Censimenti di classe: il caso dell’Uruguay

Nelle periferie urbane di Montevideo lo Stato impone questionari che rafforzano la criminalizzazione delle fasce sociali più povere e marginali

di David Lifodi

Il controllo sociale tramite un censimento di carattere selettivo nelle zone più povere di Montevideo, decretato in collaborazione tra la polizia e il governo del presidente Tabaré Vázquez, condotto a termine il 23 giugno scorso e passato sotto silenzio, anche su gran parte dei media alternativi e di controinformazione europei e latinoamericani (ad eccezione di Rebelión), oltre ad essere quantomeno discutibile, merita alcune riflessioni, a partire dal fatto che questa  misura è stata apertamente avallata dal Frente Amplio.

A fare scalpore è stata un’intervista rilasciata al quotidiano El Observador dal capo della polizia uruguayana Mario Layera, in cui afferma: “Un día los marginados van a ser mayoría. Cómo los vamos a contener?” I marginados a cui si riferisce Layera vivono in zone ai margini, ma nemmeno troppo, della capitale Montevideo, da Cuenca del Casavalle a Los Palomares e ad altri barrios de mala fama dove, di recente, alcuni giovani sono stati uccisi dalla polizia. Lo scenario prospettato da Layera è apocalittico: teme che nel giro di pochi anni l’Uruguay si trovi nella situazione ingestibile di paesi quali El Salvador o il Guatemala, dove il narcotraffico spadroneggia, e porta l’esempio di famiglie costrette ad abbandonare la proprie abitazioni o cacciate direttamente dai narcos.

Effettivamente i principali gruppi criminali del paese, Chingas e Camala, si sono resi protagonisti di azioni del genere e in un’operazione poliziesca condotta a fine 2017 gran parte di almeno una delle due bande dovrebbe esser stata sgominata, ma utilizzare la crescente nascita delle pandillas di ispirazione centroamericana non rappresenta comunque un buon motivo per effettuare un censimento molto simile ad una vera e propria discriminazione di classe, poiché ad essere destinatari della tolleranza zero sono in gran parte le fasce sociali più povere delle periferie della capitale.

Realizzati nell’ambito del Programa de Convivencia y Seguridad Ciudadana, i questionari tuttavia non hanno dato l’idea di andare verso la direzione dell’inclusione sociale propugnata da un governo che pure si dice progressista, poiché incentrati sul pericolo dell’insicurezza sociale causata dagli abitanti delle periferie urbane che turberebbero i sonni tranquilli della classe media, non a caso la somministrazione delle domande del censimento è stata posta in essere più con tecniche militari che secondo l’idea di un pacifico colloquio tra amministratori delle istituzioni. Ad esempio, a Los Palomares si è presentato un battaglione di 440 persone, tra militari, pompieri, operatori sociali e funzionari di vari ministeri. Su questa vera e propria invasione del 23 giugno i pareri sono discordanti. Fonti governative, ad esempio il sociologo Gustavo Leal, coordinatore del Ministero degli interni e appartenente al Movimiento de Partecipación Popular, ha affermato che ciascun colloquio ha avuto una durata di circa 15 minuti, nessuno ha espresso il proprio rifiuto a farsi intervistare e tutto si è svolto senza alcun incidente. Altri sottolineano invece la presenza di decine di militari della Guardia Republicana, la polizia militare che si è presentata armata e con veicoli blindati.

Il governo ha ribadito più volte che la somministrazione dei questionari era mirata soltanto a capire quante sono le persone che vivono a Marconi, Peñarol, Casavalle, Los Palomares Lavalleja e molti altri ghetti urbani che studiano, lavorano, sono proprietari o meno della propria abitazione e se hanno accesso ai servizi sanitari, ma intanto sposa la linea di Mario Layera, il quale ha criticato il nuovo Codice del processo penale, ritenuto troppo blando per arginare i malfattori. L’irruzione dello Stato nelle periferie di Montevideo, dove si è materializzato nella maniera peggiore, quella di un’invasione armata, non è stata percepita bene in un contesto caratterizzato da povertà infantile, disoccupazione giovanile, alto tasso di omicidi e lavoro nero, tutti aspetti di cui le istituzioni già erano a conoscenza.

Peraltro, pare che le politiche securitarie siano condivise e quasi auspicate da buona parte della popolazione. Sebbene l’Uruguay figuri tra i trenta paesi dove maggiore è il numero dei detenuti rispetto al totale degli abitanti, sono in molti a chiedere che siano i militari a coadiuvare la polizia per sgominare la delinquenza organizzata ed una buona percentuale di loro si definisce di “sinistra”, forse colpita anche dagli allarmi sempre più frequenti che prevedono lo sbarco del crimine organizzato nel paese e da sempre più numerosi episodi di cronaca nera in cui è coinvolta la malavita organizzata nel tentativo di prendere il controllo dei quartieri a ridosso della capitale.

La percezione delle periferie come territori nemici e ostili non farà altro che ghettizzare ancora di più le fasce sociali più povere del paese, mentre l’assenza dello Stato in queste zone di frontiera, ad eccezione delle operazioni militari esclusivamente repressive, accrescerà lo scollamento tra i cosiddetti “integrati” e i “marginali”.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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