentamente a Milano capiscono che il fuggitivo e le vittime facevano parte dello stesso plotone in Jugoslavia durante il periodo bellico, ci sono di mezzo tesori trafugati e vendette, mentre altri manovrano nell’ombra con propri obiettivi. Non sarà facile venirne a capo, anche perché da settimane è esploso pure il caso delle bische a cielo aperto e Valenti, amico, vicino di casa e vice di Maugeri, guida la squadra incaricata di risolverlo.

Il bravo storico critico cinematografico Fulvio Capezzuoli (Milano), dal 2014 scrive un’avventura l’anno, ricca di particolari sulla città nei primi anni del dopoguerra, 9 storie con il commissario Maugeri dall’estate 1946 all’autunno 1949 (finora), volute dalla compianta Tecla Dozio per la collana “Impronte” (gialle), che dirigeva. La narrazione è in terza quasi fissa, quieta e sorniona, inframezzata dagli omicidi interni all’ex gruppo militare che operava nella ex-Jugoslavia responsabile di molti massacri (da cui il titolo). L’autore getta uno sguardo documentato su alcuni eventi storici che lì si svolsero durante l’occupazione tedesca e italiana, particolarmente nel così detto Stato Indipendente Croato, comprese le spoliazioni da parte degli ustascia di ebrei da deportare, di serbi da massacrare, di banche da depredare. Stile e dialoghi curati ad alto artigianato, compatti essenziali godibili. Tutto si svolge ora in una quindicina di giorni, ma è nel passato che hanno memoria e origine alcuni crimini del nostro dopoguerra, comunque condizionato dall’eredità degli orrori e degli arricchimenti forzati. Forse non verrà promosso ma fa certo una bella figura il solito protagonista commissario Maugeri, già comandante partigiano durante la Resistenza, provvisto di fiuto intuitivo e capacità analitiche, sprovvisto di senso dell’umorismo e di attitudine a sparare, sempre modestamente residente in una casa per funzionari di Polizia con la moglie Giovanna e il figlio Giacomo (una domenica li porta al Planetario con generale soddisfazione), al lavoro in tram con raro uso delle poche auto di servizio collettivo. Il collega di Napoli gli spiega minuziosamente al telefono cosa fosse il Lotto clandestino, non si finisce mai d’imparare in questa vita.

DUE

«Il segreto del calice fiammingo»

Patrizia Debiche van der Noot

Ali Ribelli editore

Pag. 442, euro 15

Mezz’Europa. 1426-1443. Il fiammingo pittore (innovatore a olio) Jan van Eyck (fra 1390 e 1396 – 1441) fu coevo e coprotagonista del travagliato periodo di guerre e alleanze fra regni. Tutta la sua carriera resta legata ai poteri ufficiali delle Fiandre. Presto fu inviato in giro come spia dal duca di Borgogna, il 16 settembre 1426 lo troviamo all’abbazia di Gand, con il fratello maggiore Hubert (pure pittore ma stava subendo una grave sincope), la sorella Margriet (26enne ancora nubile) e il nipote ed erede Barthélemy. Lì lavora al capolavoro, il Polittico, prima di trasferirsi definitivamente a Bruges. Lì ascolta la profezia legata al Sacro calice di Valencia e inizia a stringere legami con gli Aragona, incrociando intrighi e congiure, tradimenti e battaglie, ostacoli e vittorie, con terre “italiane” frequente teatro, epilogo con Bart a Napoli. Ennesimo bel minuzioso romanzo storico, “Il segreto del calice fiammingo”, della colta esperta Patrizia Debicke van der Noot (Firenze 1942).

