Carofiglio, Gallo, Panizza, Piobbichi, Recami, Rizzo e Rutherford

7 recensioni di Valerio Calzolaio

Francesco Piobbichi

«Disegni dalla Frontiera»

Claudiana

130 pagg per 18,50 euro

Lampedusa. 2013-2017. Senza quest’isola si sarebbero salvati ancor meno migranti, liberi e forzati. Senza quest’isola non avremmo compreso il dramma del transito povero nel deserto e nel mare. Senza quest’isola non saremmo cambiati in tanti e tante. Francesco Piobbichi (Umbertide, 1972) è un operatore sociale da 4 anni a Lampedusa, oggi protagonista della magnifica collaborazione fra il progetto Mediterranean Hope della Federazione delle Chiese Evangeliche e la Comunità di Sant’Egidio per un corridoio umanitario che prevede l’arrivo in Italia di mille profughi fra il 2017 e il 2018. Sfogliate i suoi “Disegni dalla Frontiera”, uno splendido volume che raccoglie 59 tavole introdotte dal titolo e da un breve commento (anche in inglese) stampati nella pagina a sinistra. Sono a presa diretta, di getto, tratti semplici e colori vivi per volti, imbarcazioni, animali, sogni, gesti che legano persone. Vedete Lampedusa e poi vivete.

Ester Rizzo

«Camicette bianche»

Navarra

134 pagine, 10 euro

New York. 25 marzo 1911. Rogo della Triangle Shirtwaist Company, muoiono 129 operaie. In quegli anni emerse la necessità di sottolineare ovunque le lotte per l’emancipazione e i diritti delle donne, la parità e la dignità nel lavoro e nella società. L’8 marzo è la data convenzionalmente scelta, oggi ricordata in gran parte del mondo. La scrittrice e giornalista Ester Rizzo (Licata, 1963) racconta qui un episodio terribile e cruciale. A molte persone perite in quell’incendio non era stata assegnata la provenienza. Perlopiù erano donne “migranti”, 38 italiane, le restanti 91 russe, ungheresi, austriache e alcune americane. Tante di loro avevano origine siciliane. In “Camicette bianche” racconta l’inedita storia (con ricca bibliografia e documentazione, anche fotografica) e riporta nome e cognome delle vittime, inoltre il sesso, la provenienza, l’età (giovanissima!), la religione, il cimitero dove riposano. L’obiettivo è pure di tenerne conto nella toponomastica. Colto e toccante.

Adam Rutherford

«Breve storia di chiunque sia mai vissuto. Il racconto dei nostri geni»

traduzione di Sabrina Placidi

Bollati Boringhieri

342 pagine, 26 euro

Il genoma degli umani. Ieri e oggi. La luce ancora non è viva su origine e storia dell’uomo. Non conosciamo il percorso che ha condotto dalle scimmie al genere Homo (dal fiume Omo in Etiopia) e noi ovunque, tempi e luoghi non hanno successione lineare, il collegamento fra i siti di ritrovamento dei reperti traccia linee ipotetiche. Pare proprio che i 107 miliardi 602.707.791 (uno più, uno meno) esemplari di uomo moderno vissuti da circa 50.000 anni fa al 2011 abbiamo tutti la medesima origine africana. Pare che ognuno sia allo stesso tempo ordinario ed eccezionale, tutti una combinazione di uno spermatozoo e di un ovulo con unica impronta digitale genetica. Pare che genomi, geni e molecole del DNA (con struttura a doppia elica) contengono la registrazione del viaggio compiuto dalla vita umana sulla Terra, abbiamo imparato a leggerli e capito che possono dirci molto e qualcosa, almeno altrettanto, non possono. Non è chiara quale sia la relazione tra sequenza dei nostri geni nel genoma (genotipo) e modo in cui si manifestano sotto forma di proteina e nei caratteri esteriori (fenotipo). Le nostre origine ed evoluzione di bipedi mobili, sapienti, e civilizzati non hanno mai seguito una direzione ineluttabile. Il nebuloso arbusto di ominidi e umani appare come un cespuglio senza radici, con rami discontinui, rotti, intersecati, paralleli. Homo sapiens è un eucariote animale cordato mammifero primate aplorrino ominide homo, unica specie rimasta del genere. L’ultimo antenato comune con i Neanderthal dovrebbe essere esistito 500.000 anni fa (giorno più, giorno meno). Il più recente antenato dell’umanità attuale sarebbe vissuto 3.400 anni fa, 800 dei soli europei (perlopiù di incarnato scuro almeno fino a 8000 anni fa). Siamo tutti cugini, di vari gradi.

