Caritas quotidiana travestita?

di Angelo Maddalena

 

«Nel pensiero e nell’azione del sacerdote siciliano, comunque, non c’è mai stato spazio per l’adozione di politiche assistenzialistiche». Sono parole di monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’APSA (amministrazione del patrimonio della sede apostolica) in occasione del settantesimo anniversario della nomina a senatore a vita di don Luigi Sturzo. Apprendo questa notizia da Avvenire del 16 novembre. Lo stesso quotidiano, negli ultimi tempi, difende strenuamente il reddito di cittadinanza, anche se il presidente della Cei, Matteo Zuppi, ultimamente ha dichiarato che sarebbe da rivedere, mantenendolo ma cambiando i termini di assegnazione. Giorni fa «Il fatto quotidiano» in prima pagina riportava l’intervista a Pasquale Tridico, presidente dell’INPS e il titolo diceva: RDC ha salvato 5 milioni di italiani che altrimenti andrebbero alla CARITAS. Si sa che il titolo deve acchiappare ma quello che mi preme dire è che, in ogni caso, la questione centrale è sempre elusa: Luigi Sturzo non dava spazio a politiche assistenzialistiche, ed era un prete. Quindi nella cultura cattolica, fortunatamente, non è così automatico ricorrere alla Caritas o all’assistenzialismo. Bisognerebbe scomodare Ivan Illich per farci spiegare in che modo, a partire dal XIII secolo, si è sviluppata una cultura che ha portato l’«ospitale», che prima era una sorta di ostello per i pellegrini, a diventare ospedale per i malati, ma anche il passaggio dall’accoglienza diffusa all’ospitalità a pagamento, in una parola: l’istituzionalizzazione della carità.

