Cartoline dalla Siria
ISRAELE APPROVA IL PIANO PER COLONIZZARE IL GOLAN MENTRE BOMBARDA LA SIRIA
di Eliana Riva (*)
“Rafforzare il Golan sta rafforzando lo Stato di Israele, cosa che è particolarmente importante in questo momento”, ha dichiarato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, annunciando l’approvazione del piano governativo per il trasferimento della popolazione nelle Alture siriane del Golan.
Subito dopo la caduta fulminea di Bashar al Assad, Netanyahu era apparso sorridente accanto alle sue truppe nel Golan, un territorio di 1200 kmq che Tel Aviv ha occupato nel 1967 durante la Guerra dei Sei Giorni e che ha poi annesso unilateralmente.
In quella occasione, facendo eco al ministro della difesa Israel Katz, ha comandato e incoraggiato i militari ad avanzare fino ad ottenere il controllo completo della “buffer zone”, che secondo i trattati separa il territorio israeliano da quello siriano. Doveva essere solo un’occupazione “temporanea”, come annunciata nel solito stile israeliano.
In una settimana, da domenica 8 dicembre, l’esercito dello Stato ebraico ha fatto invece molta strada, entrando in profondità fino ad arrivare, secondo fonti siriane, a circa 20 chilometri dalle campagne intorno alla capitale Damasco. I militari sarebbero arrivati nel bacino del fiume Yarmuk, prendendo il controllo di diversi villaggi e assicurandosi l’accesso alla diga di Al-Wehda, sul confine tra Siria e Giordania.Non solo avanzata di terra ma anche bombardamenti incessanti, centinaia negli ultimi giorni, almeno 61 solo nella giornata di domenica 15 dicembre.
Nella notte un raid violentissimo ha colpito la città di Tartus, sulla costa, dove migliaia di persone, soprattutto minoranze religiose, si sono rifugiate spaventate dall’avanzata dei militanti sunniti di Hay’at Tahrir al-Sham (Hts).
L’enorme esplosione ha fatto registrare un terremoto di magnitudo 3 della scala Richter.
Diverse abitazioni civili sono state danneggiate e il panico si è diffuso tra le famiglie alawite. Secondo l’esercito, l’attacco avrebbe colpito un deposito d’armi.
Le flebili denunce di Al-Julani non sembrano aver avuto alcun effetto sulle azioni di Tel Aviv. Appena un giorno prima dei 61 raid aerei di domenica, il leader del gruppo jihadista che ha preso il potere in Siria ha dichiarato che i militari israeliani “hanno oltrepassato la linea rossa e rischiano di provocare un’escalation ingiustificata di tensioni nella regione”.
Nonostante ciò, insieme ai bombardamenti per quella che Tel Aviv definisce una “messa in sicurezza” della Siria, il governo ha approvato e stanziato ieri, con al piano di reinsediamento, 40 milioni di NIS (circa 10milioni e 500mila euro) per raddoppiare la popolazione del Golan e costruire infrastrutture adatte alla colonizzazione del territorio. In realtà, un piano del genere era già stato approvato nel dicembre del 2021 dall’ex primo ministro Naftali Bennet, che dichiarò di cogliere l’occasione del riconoscimento dell’annessione del Golan, nel 2019, da parte del presidente USA Donald Trump per raddoppiarne la popolazione israeliana.
In quell’occasione il segretario di stato USA Blinken, per giustificare l’approvazione da parte della Casa Bianca di quella che era una palese violazione del diritto internazionale, parlò della necessità di agire a causa della presenza, in Siria, di milizie sciite controllate dall’Iran e sostenute dall’ex presidente Bashar Al Assad. Quelle milizie oggi non ci sono più, fuggite o scacciate dall’HTS e non c’è più neanche Assad. Ma c’è ancora e sempre di più Israele, che festeggia l’occupazione come “un momento storico” e già progetta di costruire colonie con infrastrutture, scuole e sistemi a energia solare per “mantenere il Golan”, come dichiarato da Netanyahu, “e farlo rifiorire”.
