Carrino, De Giovanni, Fantozzi, Manotti, Recami, Robecchi, Varesi più una ricca antologia

8 recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio

Federica Fantozzi

«Il logista»

Marsilio

246 pagine, 16,50 euro

Roma (e Londra). Gennaio 2016. Il trentenne Tancredi D’Amico, seduttore alto e possente, occhi verdi e capelli neri (ora rasato), torna a Roma dopo tanto tempo (ormai vive e lavora nella capitale inglese) e incontra per caso Amalia Pinter. Siamo pochi giorni dopo la pianificata malvagia “Strage di Capodanno” (come davvero a Istanbul l’anno dopo) in un resort a cinque stelle delle Maldive, 32 terroristi su 4 Zodiac fuggiti poi con due idrovolanti, 43 vittime fra cui 2 italiani, accanto al corpo di un regista un fazzoletto di seta nera con disegnato uno scorpione dorato. Siamo pochi giorni prima di Roma-Juventus, anticipo domenicale delle 13 fra le prime due del campionato, finirà 1 a 1, Dybala e Salah (non nella realtà storica, solo e motivatamente nel romanzo). Tanchi e Ami erano stati insieme, un flirt tardo estivo alla fine del primo anno di università (Economia e Commercio, poi lei aveva virato su Giurisprudenza e sui fotoreportage). Ora Amalia, 61 kg per 1,65, capelli scuri e lisci a caschetto, fossette sulle guance e naso sottile, fa la giornalista (convivendo con la testuggine Rododendra), cronaca nera e giudiziaria per il quotidiano “Vero investigatore”, tutto un programma. Il brusco Capo chiama, c’è un caso urgente, hanno identificato i corpi delle vittime italiane, Ami si fionda in motorino al loro appartamento e Tanchi l’accompagna, si barcamenano con bugie e ritrovata sintonia adottando pure il botolo nero dei padroni morti, un cane simile a un procione, poi si danno appuntamento per cena da lui a Piazza di Spagna. Quando (tardi) arriva, lo trova morto, sembra un suicidio, però c’è qualcosa che non quadra, lei scappa, al funerale conosce amici e la splendida algida moglie di Tanchi; un po’ per lavoro, un po’ per passione, un po’ per curiosità si trova coinvolta in una grande avventura.

L’avvocatessa e nota brava giornalista Federica Fantozzi (Roma, 1968) aveva pubblicato un paio di buoni romanzi oltre 15 anni fa e decide di tornare sull’antica scena del delitto con un giallo immerso nella violenza terroristica contemporanea, in terza quasi fissa al passato sulla collega protagonista. Prende spunto e titolo da un’antica e modernissima professione, ricercata dal mercato e molto ben remunerata, particolarmente utile agli inviati di guerra e ai criminali: logista è chi si prende cura del soggiorno all’estero di un cliente, dal benvenuto all’arrivederci, qualunque sia il motivo della trasferta, si tratta di logistica applicata a servizi anziché prodotti, che diventa vera e propria security, sicurezza dai pericoli presenti in tanti Paesi del mondo, talvolta logistica di guerra. Tancredi era divenuto un imbattibile professionista del settore, Amalia se ne sorprende via via che scopre paure e inganni, ricatti e tradimenti, cos’altro bolle in pentola. La firma dello Scorpione ricorre più volte, pare che ora abbia preso di mira lei, pur aiutata dall’amico agente della Mobile Alfredo Pani, capelli rossi, più giovane e mingherlino, ora collaboratore di Claudio Polimeni, dirigente responsabile della Direzione Centrale Anticrimine e capo della Brigata antiterrorismo. Sarà una lotta all’ultimo sangue fra aquile e falchi. Roma appare nelle sue svariate facce, molto Ponte Milvio e dintorni. Durante la vacanza lussuosa i due bevevano Merlot. La frase iniziale di Bruce Springsteen allude alla solitudine.

 

Alessandro Robecchi

«Torto marcio»