Man mano che si rompono i legami comunitari, la provvidenza (associata alla lotta dal basso) diventa previdenza e via via fino alla deriva dell’assistenzialismo. Si potrebbe mostrare con esempi spiccioli dei nostri giorni: negli ultimi trent’anni è quasi scomparsa del tutto dal nostro immaginario la possibilità di viaggiare in autostop. Molti di noi tendono a liquidare la cosa dicendo che è diventato pericoloso far salire in macchina sconosciuti, dimenticando che c’è una relazione diretta fra l’aumento di automobili per ogni individuo (a volte più di un’auto) e la scomparsa degli autostoppisti. Il cinismo e la disumanità (oltre che l’isolamento e il dispendio di energie e di risorse monetarie) che si vedono ogni giorno dal punto di vista di chi fa autostop (anche come prova sociologica, come esperimento di osservazione) è una testimonianza terrificante e quotidiana: proviene direttamente dal fatto che l’auto privata ha invaso il nostro immaginario. E ancora: la carenza di mezzi pubblici non dipende, come spesso si vuole far credere, dal fatto che poca gente viaggi con i mezzi pubblici: i mezzi privati dominano come in un totalitarismo privatizzante come per altre forme di vita privata. Da un mese non ho la connessione a internet in casa: così mi depuro da tutta una serie di spazzature che passano attraverso youtube (molti video sono presi dalla TV, filmati di bassa lega). Vado in un bar sotto casa a connettermi: si è aperto un mondo di relazioni e scambi anche con i gestori del bar, dopo tre anni che abito qui. Questa mattina ho fatto un’altra prova: ho chiesto a una ragazza di una pizzeria (sotto casa mia) un euro per comprare il giornale e dopo l’ho compartecipato con lei, leggendole uno o due titoli della prima pagina. Poi nel bar sotto casa ho letto un articolo intero a Francesca, la ragazza che lavora nel bar. Qualcuno potrebbe pensare che questo discorso c’entra poco con l’assistenzialismo e il RDC. Invece è tutto collegato: ho un amico che vive da solo e percepisce il reddito di cittadinanza. Sta sempre a casa ed esce pochissimo: avrebbe possibilità di lavorare, perché è un polistrumentista, potrebbe insegnare nelle scuole, fare lezioni private di musica oppure mettersi per strada e suonare come fanno altri artisti che vedo spesso e guadagnano benino. Lui potrebbe fare concerti o al limite cercare altri lavori e integrare: tipo cameriere o “volantinaggio” (quello che faceva fino a prima di percepire il Rdc). Non voglio accusare questo amico di pigrizia però credo ci sia tutto un sottobosco non percepito, psicologico e profondamente distruttivo di tessuti comunitari e quant’altro. Ancora dobbiamo elaborare quello che Ivan Illich scriveva 40 anni fa: «oltre una certa soglia di dipendenza da un’Istituzione, da un mercato o da un sistema tecnologico, si ingenera una nuova forma di povertà: povertà di autonomia e di creatività». Ci sono abissi e voragini enormi di questa povertà ingeneratasi negli ultimi anni: aumento di dipendenza da mercato, istituzioni e sistemi tecnologici. Se si guarda solo alla punta dell’iceberg non si guarda in faccia quello che succede. Torno al Rdc: a parte quelli (sono tanti, perché per come è concepito favorisce l’illegalità) che ci marciano, facendo altri lavori o peggio avendo patrimoni, mi sembra che questo amico – come tanti altri “percettori” si autocondanni all’automortificazione in cambio di un’elemosina. Per carità, è un’elemosina anche il salario, però almeno il salario ti dà modo di uscire di casa, incontrare altre persone. Per me ognuno dovrebbe realizzarsi pienamente in tutte le sue facoltà: sociale, spirituale, creativa, sensoriale, emotiva e intellettuale. Questo sarebbe l’orizzonte di senso per una società e un insieme di persone felici che di conseguenza creano una comunità gioiosa. Qui invece l’andazzo è sempre più indirizzato a potenziare frustrazione e alienazione, come spiegò bene, tra gli altri, Erich Fromm. La fiducia in sé stessi e il coraggio di osare bisognerebbe fomentarli mentre l’assistenzialismo va nella direzione contraria: sfiducia e scoraggiamento. C’è bisogno di stimoli a uscire da sé stessi per incontrare l’altro. Anche la povertà può portare all’incontro con l’altro e alla provvidenza. Non va combattuta la povertà, va combattuta la miseria, come diceva padre Turoldo. Sì, con RDC stiamo rendendo meno poveri alcuni milioni di persone, ma a lungo andare diventano sempre più mortificati e dipendenti. Una signora molto genuina che conosco (gestisce un bar con piccolo ristorante) un anno fa mi disse: «una volta chi prendeva soldi dal Comune (il caropane credo di chiamasse) si vergognava, ora tutti vogliono soldi dallo Stato e non si vergognano». Io penso che questa “vergogna” ci sia ma molti non la tirano fuori. Ed è questo, forse, un altro aspetto da indagare: quanta frustrazione e senso di colpa accumula chi viene trattato da incapace di guadagnarsi da vivere e si sente meritevole solo di andare alla Caritas?

 

Redazione
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6 commenti

  • È chiarissimo che l’autore dell’articolo non ha mai vissuto in prima persona la povertà, quella materiale. Il tempo è dei filosofi.

  • angelo maddalena

    La povertà non è come un albero, non è neanche il volo di un moscone, ops, era la libertà quella, ma povertà non è anche libertà? consiglio a Teresa l’ascolto della canzone Pani picca e libertà che trova su you tube, e anche la lettura di qualche passaggio dell’ultimo libro dello stesso autore: Taccuino di viaggio interiore, c’è un passaggio di David Maria Turoldo, che chiude nche il monologo Poveri e pazzi dello stesso autore, anche quello rintracciabile su youtube, comunque grazie per l’attenzione