TRE

«Lontani parenti»

Veit Heinichen

traduzione di Monica Pesetti

Edizioni e/o

Pag. 286, euro 18

Trieste. Febbraio 2020. Il giugno precedente a Boulevard des Moulins nel Principato di Monaco il quasi 75enne ricchissimo consulente finanziario Jacques Minuzzi viene ucciso davanti all’ufficio, trovano alcune pagine intrise di sangue, una lettera a Nora della 85enne “zia” Vilma, dalle quali emerge l’oscuro passato della sua famiglia, la fuga di un parente collaborazionista dal Friuli nell’immediato dopoguerra. La coppia formata dall’insegnante Eleonora Norina Rota e dal più giovane (di diciotto anni) Nicola Niki Dapasin (ex forze speciali della polizia francese) ne sta ancora discutendo in Savoia a Chambéry, prima di partire per una crociera verso l‘Alto Adriatico. E a Prosecco Giorgio Dvot muore per la freccia ben mirata tirata a distanza ravvicinata da una balestra professionale, interviene il vicequestore capo della polizia giudiziaria Proteo Laurenti, capisce subito che l’omicidio ha origini nel lontano passato dei conflitti di guerra, il corpo è disteso accanto a una lapide commemorativa, i nomi dei trentadue partigiani giustiziati sono imbrattati da una svastica al contrario disegnata con una vernice spray rosso fluorescente. Sono stati visti un uomo e una donna su una piccola Peugeot rossa, parlano italiano con chiaro accento francese, forse sono determinati a scorrazzare e uccidere intorno a Trieste, non sarà semplice affrontarli. Tanto più che vi sono state altre vittime in zona negli ultimi mesi e la mano probabilmente non è la stessa, pur se tutto origina in vario modo dall’occupazione tedesca dopo l’8 settembre 1943, dalla Risiera di San Sabba, dai crimini nazisti, dalle complicità fasciste, dalla resistenza partigiana (diversa nell’Italia parzialmente liberata e nella Jugoslavia liberata). Inoltre nonno Proteo è distratto dai figli: la bella traduttrice Livia ormai intende sposarsi in comune con l’avvocato tedesco Dirk, la sorprendente Patrizia è di nuovo incinta ma magari il fidanzato Gigi non c’entra.

Veit Heinichen (Villingen-Schwenningen, 1957) è un economista tedesco che ha scelto prima di essere solo un professionista letterario, libraio editore giornalista, poi di trasferirsi nel raffinato meticcio capoluogo del Friuli Venezia Giulia dove vive da decenni. In oltre venti anni ha scritto oltre una decina di belle premiate avventure di genere giallo, imperniate sul testardo affascinante capofamiglia Proteo Laurenti, ormai vicequestore sessantenne, di lontane origini salernitane, poliziotto di strada, alto e sottile, sempre innamorato della moglie Laura, bella energica donna d’affari (le storie con Linda e Ziva risalgono al passato) e dei tre figli ormai grandicelli, Livia Patrizia Marco (nati a due anni di distanza l’una dall’altro, cresciuti con le solite dinamiche familiari, ogni volta articolate e aggiornate). Essenziali i personaggi della vitale fumatrice 95enne Ada Cavallin, già staffetta partigiana, che inizia proteggendo la 85enne suocera di Proteo e poi ha molte storie vere da raccontare, e del puzzolente barbone Kurt Kurti Anader, testimone e possibile colpevole. Anche questo è un ottimo romanzo da consigliare: descrizione accurata di luoghi importanti, stile asciutto ed efficace, colti competenti riferimenti storico-culturali, sguardo accorto sulle facilonerie di destra lì e altrove. In esergo: “L’innocenza è una forma di follia” (Graham Greene). Il titolo richiama le eredità intergenerazionali oltre che i meticciamenti linguistici (in particolare a pag. 80). La narrazione è in terza varia al passato; frequenti e corrette le continue citazioni delle fuorvianti cronache giornalistiche contemporanee (per esempio, assurdamente, contro l’Anpi); in corsivo gli stralci della lettera sugli orridi “fatti” del 1943-1945. Ovviamente vini e liquori di gran qualità (lasciate stare il prosecco).