Sellerio

Milano. Marzo 2017. L’alto sottile solitario nervoso 40enne sovrintendente di Polizia Pasquale Carella arriva sul luogo in cui hanno sparato per strada di notte a Fabrizio Gotti, 60enne ricco imprenditore (catena di lussuose macellerie, giro d’affari di 16 milioni di euro), prima allo stomaco e poi in testa, non un professionista, facendo pure trovare una busta di plastica trasparente con dentro un sasso. La sera dopo, mentre stanno ancora cercando di capirci qualcosa, con un solo colpo in testa qualcuno uccide l’urbanista immobiliarista ammanicatissimo 59enne Cesare Crisanti e lascia un altro sasso. Carella coinvolge pienamente il vicesovrintendente Tarcisio Ghezzi, acuto e indisciplinato, più vecchio (ormai a 5 anni dalla pensione). Raccolgono informazioni, cercano connessioni, avanzano ipotesi ma prefetto e vertici del Quirinale li estromettono. Le indagini passano a una squadra mandata da Roma, Digos, esperti di terrorismo, un profiler israeliano come consulente. Il vicequestore Gregori consiglia loro di mettersi in ferie e di lavorare in squadra clandestina, di nascosto, in silenzio, facendo rapporto solo a lui, che a sua volta li informa e aggiorna sulle dinamiche ufficiali. Fanno tana a casa Ghezzi, la 48enne moglie Rosa li accudisce, non hanno figli. Incappano in vecchie storie degli anni di piombo, nel collettivo del diritto alla casa interno ai casermoni popolari di piazza Selinunte (c’è un Quaderno nel prologo novembrino) e, al solito, nel buon bel beffardo Carlo Monterossi che deve ritrovare l’anello rubato alla ricca mamma di Katia Sironi, agente e stratega della sua carriera di autore televisivo. Finché non si aggiungono un altro morto con sasso e la sua bellissima moglie.

L’acuminato giornalista e autore televisivo (anche con Crozza) Alessandro Robecchi (Milano, 1960) entra nell’olimpo noir con notevole merito, satirico romanziere ormai d’alta qualità, in terza varia al presente, ogni romanzo della serie (questo il quarto) migliore del precedente. Davvero ottimo! Meno al centro, il protagonista resta Carlo, benestante portatore sano di autentici guai, a quattro puntate dal liberarsi del programma televisivo Crazy Love che lo ha reso ricco e famoso, in permanente procinto dall’iniziare a scrivere un colto documentato saggio su Bob Dylan (specie dopo il Nobel) del quale ricorda e usa mitici versi in ogni contesto assimilabile (a esempio “il mondo è pazzo di giustizia”). Sarà lui (insieme al suo amico borderline private eye Oscar Falcone) a offrire informazioni rilevanti sul caso dei sassi e a scoprire quella parte decisiva della verità ingestibile dalla giustizia ordinaria. I sassi servono appunto a metterci una pietra sopra, anche su carnefici e vittime. Propriamente un noir dunque, in cui non può darsi insieme giustizia civile e sociale, giustizia personale e collettiva, tanto quanto sono evidenti e crescono disuguaglianze formali e sostanziali, delle quali i poliziotti perbene si rendono almeno conto. Il ruolo del vero cattivo lo svolge così l’informazione, la Grande Fabbrica della Merda che non dorme mai, sia gran parte della programmazione tivù sia il combinato disposto dei vari quotidiani. E nella narrazione si capisce che tutti hanno o commettono un qualche torto marcio, da cui il titolo. Ancora Oban 14 in compagnia e Sauvignon blanc da soli, per liberare la mente. Chissà se è ancora a Roma la vedova Campana, Isabella De Nardi Contini?

 

Maurizio De Giovanni

«Vita quotidiana dei Bastardi di Pizzofalcone»

Einaudi

foto di Anna Camerlingo

146 pagine, 18 euro

Napoli. 2016. I primi sei episodi della serie televisiva italiana tratta dai gialli contemporanei di Maurizio De Giovanni sono stati girati nel 2016 e trasmessi all’inizio del 2017. Il successo di pubblico (sette milioni di spettatori in media su Rai-1) ha già fatto prevedere una seconda stagione in onda nella primavera 2018. L’autore ha ora scritto sei testi (non brevissimi) su alcuni protagonisti (Lojacono-Gassmann, Pisanelli-Imparato, Alex-Tabasco, Ottavia-D’Aquino, Romano-Silvestro, Aragona-Folletto) per illustrare la “Vita quotidiana dei Bastardi di Pizzofalcone”, 134 belle foto del set, interni ed esterni napoletani. Ognuno confessa sentimenti ed emozioni, racconta particolari biografici inediti, spiega il rapporto con la città e i colleghi. Da quando gli intensi personaggi letterari hanno volto e aspetto pubblici, con attori che hanno davvero cercato di immedesimarsi, è in parte un’altra storia, il genere non c’entra. Certo, mancano Piras e Palma, pur presenti in varie immagini: sarà per un’altra occasione!

