Caporalato, uno sfruttamento disumano continuo

Alessio Di Florio racconta le ultime inchieste – a Mondragone e a Latina – contro lo sfruttamento nei campi, dimostrazione della barbarie criminale che impera in troppi luoghi d’Italia. Mondragone dove l’anno scorso i riflettori si accesero, con la propaganda politica che dispiegò tutti i mezzi possibili, per poi spegnersi rapidamente.

Palazzi «Ex Cirio», Mondragone. Nomi che oggi non dicono nulla alla quasi totalità degli italiani. Eppure per alcuni giorni l’anno scorso, nel pieno dell’estate, social e politica impazzirono accendendo i riflettori su questo angolo di Campania. Comodamente seduti in poltrona, tra un rutto e l’altro,  tutti sapevano tutto, tutti avevano la soluzione, tutti conoscevano i colpevoli e si sentivano in diritto di commentare e giudicare tra dirette televisive, fiumi d’inchiostro e comizi politici. Eccitati e fomentati da una propaganda politica vergognosa ed indecente che ancora una volta dimostrò tutta la sua violenza e la sua dannosità. L’occasione di questo show isterico e vergognoso fu l’esplosione di un focolaio del nuovo coronavirus.

Superato il focolaio tutti i riflettori si sono spenti come raccontammo  il 24 settembre 2020. Tutti o quasi perché Antonio Mira di «Avvenire» – il primo giornalista ad essersene occupato, già anni fa –  non ha mai dimenticato questo lembo d’Italia e continua a raccontare, documentare e denunciare. Come riportammo nel nostro precedente articolo nel 2018 Mira documentò per le prime volte quanto accade a Mondragone, il caporalato nei campi e lo sfruttamento dei bambini. Uno sfruttamento anche pedofilo in un luogo dove camorra e caporali imperversavano. Tre anni fa un’inchiesta della magistratura documentò una realtà terribile, drammatica e disumana. L’ultima inchiesta, che dimostra quanto purtroppo nulla è cambiato in questi anni, è delle scorse settimane. E, ancora una volta, senza gli articoli di Mira su «Avvenire» probabilmente non ne avremmo avuto notizia. Inchiesta di Carabinieri e Guardia di Finanza coordinati dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, due gli imprenditori arrestati (uno posto ai domiciliari) e due caporali raggiunti dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. A Capo di tutto un’azienda «ben strutturata» – come l’ha definita il capitano della Guardia di Finanza Simone Vecchi – a cui erano legate tutte le altre aziende coinvolte.

«Lo sfruttamento ha riguardato centinaia di braccianti bulgari e nordafricani, prevalentemente donne, impiegati sia in serra che in campo aperto – riporta l’articolo di Mira su Avvenire – “In condizioni di lavoro estreme – spiega ancora il capitano – Dodici ore di lavoro sollevando casse di pomodoro da 20 chili è una condizione disumana. E con qualunque tempo”. Questo per 6-7 giorni alla settimana, con una retribuzione oraria media che non superava i 4 euro e in parte finiva nelle tasche dei caporali, peraltro loro stessi imprenditori».

Nei giorni precedenti un’altra inchiesta è stata resa nota in un altro dei luoghi dove il caporalato, le agromafie e lo sfruttamento sono più attivi: Latina. Il sociologo Marco Ormizzolo denuncia e documenta quel che accade da anni: innumerevoli gli articoli, le interviste e vari i libri che ha vi ha dedicato. Ormizzolo sostenne i braccianti sikh e favorì il primo sciopero dei braccianti. La lotta contro caporalato e agromafie, anche (se non soprattutto) grazie a persone come lui, in questi anni ha avuto importanti passi in avanti. Ma tantissimo è il cammino ancora da compiere.

L’inchiesta delle scorse settimane ha documentato come i caporali dopavano i lavoratori sfruttati per aumentare la produzione e, di conseguenza, il profitto. Il medico di Sabaudia arrestato, secondo i Nas, avrebbe prescritto a 222 persone 1500 confezioni di ossicodone, applicando anche l’esenzione dal ticket. L’ossicodone è un antidolorifico oppioide e la sua assunzione aveva l’obiettivo di ridurre fatica e dolore dei lavoratori sfruttati. «Il mio apprezzamento alla Procura di Latina e ai Carabinieri per l’operazione No Pain di oggi che ha scoperto in via ufficiale un sistema organizzato di diffusione di medicinali dopanti ai braccianti indiani al solo scopo di far loro sopportare i massacranti turni di lavoro nelle campagne. Poi ripensi al quel 2014 quando con In Migrazione pubblicammo il dossier “Doparsi per lavorare come schiavi“, a quelli che ci sostennero (pochi) e a quelli che dicevano (tanti) che era tutto inventato o comunque marginale o eccessivo – ha scritto su facebook Ormizzolo – Ora c’è chi può parlare e approfondire e chi è meglio che taccia e infatti tace. Continuo a pensare che nel Pontino le istituzioni più avanzate su questo fronte siano la Procura e le Forze dell’ordine, che non ringrazierò mai abbastanza per tante e tante ragioni».

(*) ripreso da www.wordnews.it

In “bottega” vedi Cosa vuol dire essere un rom bulgaro: a Mondragone… (di Valerio Evangelista) e I focolai di Mondragone e Bologna hanno qualcosa in comune: lo sfruttamento (di Sebastian Bendinelli)

 

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