QUATTRO

«Le notti senza sonno»

Gian Andrea Cerone

Guanda

Pag. 570, euro 19

Milano. Dal 21 al 28 febbraio 2020. Il 55enne commissario Mario Mandelli dell’Unità di Analisi del Crimine Violento, appassionato di storia, ammira l’amata efficientissima moglie Marisa Isa Bonacina che pulisce casa e segue sorpreso la tv che comincia a parlare del virus in circolazione, il loro figlio è medico anestesista a Pavia. Quando arriva in questura quella mattina presto deve affrontare il macabro ritrovamento di sanguinolenti resti e indecifrabili indizi da parte di un camion dell’immondizia nel cassonetto di un parco, sembra possa esserci un killer seriale che si accanisce contro le donne. Lo aiuta l’ispettore Antonio Casalegno, affascinante e donnaiolo, impulsivo e spregiudicato, complementare al suo capo. Poi un altro crimine scuote la città, l’omicidio di un noto gioielliere durante una rapina. Non potranno che esserci “Le notti senza sonno”, bell’esordio letterario noir (in terza varia) di Gian Andrea Cerone (Savona, 1964), esperto di comunicazione ed editoria

CINQUE

«La vita paga il sabato»

Davide Longo

Einaudi

Pag. 524, euro 19

Torino e Clot (sempre Piemonte), Roma. Autunno. Il calvo commissario Arcadipane, forse innamorato di Ariel, viene svegliato all’alba, c’è un morto sui monti fuori provincia (nel cuneese) e la compagna è scomparsa, forse rapita o forse uccisa: il dirigente generale ha imposto che sia lui a occuparsene, si erano registrati come Terenzio Fuci e Vera Ladich. Servirà risolvere il caso in una valle isolata e fare i conti almeno con un paio di delicate vecchie questioni aperte: la vicenda tribale che risale al Seicento e la storia della diga negli anni Sessanta, lingua occitana e politiche oscure. Andranno coinvolti i due “collaboratori” storici, l’amico e mentore Corso Bramard e l’indisciplinata agente Isa Mancini, entrambi con le proprie annunciate “complicazioni” personali, un trapianto e la maternità. “La vita paga il sabato” è il quarto bel romanzo della serie (iniziata nel 2014) per il bravo scrittore (anche per bambini) torinese Davide Longo (Carmagnola, 1971, primo romanzo nel 2001).

SEI

«Le strade oscure»

Andrea Fazioli

Guanda

Pag. 320, euro 18

Lugano e dintorni transfrontalieri. Fine novembre. In treno Ernesto Magni si percepisce aggressivo quando è attratto e ora la sua vita ha preso una brutta piega, tra il brusco licenziamento e una separazione mai accettata. In una storia di molestie sessuali viene coinvolto il selvatico segaligno investigatore che vive sulle montagne ticinesi, Elia Contini, in mezzo a soprusi economici e antiche ruggini. “Le strade oscure” è il settimo ottimo romanzo della splendida serie in terza varia (primo nel 2005, poi anche molti racconti), opera Andrea Fazioli (Bellinzona, 1978), insegnante e giornalista della Radiotv svizzera. A Elia piace sentirsi indipendente e dare una mano alle persone; non ha i genitori; mantiene un serio rapporto con la dolce paziente professoressa Francesca (lei a Locarno); sbarca il lunario ogni mese per miracolo, ottanta franchi all’ora per piccole indagini: anche qui incrocia una quindicina di animali immaginari. La sua timidezza è un antidoto contro la volgarità.

SETTE

«Youthless. Fiori di strada»

Massimo Carlotto, Patrizia Rinaldi, Alessandra Acciai, Pasquale Ruju, Massimo Torre