 

Arosio & Maimone, Massimo Cassani, Elda Lanza, Hans Tuzzi, Marco Vichi

«Ritratto dell’investigatore da piccolo»

Tea

242 pagine, 15 euro

Proprio una bella idea! Prendete una coppia e altri quattro ottimi scrittori italiani di noir con i loro protagonisti seriali che abbiamo imparato a conoscere nell’epoca delle loro investigazioni (perlopiù non contemporanee). Chiedete loro di andare ancora indietro nel tempo, scrivendo un racconto su quando i personaggi erano bambini. Ecco la bella raccolta “Ritratto dell’investigatore da piccolo”, curata da Massimo Cassani (l’autore più giovane, 1966). Il tentativo è riuscito: nessuno perde il proprio stile letterario, la cura nella ricostruzione del contesto storico-geografico, il “senso” del protagonista (ben sapendo come diverrà). Siamo fra il 1919 (Bordelli, Firenze, il più breve) e il 1976 (Micuzzi, Milano), a Napoli (Gilardi), a Nervi (Melis), ancora a Milano (Greta & Marlon, il più lungo), a scuola, in collegio, in vacanza. Il genere si addolcisce in atmosfere infantili per quanto oscure e misteriose (a quell’età), talora proprio “gialle”.

 

Valerio Varesi

«Il commissario Soneri e la legge del Corano»

Frassinelli

328 pagine per 18,50 euri

Parma (e l’Appennino della Val Parma). Inverno. Freddo, buio, umidità, neve, al solito. Il commissario Soneri già lo conoscete, padre partigiano e lui ancora montanaro, dopo l’antica morte di Ada incinta del loro figlio, ama e fa tutto con l’avvocata Angela Cornelio, ma risiedono separati. Vive la città antropologicamente, mantiene ritrosia verso il nitore geometrico dei panorami marini, si sposta per poter tornare, gira con la vecchia Alfa ma rimpiange la tribù della Vespa, ha il colesterolo alto (già 249) e non sa dire no al culatello e alla buona tavola, diventa adorabile quando apre agli altri la valvola dei propri pensieri, preferisce la morte mediatica e indaga troppo bene per essere scavalcato da questore e magistrata. Una domenica ammazzano il giovane tunisino Hamed con una mazza da baseball, a casa del confusionario cieco 76enne Gilberto Forlai che lo ospitava per pochi euro. Poi si susseguono altri tentati omicidi e risse, accoltellamenti (sul didietro) e violenze verso algerini e marocchini. Soneri si addentra nella comunità islamica della città, da turbato uomo di sinistra, senza ipocrisie. Sembra ci sia un movente razziale o etnico ma forse anche altro: una guerra per lo spaccio? le ronde leghiste o fasciste, motorizzate e di quartiere? rappresaglie per la gestione di proventi criminali? qualcosa a che fare col terrorismo? Conversa a lungo con il giovanile puntuale Pellacini, un professore estremista ideologo della destra; a prescindere si trova una scritta sul muro con l’incredibile accusa di essere pure lui un fascista; l’odio cresce ovunque; molto fatica a capirci. Non demorde.

Il giornalista filosofo Valerio Varesi (Torino, 1959) lavora nella redazione bolognese di “Repubblica”, mentre i genitori avevano origine e lui stesso vive nella pingue Parma, dove ambienta la serie Soneri (come pure altre narrazioni) e racconta al passato in terza fissa sul suo riflessivo protagonista. Sono documentate le lunghe conversazioni con la compagna, con colleghi e comprimari di ogni tipo, per far emergere le contraddittorie dinamiche sociali e relazionali del nostro tempo (dal ’68) e della pianura padana (emiliana), senza comode rassicurazioni. La narrazione rallenta e sconfina nel disincantato commento (mai banale) alla realtà quotidiana. Sono quasi vent’anni e diciannove romanzi di ottima qualità letteraria: Varesi aveva iniziato nel 1998 con “Ultime notizie di una fuga” e ormai siamo al quattordicesimo in cui compare la figura del commissario Soneri, al quale fu pure ispirata nel 2005 la serie di sceneggiati televisivi “Nebbie e delitti“, il protagonista interpretato da Luca Barbareschi (e se ne discusse). Segnalo la “filosofia” dell’entropia, a pag. 88. Il Corano (del titolo) ha leggi non univoche, dice pure: “Chi ammazza uomo ammazza umanità. È scritto”. Le illusioni sono un anestetico, dopo il dolore è più forte. Leggera preferenza per i vini rossi: Barbera, Bonarda e il loro combinato versatile composto delle colline piacentine, il Gutturnio. Quando si passa al bianco i colli sono gli stessi con l’Ortrugo, oppure Sauvignon abbinato al pesce. Come al solito si deroga alla dieta al Milord di Alceste (e in altre occasionali trattorie di paese, niente male).

