C’è più di una strada

«Trovava l’ordinarietà sufficientemente strana…»: recensione a «La soglia» di Ursula Le Guin (*)  

Hugh si muove fra le casse e i carrelli da vuotare: 8 ore al giorno, sabato compreso. Il direttore è «un uomo di limatura di ferro e bile». Ma a casa è peggio. Non vi dirò perché ma lo scoprirete fin dal primo capitolo.

I guai di Irene invece li sapremo quasi alla fine anche se incontriamo lei nel secondo capitolo e da subito sappiamo che, poco tempo prima, era una quattordicenne «affamata, sporca, stanca, impaurita». Se i genitori mettono al mondo figli «senza una ragione precisa, senza desiderio» allora è naturale per Irene pensare: «sono figlia di un fantasma».

Quanti Hugh e Irene ci sono intorno a noi o dentro di noi?

Abbiamo appena il tempo di capire qualcosa di Hugh e del suo mondo che lui passa “la soglia”: senza accorgersene. Niente enfasi o colpi di scena. «E’ un bel posto – pensò – e ci sono arrivato. Sono arrivato da qualche parte. Ce l’ho fatta». E’ solo un ventenne Hugh eppure è una vita che scappa: «Perché era fuggito? Beh, non c’era bisogno di pensarci. Non aveva mai fatto altro in vita sua. Fuggire e nascondersi. Ma correre e arrivare da qualche parte… quella sì che era una cosa nuova».

Forse c’è «qualche parte» dove andare, anche per noi; se c’è qualche Hugh o Irene dentro di noi.

Oltre “la soglia” Hugh si accorge che il tempo non funziona come nell’altro mondo ma questo non lo turba. Lui «trovava l’ordinarietà sufficientemente strana senza bisogno che venisse scompigliata ancora di più» eppure in “quell’altra parte” sta tranquillo. Così può cominciare a pensare che «quello era il suo Paese», che saltando la soglia nelle due direzioni «avrebbe vissuto due vite» e almeno una sarebbe stata piacevole. Più avanti dirà: «Non sono venuto, sono arrivato».

Irene invece è da molto tempo oltre “la soglia”, anche lei in fuga. Ha incontrato i suoi abitanti, si è forse innamorata, ha scoperto che ci sono minacce oscure, che ogni tanto “la porta” si chiude senza un motivo apparente. Fa – e si fa – domande ma c’è chi replica così: «Perché? Quando conosci la risposta, non serve chiedere: quando non c’è la risposta, non c’è mai stata domanda». All’improvviso Irene scopre che qualcun altro ha passato “la soglia” e come lei viene da fuori: rabbia e paura la invadono, prepara un simbolico cartello di «Vietato l’accesso».

Vi ho riassunto (con qualche omissione) i primi due splendidi capitoli di «La soglia» e sulla trama altro non vi dirò. Spero che leggerete questo romanzo di Ursula Le Guin (del 1980, titolo originale «Beginning Place») che finalmente torna disponibile – nella traduzione di Claudio Costanzo, Gargoyle editore (236 pagine, 16 euri) – per il piacere di scoprire come ci si può calare in una storia sconvolgente rinunciando a tutti gli “effetti speciali” dello scrivere. Sino a chiedersi se davvero ci sia un drago e uno scontro… La gloria? Una spada? Il sangue? Cose che succedono. Non è questo ciò che importa ma come stanno ora Hugh e Irene.

Come sta l’Hugh (o l’Irene) dentro di noi dopo aver (forse) affrontato il drago? Ci è accaduto o accade di aver «timore di guardare la bellezza del mondo»? Anche qualcuna/o di noi – come Hugh – forse può pensare che «non veniva a lei con un’idea, o un ruolo, o un nome. O un uso per lei. Veniva da lei senza altro che la forza e il bisogno»

Presentarsi a mani vuote, come sempre, per rubare la frase-chiave a «I reietti dell’altro pianeta»; ma le ultime parole di «La soglia» sono altrettanto belle, importanti: «c’è più di una strada per la città». Allora incamminiamoci con Hugh e Irene.

 

(*) Pochi giorni fa in blog Mau – Mauro Antonio Miglieruolo – ha
 già presentato «La soglia» ma io nel frattempo lo stavo rileggendo
 e ho voluto dire la mia; non escludo però che un qualche Hugh o Irene
mi abbia preso la mano. (db)
Redazione
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