  • angelo maddalena

    scusa Teresa per il commento di prima, ero di corsa, perchè in viaggio, volevo dire intanto grazie per la tua attenzione, ma volevo chiederti: non potresti fare un’osservazione più pertinente, cioè nel merito del contenuto del testo? Perché dire quello che hai scritto tu è un riferimento personale, tra l’altro non ci siamo mai incontrati, non so cosa tu voglia dire? squalificare il mio testo perché secondo te non ho mai vissuto la povertà sulla mia pelle? dom Helder Camara diceva: “Se aiuto un povero mi dicono che sono un santo, se mi chiedo quali sono le cause della povertà mi danno del comunista (in senso dispregiativo, per il tempo e il contesto politico in cui lui viveva)”. Io potrei dirti che la povertà sulla ma pelle l’ho vissuta e la vivo quotidianamente, semmai non ho conosciuto la miseria, e Turoldo dice qualcosa al riguardo: “Io voglio combattere la miseria, non la povertà, perché la povertà è la placenta di tutti i valori”. Ignazio Buttitta diceva: “Canto la miseria del mio popolo”, e non era povero, eppure cantava i dolori della miserai e l’ansia di insurrezione e riscatto dei siciliani; Ivan Illich, come c’è scritto nel testo, diceva che la povertà vera è quella di autonomia e creatività, di altro che dirti? per adesso mi fermo, nell’attesa di una tua risposta…più pertinente e nel merito?!

  • Bell’articolo che affronta un tema molto delicato da un punto di vista diverso dai soliti. Non è mai semplice dare un giudizio su un tema così delicato, ma sicuramente offre ottimi spunti di riflessione…

  • Alberto Campedelli da Correggio tel 3207958924

    La povertà e’ sotto gli occhi di tutti: non possiamo voltarci dall’altra parte, ma occorre, oltre all’elemosina un intervento del governo che oltre al reddito di cittadinanza provveda a posti di lavoro “scoperti” che vado ad elencare: i forestali con una assunzione minima di 100.000 uomini e donne per sorvegliare il territorio, istituire il vigile di quartiere nelle grandi e piccole città con l’assunzione do 300.000 persone, le forze dell’ordine a partire dalla guardia di finanza che da sola, merita una assunzione di 100.000 uomini e donne per combattere l’evasione fiscale. Poi 30.000 uomini e donne per tenere pulite le gradi città (un esempio acclatante e’ la situazione di Roma). E poi incentivi statali per chi si rimette in gioco nel campo dell’agricoltura con aiuti a fondo perduto per iniziare l’attività per recuperare i terreni incolti e malcoltivati. Insomma e’ questione di volontà politica che fino ad ora nessuno ha dimostrato di volere. Alberto Campedelli t.3207958924

  • angelo maddalena

    grazie Alberto, proprio poco fa a una conferenza di Cristiano Baldoncini, agricoltore e panificatore di Gubbio, lui diceva che fino a 70 anni gli agricoltori mantenevano l’Impero, dagli anni ’70 in poi, l’Impero mantiene gli agricoltori: cioè l’UE dà assistenza ma che diventa dipendenza: 60 anni fa un agricoltore campava una famiglia con un piccolo appezzamento di terra, oggi ne deve avere per forza molte decine di ettari per avere la cosiddetta integrazione, ma è più dipendente da Istituzioni e Multinazionali tipo MOnsanto, e campa a mala pena, comunque subissato da tasse e condizionamenti vari, insomma: l’assistenza non deve mai venire prima dell’autonomia, dello sforzo per realizzarsi, va bene tutti gli aiuti che vogliamo, ma vale sempre l’antico detto: aiutati che Dio ti aiuta, se invece aspetti è passivamente ti bruci creatività e autonomia, convivialità e vitalità: ieri ho fatto un concerto a Genova, ho raccontato dell’obiezione di coscienza di un musicista brasiliano allo Satatut d’artiste: 1400 euro al mese, ma in cambio devi soggiogarti ai giochetti della burocrazia e dei sindacati belgi, Marcelo non lo ha più voluto, sembra una follia no?! eppure….ci sarebbe da guardare un pò più oltre, per affrontare le questioni fino in fondo, e riuscire a uscire dal gorgo partendo dal basso…

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