 

Francesco Recami

«Commedia nera n. 1»

Sellerio

214 pagine, 14 euro

Una città del Nord a circa 300 chilometri d’auto da Genova. Quando Antonio Maria Cotroneo telefona al Centro Antiviolenza la donna che risponde non lo prende nemmeno in considerazione, le pare un’autodenuncia quel quadro di maltrattamenti cui lui accenna. Sarebbe il primo caso segnalato di un uomo che subisce violenza fisica, psicologica, sessuale ed economica dalla moglie. Lui non fa in tempo a spiegare, spegne il telefono rubato e cerca di disfarsene. È terrorizzato. La moglie controlla completamente la sua vita, non ha più conoscenti, amici, parenti. Tonino era stato un bravo maestro di taglio e cucito, aveva sospeso gli studi di Giurisprudenza ed ereditato l’ottima sartoria per uomo quando il padre era morto per arresto cardiaco. All’università aveva conosciuto la splendida, avvenente, formosissima e alta (venti centimetri più di lui) Maria Antonietta Salvatores, ne era stato soggiogato. Lei lo chiamava Pupo e rifiutava rapporti sessuali prematrimoniali. Si sposarono, lui gestiva l’atelier, lei divenne commissario di polizia. Emerse presto un problema: la moglie si mostrò sessualmente insaziabile, sempre pronta, più volte al giorno, ad accogliere nel suo seno quel marito di piccole dimensioni generali e a urlare prima degli orgasmi: “vola via tempesta, non turbar molesta, del piccin la nanna…”. Lui non regge i ritmi (né arriva il figlio a salvare la coppia), s’incupisce, soffre sempre più di claustrofobia, ha una scappatella con un’impiegata (solo 19 brevi rapporti sessuali in 6 mesi), lei lo scopre e lo rinchiude in una minuscola cella di rigore con musica a tutto volume. Ne esce davvero malato, diagnosi di patologia fobica grave, deve restare a casa a cucinare, pulire, rammendare; la moglie si porta nel letto agenti che la soddisfino mentre fuori fa carriera. Antonio Maria proverà di tutto e di più per uscirne, un po’ come il coyote che insegue forsennatamente Beep-Beep.

Completata l’opera dei sei romanzi sulla milanese casa di ringhiera (2011-2016) l’ottimo scrittore toscano Francesco Recami (Firenze, 1956) inizia una nuova serie di favole (incubi) noir, all’inizio come a tentoni, via via più sciolto e coerente, in terza fissa sul resistente maschio. La struttura è una parodia umana dei duelli animali a fumetti (citati in più occasioni nei pensieri del protagonista, che si identifica), non solo Wile E. Coyote contro lo struzzo velocissimo, anche l’affamato gatto Silvestro contro il furbo canarino Titi, lo schema consueto del più forte in vario modo beffato nella cattura del più debole, dove però qui il sesso forte è predato, manipolato, torturato. Nonostante tutto, finiamo per stare dalla sua parte, l’insulso Antonio Maria subisce angherie verbali, farmaci annichilenti, punture e tatuaggi di prova, comunque mantiene vertici d’immaginazione e tenta ogni strada per fuggire: ardite evasioni, omicidi perfetti, suicidi spericolati, più volte, in ogni modo possibile viste le condizioni date di prigionia. E, come nei fumetti, basta talvolta un piccolo accidente del caso per fallire, non per farlo demordere. Siamo in piena ironica drammaturgia: pochi personaggi sulla scena (pur se di delitti e criminali son pieni i racconti della moglie a tavola), quasi tutto si svolge nei locali dell’appartamento “di classe” dei due (o sul terrazzino, nell’annessa corte sigillata, sulla terrazza-stenditoio condominiale), con brevi cronache diversive in ambulanza o in clinica. E innumerevoli dialoghi di potere. Moscato d’Asti quando arrivano i parenti della moglie; quel pranzo, dopo aver fatto l’ottimo cuoco (come nessuno sa), lui resta catatonico in poltrona nel solitario studio-camera da letto (a una piazza).