HarperCollins editore

pag. 314 per euro 18,50

Dal Veneto alla Calabria. Di questi tempi. La 16enne Domitilla Agostinelli Balbi è bellissima: bionda, gambe lunghissime, corpo leggero, viso dolce, all’apparenza perfetta e cresciuta in una famiglia ricchissima. I genitori vivono di rendita in un bel palazzo di Torino, trascorrono “vacanze” a Chamonix e Costa Smeralda; lei è in fuga (dal collegio svizzero), molto tossicodipendente, quando serve vende facilmente il corpo per le droghe, perlopiù chimiche; ora ha trovato provvisorio rifugio in una sperduta cascina con altre ragazzine costrette ad abbandonare tutto (loro, davvero poco o tanto brutto) e a fuggire. L’unica consapevole di cosa poteva aspettarsi e di avere un compito personale da portare a termine (senza diritto a un futuro) è la coetanea calabrese Teresa, che quella mattina scopre da lontano poliziotti e Scientifica intorno al cadavere di una giovane nuda, si tratta della loro amica e precaria coinquilina Stella, la seconda di loro uccisa negli ultimi giorni. Deve subito avvertire le altre (oltre a Domitilla che le piace proprio, ci sono le indivisibili gemelle Anna e Claudia, bruttina e carina, l’alta francese Léa, la nera riccia Rachida), debbono scappare di nuovo, capiscono che ci sono predatori in caccia di indifese e, anzi, le intercettano: due poliziotti dalla doppia natura. Giustina Rebellin e Cristoforo Marino si coprono a vicenda e organizzano festini in cui uccidono dopo averle violate le vittime, in vari modi. Le caricano su un furgoncino, lui non si tiene, monta dietro con loro, le mena e si fa succhiare da Anna, la più fragile, incinta. Un dosso provoca un incidente; le ragazzine feriscono il cattivo, si liberano; la cattiva guarda morire il partner di ferocia e si mette sulle loro tracce; hanno preso il marsupio e, senza saperlo, hanno una pennetta con il video degli orrori; deve trovarle prima dei colleghi buoni, che all’inizio non ci capiscono nulla e brancolano. Molti intensi giorni senza tregua, quasi in apnea, turbinanti.

Un’ottima idea, una splendida realizzazione. Cinque scrittori o scrittrici, di differenti radicamento ed esperienza, scrivono insieme un bel noir a dieci mani. Sono Massimo Carlotto (Padova, 1956), Patrizia Rinaldi (Napoli, 1960), Alessandra Acciai (Roma, 1965), Pasquale Ruju (Nuoro,1962) e Massimo Torre (Napoli, 1958), li conosciamo già tutti tutte abbastanza bene come autori autrici di romanzi e sceneggiature di notevole successo. Ci parlano di sei “fiori di strada”, la vicenda collettiva delle ragazzine (ancora vive) a cui era stata tolta dai familiari (genitori o nonni o altri) l’adolescenza (da cui il titolo) e che diventano “amiche”, affrontando insieme il tentativo di sopravvivere, ognuna con propri condizionamenti, origini, motivazioni ed esigenze. La narrazione alterna la terza persona varia su buoni e cattivi ai brevi capitoli in prima persona e in corsivo di loro tutte: la dolce Domitilla totalmente dipendente dalle sostanze, Claudia solo e sempre in difesa della sorella diversa, Anna stuprata dal padre e frastornata, Rachida solidale ed empatica alla ricerca della madre senegalese, Léa militante impegnata e scafata nel ricordo di un vero amore, Teresa determinata a vendicare la madre contro il contesto criminale (la cara Fiore l’ama e l’aiuta ma è dura). Viaggiano da nord a sud, con una breve sosta nelle Marche vicino Ascoli Piceno, fino all’epilogo nei pressi di Gioia Tauro; incalzati dall’implacabile aguzzina invasata sulle loro tracce, dalle tecnologiche ricerche ufficiali di polizia (il Valerio ce la mette tutta ed è proprio una brava persona), dagli allarmi televisivi (che restano sullo sfondo ma di cui verifichiamo l’impatto), in parte dagli stessi non irreprensibili parenti, dalle complicazioni pratiche di chi non ha mezzi e deve scansare tutto. Segnalo che taluni predatori entrano in polizia per avere mano libera, come alcuni “pedofili quando entrano in seminario”, a pag. 301. Si parte dale colline con le vigne di Glera e Cartizze, si gira ovunque e soprattutto in campagna. L’anziano arruffato Dannunzio ospita per un po’ le fuggitive e mette loro a disposizione ottime compilation musicali d’epoca (la sua, quella della maggioranza degli autori e forse di noi lettori).

