«C’è qualcosa di difficile da immaginare?»

Recensione al numero 12 di «Fantasy & Science Fiction» e qualche consiglio al volo


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Nel maggio 1955 la rivista «Fantasy & Science Fiction» (d’ora in poi sempre «F&SF») pubblicò un breve testo di Fredric Brown, una paginetta scarsa. Non è un racconto ma diverrà famoso quasi come «Sentinella» (del 1954). In un certo senso offre una definizione della fantascienza ma lancia anche una sfida («C’è qualcosa di difficile da immaginare?»). Una poesia anche. Un canto alla libertà – e difficoltà – di immaginare. Già la riproposizione di questa paginetta basterebbe per acquistare il numero 12 (in teoria mensile ma questo numero copre gennaio-giugno) dell’edizione italiana di «F&SF» che torna in edicola, dopo una lunga assenza: al solito 160 pagine per 5.90 euri.

Ma oltre alla “summa” di Brown c’è molto altro. Il classico «La valle degli esseri perduti» di Robert Howard; i genitori di carne ma nei fatti virtuali e il difficile ripescaggio di una tecnoragazzina in «Sperduta nel centro commerciale» di Allen Steele; quasi necrofilo risulta «Il capolavoro del truccatore di cadaveri» (del 2011) di M. Rickert e se volete sapere per cosa sta quella M non vi resta che indagare; non fantascientifici ma “piacevolmente” angosciosi «Oh, uccellaccio» (del 1951) di Manly Wade Wellman e «Ponti» (del 1992) di Charles De Lint. Ci sono poi due maestri della fantascienza ovvero James Blish (con «Le maschere» del 1959) e Raphael Aloysius Lafferty con «Ben quadrato e senza scacco» del 1982): sempre bravi però qui non al loro meglio.

Quanto a «Volti» di Ken Liu, un riuscito racconto del 2012, mi sento di consigliarlo a chi organizza corsi di formazione all’intercultura: in forma “futuribile” pone tutte le questioni centrali del razzismo profondo e dei guai del politically correct (e/o del

«buonismo») ma essendo fiction – e riservando un paio di notevoli colpi di scena – può spiazzare chiunque lo leggerà costringerlo a fare i conti con qualche frammento dell’inconscio.

A chiudere il numero ecco il perfido «Fate l’amore, non la ciccia» (del 2003) ovvero l’abituale rubrica «Plumage from Pegasus» dove Paul Di Filippo in 5 paginette spiega come salvare la fantascienza (dal punto di vista delle vendite). Dopo averlo letto sono andato a controllare se Di Filippo è «sovrappeso, dal colorito cereo, con faccia pendula» e… mi è parso un simpatico cicciotello.

C’è altro in edicola?

Qualcosa sì: intanto Urania riparte da uno (intendo dal numero 1) riproponendo «Le sabbie di Marte» di Arthur C. Clarke (ve ne dirò fra 7 giorni) e da 700 (inteso come pagine) con la tripla i – inedito, integrale, interessante – di «Absolution Gap» di un altro inglese (anzi gallese) ossia il cinquantenne Alistair Reynolds mentre annuncia su agosto «Le cronache di Mondo9» di Dario Tonani e due doverose riedizioni cioè «Gli occhi di Heisenberg» di Frank Herbert e «Millennium» di John Varley.

E in libreria? Devo dare un’occhiata con calma ma intanto annuncio “vobiscum cum magno gaudio” che la casa editrice Beat ripropone il romanzo «I trasfigurati» (del 1955: in originale con un titolo migliore, «The Chrysalids»; ma è anche conosciuto come «Re-Birth») del prolifico inglese John Wyndham.

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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