 

Dominique Manotti

«Le mani su Parigi»

Sellerio

244 pagine, 14 euro

prima edizione italiana Tropea 2007; titolo originale «Nos fantastiques anneés fric»,

traduzione di Daniele Barzaghi

Parigi, giugno e autunno 1985. Da due mesi Noria Ghozali fa la recluta precaria nel XIX° arrondissement. Di origine maghrebina, ha compiuto 19 anni, è sola, senza vizi, tutto medio, figura minuta, corpo teso, viso paffuto e lunare, colorito opaco, occhi neri, capelli corvini con la crocchia. Non sa guidare, fotografare, interrogare. Si imbatte in un caso più grande di lei: contrabbando di missili agli iraniani grazie a uomini e servizi della repubblica mitterandiana, con contorno di droga, prostituzione, vita e morte d’alta società. Il principale responsabile è il sessantaquattrenne lionese Francois Bornard, filoatlantico e anticomunista, donnaiolo e drogato, commerciante con paesi emergenti, vecchio amico e consigliere personale del Presidente all’Eliseo. Bellissimo “Le mani su Parigi” di Dominique Manotti, in terza varia al presente, ben documentato, orchestrato, aromatizzato. Daquin appare. Consigliato a parigini di oggi, affinché studino.

 

Luigi Romolo Carrino

«Alcuni avranno il mio perdono»

Edizioni e/o

Napoli. Si apre a ottobre 2015 e si chiude a febbraio 2017. Da otto anni, dopo aver ucciso Aldo, figlio di Angela Rosamaria Lieto e fratello di Maurizio Musso, la bella colta laureata ex commerciante Mariasole Vient’ ’E Terra Simonetti comanda Acqua Storta, la federazione di famiglie che controlla il business di gran parte del territorio partenopeo. Lei è ‘a vedova ‘e ‘nu ricchione, il pur amato marito Giovanni Farnesini, a sua volta figlio dell’ex spietato boss Don Antonio (e nipote di Angela). A Mariasole, il vento di terra che spazza via ogni cosa sul suo cammino, la donna più letale della Campania, alta e autorevole, segnata ma fiera, capelli neri e bocca carnosa, danno tutti del Voi eccetto l’amatissimo sbalestrato figlio 16enne Antonio, capelli biondi e occhi grigi, rozzo e muscoloso, appena fermato ubriaco alla guida della fiammante Ligier nera, con accanto una Ruger LC9 e due bustine proibite. Nei mesi successivi, all’interno del parlatorio del carcere minorile, Antonio incontra spesso la madre e s’innamora di Rosa, una bella ragazza 15enne bruna e riccia che capita lì a trovare il fratello quasi 16enne Nicola, figli proprio di Musso, l’attuale capo della fazione avversa. Basta uno sguardo, Romeo e Giulietta capiscono di amarsi, quando lui esce iniziano a frequentarsi con mille sotterfugi, si tatuano in parallelo, sanno che rischiano a farsi scoprire. Tanto più che, quando il rivale torna libero, riparte una guerra sanguinaria, Antonio e Nicola, come futuri capi vogliono bruciare i tempi, sia nella conquista della propria fazione sia nella lotta agli altri. E l’anziana lucida 76enne Angela, sola ma finora protetta dai Musso, vuole cogliere l’occasione per vendicarsi di Mariasole e tornarsene a Procida.

Luigi Romolo Carrino (Napoli, 1968) scrive un altro notevole romanzo, scongiurando i limiti della serialità, proprio bravo. Tornano immediatamente i protagonisti di due precedenti belle storie (2008, 2015) senza tuttavia venire a mancare struttura originale e stile apposito. Qui c’è Shakespeare, l’eterna narrazione di un amore intenso e tragico, esordiente e irripetibile, perfetto e impossibile; ognuna delle cinque parti (il titolo nell’ultima, quella in cui altri avranno la loro giusta punizione) rielabora scene degli atti dell’archetipo di fine Cinquecento. Qui c’è una diversa prima persona a narrare su una panchina davanti al mare, il fratello più grande di Antonio, il silenzioso Arturo Pappacena (stesso padre, madre morta da un anno), studi classici e voglia sulla scapola destra, un bravo ragazzo che lavorava in un centro scommesse, nessuno già conosceva e non c’entrava con la camorra. Segnalo il chip dumping nel poker online, ora in declino per via degli insistenti controlli dell’antiriciclaggio, anche se sono sempre stati inventati nuovi modi per sciacquare i soldi neri, a cominciare dalla finanza internazionale e dalla telefonia. Anna (appassionata di Premier) e Imma (Liga e Bundes), le due rigorose efficienti guardie lesbiche che proteggono Mariasole, quando scommettono in genere fanno cinque bollette da due euro, tutte over e under (almeno o meno di tre gol in una partita). Il mojito è aspro e il ragù non deve bollire bensì peppiare. I ragazzi vanno pazzi per Franco Ricciardi e i neomelodici, la malavita non conta. E poi Antonio ascolta Calvin Harris e Rosa Justin Bieber.

Redazione
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