Cappuccetto Rosso e la nonna malata

racconto di Chief Joseph (*)

Nel paese delle case colorate, ce n’era una tutta bianca vicina a un bosco, dove vivevo con la mamma, che era una fata. Un giorno, la mamma mi disse di andare a trovare la nonna. che, da troppo tempo, sembrava strana. Infatti, rispondeva raramente al telefono e, quando lo faceva, pronunciava monosillabi e sembrava avesse fretta di chiudere la comunicazione. Durante il mio cammino, m’imbattei in una grande villa, circondata da decine di telecamere, collegate a un grande schermo, che riproduceva ciò che stava avvenendo intorno: due fidanzatini, che, stringendosi le mani, si sfioravano le labbra; un anziano con il cane; due ragazzini, che messaggiavano col cellulare; una colonna di formiche intente a trasportare le provviste per l’inverno e, seminascosto, dietro un albero, un distinto signore, forse un esponente del Movimento delle stelle, che cercava il creato con il suo computer portatile. Continuando a fissare lo schermo, non riuscivo a capire dove mi trovavo, infatti, tutto quel movimento, lo vedevo solo sul monitor perché, direttamente, trovavo solo piante e fiori, sentivo i rumori del bosco e intorno non c’era nessuno a cui chiedere informazioni.

Suonai il campanello della villa e, dallo schermo, sbucò un robot dall’espressione truce, che, con voce metallica, sentenziò: “In casa non c’è nessuno, ma non azzardatevi a entrare perché ci sono telecamere dappertutto e sofisticati sistemi di sicurezza!” Mi sedetti sul ciglio della strada capendo di essermi persa. Fortunatamente, dopo pochi minuti, passò un uomo, dall’età indefinibile, vestito in modo trasandato, che trascinava un carrettino con gli oggetti più disparati: pezzi di copertoni, scarpe, innaffiatoi, ruote, avanzi di cibo… Si offrì di accompagnarmi. Vincendo un’iniziale riluttanza, mi affidai completamente. Strada facendo, l’uomo mi raccontava della sua piccola casetta, del suo orto, del suo pollaio, del suo laboratorio tuttofare, dove aggiustava scarpe, riparava innaffiatoi e cercava di dare un senso, rendendoli ancora utili, a oggetti che erano stati scartati. Quando, finalmente, arrivammo davanti alla casa della nonna, l’uomo si accomiatò, invitandomi ad andare a trovarlo nella sua casa, che indicò con un dito. Lo salutai e suonai il campanello. Non rispondendo nessuno, entrai e la vidi che stava guardando tre televisori contemporaneamente: uno trasmetteva la telenovela: “Il millepiedi torna sui suoi passi”; l’altro, uno spot pubblicitario che insegnava a conoscere il gusto pieno della vita, a mettere le ali ai sogni e a giocare con l’eroe dell’igiene e l’ultimo, un programma di intrattenimento, dove una imbellettata signora dissacrava, imperturbabile, la propria intimità. Mi accorsi che le orecchie della nonna erano cresciute a dismisura e gliene chiesi ragione. “Per sentire meglio la televisione”, rispose. Pure gli occhi sembravano i fanali di un’automobile e anche in questo caso mi rispose che l’aiutavano a vedere meglio la scatola magica. Mi avvicinai al letto e, alzando le coperte, mi accorsi che le gambe erano diventate corte. Allora capii che era ammalata di televisione. La feci alzare e, sorreggendola a fatica, ci incamminammo verso la casa dell’uomo che mi aveva indicato la strada. Lassù, in mezzo al silenzio, si nascondeva la medicina che poteva guarire la nonna.

NELL’IMMAGINE – scelta dalla redazione della “bottega” – un dipinto di FRIDA KAHLO sul confine fra il suo Messico e gli Usa. A proposito, la mostra milanese è bella e curatissima; se siete in zona non perdetevela, sono gli ultimi giorni. (db)

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