Il genetista e divulgatore scientifico inglese Adam Rutherford (Ipswich, Suffolk, 1974/75) ha scritto decisamente un bel libro (con bibliografia composta soprattutto di articoli recenti). Ecco i termini del glossario finale, ne apprenderemo significato e connessioni: allele, aminoacidi, basi, codone, cromosoma, DNA, eterozigote, fenotipo, gene, genetica, genoma, genomica, genotipo, leggi di Mendel, mitocondri, polimorfismo, proteina. Si tratta di una certa rilevante parte delle “scoperte” successive all’invenzione della biologia evoluzionistica da parte di Charles Darwin, ritenuto “il più grande scienziato in assoluto” (nel mio piccolo, sono d’accordo). L’autore illustra anche come (dall’inizio del XX° secolo) la biologia si sia via via spostata dalla forma delle ossa e dei caratteri fisici all’ambito prima molecolare (i gruppi sanguigni) poi genetico (appunto il DNA), unendo statistiche e teorie darwiniane, formalizzando i meccanismi dell’evoluzione in base alla selezione naturale, individuando nell’agricoltura e nell’allevamento la svolta cruciale per quel che siamo oggi. E parla di capelli rossi e statura, di peste nera e sport, di latte e intelligenza, di eugenetica e medicina, di Riccardo III e Jack lo squartatore, di stereotipi razziali e pregiudizi antizigani. Non esiste alcuna componente genetica fondamentale che permetta di definire “razza” un particolare gruppo umano. L’evoluzione è cieca: siamo caratterizzati da una variabilità davvero infinita. Non è possibile prevedere i comportamenti complessi di una persona: il conflitto è nelle persone, non nella biologia. Per di più, dobbiamo riconoscere importanza all’esoincrocio e alle popolazioni endogamiche: se nel genoma di un bimbo non confluiscono geni nuovi aumenta il rischio che emergano malattie genetiche recessive. Così, è bene essere tutti meticci. L’autore cita di continuo il ruolo delle migrazioni, tanto che in un paio di occasioni segnala che il termine qualche volta potrebbe essere “fuorviante”, solo che non spiega come o perché e lo usa talora in modo impreciso; anche in questo testo manca una teoria critica del migrare. Rutherford ha studiato genetica e lavorato a “Nature”, ha dimestichezza con la ricerca di laboratorio e l’interdisciplinarità scientifica, risulta un ottimo scrittore. Studia, descrive, divulga con profondità e leggerezza, che utile e piacevole leggerlo!

Alessandro Gallo

«Scimmie»

Navarra

78 pagine, 10 euro

Napoli. 1985. Gennaro Pummarò è un quindicenne egocentrico, magro bianco deperito, figlio e fan della camorra, insieme ai due sodali amici che porta sempre con la vespa arrugginita, Franco Panzarotto, perché basso e cicciottello, e Tore Bacchettone, perché alto. Dopo un insoddisfacente primo tentativo sessuale dalla professionista Annarella decidono di puntare una zona del Vomero e farla propria. La vita avrà una svolta per tutti e tre i ragazzi a fine estate, più o meno quando i loro mitici riferimenti sociali ammazzeranno Giancarlo Siani. È al giornalista ucciso il 23 settembre 1985 che Alessandro Gallo (Napoli, 1986) dedica il romanzo breve “Scimmie”, lui un giovane scrittore e promotore teatrale nato “dopo” e “figlio di Gomorra”, cresciuto scimmiottando il potere della camorra, per poi fuggirne a vent’anni lasciandosi alle spalle famiglia, casa, amici, quartiere e divenendo a Bologna un bravo impegnato operatore culturale.

 

Francesco Recami

«L’errore di Platini»

Sellerio

124 pagine, 12 euro

Viareggio. Anni Ottanta. Platini si fa intercettare una palla e la Juve perde in casa. Gianni Secci, rappresentante di maglierie, fa tredici alla schedina, vincita di 600.000 lire. Lo annuncia subito con entusiasmo alla moglie Sabrina (già Miss Simpatia Domani in una grande discoteca), appena tornata dal Carnevale, coi carri che facevano pure schifo, quella piovosa domenica pomeriggio. Forse non basta a cambiare del tutto vita, forse però sposta più di qualcosa, non si tratta solo di festeggiare. Per capirci l’affitto mensile che pagano ammonta a 350.000 lire. Il fatto è che hanno Marina, una deliziosa brava bella bambina cerebrolesa, immota e silenziosa. La loro vita viene sconvolta dall’evento, ovvero da “L’errore di Platini”. Appare freddo come un bisturi il racconto lungo sul “vuoto” indotto, scritto decenni fa dall’ottimo curato “cattivo” Francesco Recami (Firenze, 1956), pubblicato nel 2006 e ora riedito.