OTTO

«Bell’Abissina»

Carlo Lucarelli

Mondadori

Pag. 186, euro 17

Cattolica. Una notte senza luna d’inizio dell’aprile 1940. Il bravo commissario aggiunto Marino è appostato, lo conoscete: alto snello biondo, occhi azzurri e naso dritto, perfetto, bello come un attore! Da un po’ sta seguendo due comunisti che risalgono la spiaggia nella sabbia mobile della bassa marea, “pericolosi” militanti antifascisti ricercati in tutt’Italia. Non si è accorto che l’atteso terzo lo sta prendendo alle spalle e gli punta una pistola alla testa. Fatica a spiegare loro che è lui il “contatto” che cercavano, quello di Giustizia e Libertà che ha gli indispensabili passaporti, nome in codice Locàrd. Glieli consegna nella baracca delle reti, dove ha anche portato sarde arrosto e fiasco di vino rosso, ospitalità romagnola. Non se ne vanno subito, quello tarchiato dei tre si presenta come Roccia, si chiama in realtà Labruna e faceva la guardia nella Squadra Fognature della Presidenziale, ha riconosciuto la faccia di Marino, dopo averlo incontrato nell’ottobre 1937 sulla scena di un crimine davanti al tombino di una villa a Prati, il ritrovamento di un minuscolo corpo femminile, la nana Mariannella del Quadraro ovvero la 18enne Adele Lina Ninchi, a servizio presso quella casa padronale ma residente in un ostello gestito da suore. Chiede a Marino di ricominciare a cercare l’assassino: ha saputo che il padrone commendatore, dopo essersi arricchito in Africa grazie alla guerra d’Etiopia, ora vive proprio a Cattolica, si chiama Francone Brandimarzio. E il commissario indaga: è vero, sembra quasi un recluso, ha un figlio, Attilio che frequenta amichevolmente la carinissima ragazza di colore Tzegè Weinì Lombardi, meticcia figlia della domestica eritrea Lette e di un dottore che l’aveva riconosciuta prima che le ultime leggi lo impedissero. Non potrà che scoprire altre morti e corrotti strafottenti, fra pericoli mortali e colpi di scena.

Il grande poliedrico scrittore, oltre che sceneggiatore e conduttore televisivo, Carlo Lucarelli (Parma, 1960) torna periodicamente sui suoi principali personaggi (De Luca, Coliandro, Grazia Negro, Colaprico). Avevamo incontrato il ribelle Marino in un celebre romanzo del 1993, Indagine non autorizzata (sempre Giallo Mondadori, stagione eroica del primo noir italiano), ambientato a Rimini nell’estate del 1936, lasciato a quel tempo triste e solitario, arrabbiato e deluso, fregato da tutti e costretto ad accettare un brutto odioso compromesso. Torna ora, militante clandestino sincero e coerente, ovviamente nell’avversato contesto fascista, quando il duce dittatore Mussolini sta per annunciare l’ingresso dell’Italia in guerra. Il romanzo è dedicato al mitico caro Gianfranco Orsi, la narrazione è in terza fissa sul protagonista (a parte il prologo), il titolo ovviamente riferito all’affascinante sognata eritrea Weinì, ben consapevole della canzone di Cesare Andrea Bixio che tanti fischiettavano e dei diffusi timori per i pericoli del meticciato in Abissinia. Ad Addis c’era una squadra pronta a fare irruzione nelle case degli italiani sospettati di avere rapporti more uxorio, si chiamava Squadra Talamo. Segnalo il Manuale di polizia tecnica del professor Locàrd, in più punti. Si ascoltano altre musiche, come Faccetta Nera e Crapa Pelada. Si bevono Sangiovese e liquore d’anice.

 

Redazione
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