(*) Tratto da Pagine Esteri.
IL POTERE È UNA SCATOLA VUOTA PER AL JULANI
di Alberto Negri (*)
Le riserve della banca centrale, due tonnellate di banconote e 250 milioni di dollari erano già stati trasferiti in passato in Russia, la sua cerchia di potere aveva acquistato un quartiere della capitale russa dove trasferirsi con i proventi delle rapine a danno del popolo siriano, del contrabbando e del traffico di droga.
L’apparato bellico delle forze armate siriane non esiste più.
In questi giorni con centinaia di bombardamenti israeliani è stato disintegrato all’80 per cento, dalla marina all’aviazione, alle fabbriche belliche.
Non gli conviene neppure nascondersi, è quasi un ostaggio.
Pedersen ha ribadito l’importanza di una transizione politica credibile e inclusiva, dichiarando: «La transizione deve essere guidata dai siriani e rispettare la sovranità e l’integrità del Paese».
Ma certo, come no. Se Israele si è impadronita del Sud nel Golan e dei collegamenti con il Libano, a Nord Ankara, che occupa direttamente due cantoni siriani, ha scatenato le milizie filo-turche contro i curdi e il Pkk, che ora chiedono di trattare con Damasco.DI QUALE «integrità» della Siria parla Pedersen?
Il governo israeliano ha approvato un piano per raddoppiare la popolazione nella parte del Golan siriano occupata da Israele, ma afferma di non essere interessato a entrare in conflitto con la Siria, avendo preso ormai il controllo della zona cuscinetto monitorata dell’Onu.
Israele ha conquistato parte delle alture del Golan durante la guerra arabo-israeliana del 1967, prima di annettere il territorio nel 1981. E gli Stati uniti, sotto l’amministrazione di Donald Trump, hanno riconosciuto questa annessione nel 2019, in violazione delle risoluzioni Onu. Tra un po’, con Trump alla Casa Bianca, Netanyahu e il suo governo di estremisti di destra sperano che gli Usa riconoscano l’annessione di tutto il Golan e delle colonie in Cisgiordania.
Nelle 34 località delle alture del Golan annesse da Israele vivono circa 30mila cittadini israeliani, oltre a 23mila drusi, una comunità che per la maggior parte si dichiara siriana ma ha lo status di residente in Israele.
Ora qualche comunità drusa nella parte del Golan siriano appena occupato ha già chiesto di essere annessa a Israele. Tra pressioni esterne e forze centrifughe interne l’integrità territoriale della Siria appare grandemente sotto pressione.Il terreno è già pronto. L’amministrazione Biden ha subito avallato la narrativa secondo la quale l’occupazione del Golan e i raid israeliani sono «misure preventive di legittima difesa» contro potenziali minacce provenienti dalla Siria.
Insomma Israele può invadere tutti i territori che gli pare dei Paesi confinanti: la questione del doppio standard attuato sistematicamente dagli americani è diventata imbarazzante.
E anche questa volta la Russia, come spesso accade, non ha niente da dire. sull’occupazione israeliana del Golan. Forse non è un caso.
Al Julani ha un bilancio statale stimato dal Financial Times in meno di 100 milioni di dollari: per fare un confronto Israele ha annunciato che nel raddoppio dei residenti nel Golan investirà circa 10 milioni di dollari, un decimo di quanto ha in mano il capo jihadista per gestire tutto il Paese.
È evidente che i soldi della Turchia non basteranno e quindi si aprirà la corsa ai fondi delle monarchie del Golfo, in gran parte già aderenti al Patto di Abramo.
Ma è già chiaro che indebolita e stremata la Siria oggi lotta ancora per la sopravvivenza.(*) Tratto da Il Manifesto (*)
***