 

Gianrico Carofiglio

«Le tre del mattino»

Einaudi

168 pagine per 16,50 euro 16,50

Marsiglia. Due giorni. Da tre anni Antonio ha avuto la diagnosi di epilessia idiopatica. Si era accorto che gli accadeva qualcosa di strano già a 7-8 anni, circa una volta al mese il cervello smetteva di operare e lasciava passare tutto, improvvisamente non filtrava suoni, stimoli, movimenti. Poi un pomeriggio era svenuto da un amico e il medico di famiglia parlò di super attività elettrica e di sovraccarichi sensoriali. Finché nel 1980 durante la quarta ginnasio, dopo la scuola viene trovato a terra dalla madre, con la quale vive (figlio unico, il padre è andato via di casa quando aveva 9 anni), scosso dalle convulsioni, con gli occhi rovesciati e privo di conoscenza. Si risveglia all’ospedale in una stanza con accanto i genitori, piena di medici e infermieri. Vi rimane più di una settimana e infine lo dimettono da Neurologia e gli danno vari fogli di prescrizioni: quattro pasticche al giorno, niente sport e strapazzi, no a bevande gassate ed eccitanti, rumori alti da evitare e orari fissi da rispettare con molto sonno. Comincia a sentirsi un reietto, un invalido; cresce in lui una totale apatia; mesi dopo i genitori (sempre separati) suggerirono la visita da un luminare in Francia, hanno già preso appuntamento e partono. Al Centre Saint-Paul per la cura dell’epilessia il simpatico Henri Gastaut (realmente esistito), svolti tutti gli esami, esprime una prognosi favorevole, li rassicura sulla (non) gravità del caso e semplifica la terapia, dando appuntamento a tre anni dopo per una verifica. Antonio si sente meglio, ricomincia a leggere, va benino a scuola e quasi si scorda, non vorrebbe andare. Questa volta la madre non può accompagnarli, parte per Marsiglia solo con il padre, a fine primavera 1983. Arrivano e il soddisfatto medico propone un’ultima prova da stress. Antonio racconta quanto di fondamentale accadde quei due giorni e quelle due notti, ora, nel 2016, quando ha ormai 51 anni, l’età che aveva il padre allora.

L’ex magistrato ed ex senatore Gianrico Carofiglio (Bari, 1961), esperto di marziale karate e creativa scrittura, è divenuto uno dei migliori autori italiani, alternando romanzi racconti saggi, narrazioni di vari generi. Qui si parte dalla traccia di una vicenda vera di cui è venuto a conoscenza e siamo nel campo della fiction, tutti i personaggi sono frutto d’invenzione tranne uno; l’ambientazione allude sommessamente al noir e incombe quella Marsiglia dove Izzo stava facendo il giornalista, le sere paurose con pericoli apparentemente in agguato (di malattia e violenza), il fascino dell’isola con il terribile carcere del Dantès di Dumas; il senso del romanzo è nel rapporto figlio (Antonio) padre (senza nome) e non si tratta propriamente di un romanzo di formazione, anche se contano i primi rapporti sessuali e amorosi affinché i due uomini si ri-conoscano; le delucidazioni (citazioni e storie) sull’epilessia, sulla matematica (pure connessa al diritto) e sul jazz (soprattutto al pianoforte) risultano ampie e organiche con l’obiettivo di tornare su un rapporto (non finto) fra verità e realtà, fra spartito e improvvisazione; i dialoghi sviluppano una precipua funzione di trasmettere aporie e imperfezioni della comunicazione affettiva o sentimentale, le dissonanze cognitive come specifica dimensione delle relazioni reali e vere, personali e sociali. Ogni pagina mostra cura eccelsa, forse anche per quanto vi è stato tolto. Antonio narra in prima persona e il padre diventa sempre più l’argomento dei suoi pensieri e delle sue azioni: nato nel 1932, magro e occhialuto, alto ed elegante, naso pronunciato e occhi scuri, capelli folti ormai spruzzati di grigio, cicatrice (sul sopracciglio sinistro), gran fumatore (unghie ingiallite dalla nicotina), musicista in gioventù e pianista dilettante, assistente a 24 anni e poi presto ordinario di matematica. Il titolo richiama una frase del Grande Gatsby di Scott Fitzgerald, ottimo scrittore e uomo infelice, implicito incipit di un evento rilevante dell’ultima notte del test. Innumerevoli i libri e i film citati cui si accenna con acume. Cucina marsigliese e maghrebina, rosato sfuso della Provenza e due azzeccate bottiglie di Châteauneuf-du-Pape.

 

Giacomo Panizza

«Cattivi maestri»

EDB

204 pagine, 15 euro

Lamezia Terme. 1976-2002. Una parte della Calabria era ed è zona “mafiosa”. Don Giacomo Panizza (Pontoglio, Brescia, 1947) vi arrivò dal Nord nemmeno 30enne prete di frontiera, diede vita a una comunità autogestita con disabili, Progetto Sud. Insieme decisero di gestire un palazzo confiscato e don Giacomo fu testimone di giustizia contro un clan. La ‘ndrangheta, per bocca di capoclan locali, lo condannò a morte; dal 2002 vive sotto protezione. Ha raccontato esperienze e storia in vari volumi. Ora per Centro Editoriale Dehoniano spiega quale è “la sfida educativa alla pedagogia mafiosa”: fare i “Cattivi maestri”. Le organizzazioni criminali conoscono il territorio, svolgono opera di mediazione sociale mentre accumulano e redistribuiscono ricchezze, esercitano un dominio anche con le armi usando profittevoli cultura e strumenti della società capitalistica. Il bel volume inizia con un “elenco delle cose che mi piacciono del Sud” e ha una toccante prefazione di Fofi.

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