C’eravamo tanto armati. E ora di più

L’analisi di Gregorio Piccin, Un appello di Greenpeace

Più medicina di territorio? Più insegnanti nelle scuole? Più corse nei trasporti pubblici?
No! metteremo i missili ai droni
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L’Italia non impara la lezione afghana

di Gregorio Piccin (*)

Ci mancavano i droni armati per completare l’armamentario del neocolonialismo tricolore. Dopo portaerei con sopra F35B a decollo verticale, navi per lo sbarco anfibio, progetti di caccia di sesta generazione Tempest, F35 per migliorare le capacità di bombardamento nucleare anche il nostro Paese avrà i suoi aeromobili combattenti senza pilota.

La conferma è arrivata dal Documento Programmatico Pluriennale 2021 del ministero della Difesa. Altri 168 milioni di euro voleranno insieme ai Reaper italiani che, grazie ai nuovi missili di cui verranno dotati, passeranno di «grado»: da semplici vedette volanti a killer «di precisione». La stessa precisione criminale dimostrata (e ampiamente denunciata) proprio in Afghanistan dove Obama (già premio nobel per la Pace) si conquistò il titolo di «presidente dei droni» per la massiccia quantità di denaro che volle investire nel programma di assassinio mirato a distanza. Un programma che ha provocato una strage di «vittime collaterali», i civili, nel grande massacro di una guerra per rappresaglia durata vent’anni – questo ha denunciato Daniel Hale, giovane militare dell’intelligence dell’aviazione Usa condannato, poche settimane prima del ritiro da Kabul per «tradimento» – come ha scritto Tommaso Di Francesco sul manifesto. Un joystick, uno schermo, una bibita fresca sulla scrivania e persone fatte a pezzi a migliaia di chilometri di distanza forse colpevoli di qualcosa, forse no. Nessun processo, nessuna verifica ma una sentenza capitale garantita dalla bontà intrinseca dell’esportazione democratica ed umanitaria.

Cosa abbiamo imparato noi, come Paese, da quella guerra? Niente dal punto di vista etico ed umanitario. Al contrario abbiamo imparato molto dal punto di vista della spregiudicatezza bellica. Due piloti su un elicottero da guerra Mangusta possono anche dimostrarsi reticenti nell’esecuzione di un ordine di fare fuoco di fronte ad uno scenario che non corrisponde alle informazioni ricevute mentre a distanza di migliaia di chilometri lo stesso ordine risulta di più facile esecuzione. Inoltre un drone abbattuto risulta molto meno «pagante» per il nemico immaginario di turno rispetto ad un elicottero con due piloti. Si dirà pure che il programma dei Reaper armati testimonia la grande considerazione che il nostro Ministero della Difesa dimostra (almeno) verso il proprio personale…

Glielo andassero a dire ai 7500 ex soldati ammalati e agli oltre 300 morti per l’esposizione all’uranio impoverito nelle missioni di “pace” o presso i poligoni nostrani. In tutti questi casi il ministero della Difesa si è girato dall’altra parte e quando ha risarcito lo fatto soltanto dopo essere stato preso a schiaffi nei tribunali italiani. Retorica ministeriale e paternalista a parte, quello dei droni armati è uno dei tanti standard tecnologici della Nato a cui il nostro Paese doveva conformarsi. Un moderno corpo di spedizione, volontario e di mestiere, non può prescindere da questa tecnologia come da qualsiasi altro sistema d’arma concepito per portare la guerre oltre confine. E ne abbiamo parecchie da fare: in Iraq l’Italia assumerà il comando della missione Nato, poi il Sahel in coppia con la Francia, poi la Libia…

Non c’è più bisogno di raccontare la balla dell’esportazione democratica e umanitaria: ministri, amministratori delegati, think tank hanno cambiato registro e oramai parlano senza alcun pudore di difesa in armi degli interessi nazionali trasformando definitivamente l’articolo 11 della Costituzione in carta igienica. E il Parlamento tace. Il ministro della Difesa-Offesa Guerini, tra i «migliori» di questo governo, mette a segno un altro dei suoi assist all’industria bellica nazionale assurta a pilastro della politica estera del Paese. Dopo due anni di pandemia, vale la pena ricordarlo, sanità, trasporti e scuola, i pilastri della sicurezza con la «S» maiuscola ossia quella sociale, stanno ancora al «ground zero» perseguito trasversalmente da tutti i governi (del Pil e dei bombardieri) degli ultimi vent’anni.

(*) ripreso anche sul quotidiano “il manifesto”

UN APPELLO DI GREENPEACE

Mentre tutto il mondo affronta la crisi sanitaria, sociale e ambientale più grande di tutti i tempi, mentre i nostri giornali si riempiono di notizie sulla guerra straziante e “inutile” (come se ci fossero guerre utili) in Afghanistan…un’industria ha continuato a proliferare e arricchirsi: è l’industria bellica. 

Proprio il 2020 è stato l’anno “migliore” per i venditori di armi, grazie ad un record di investimenti pluriennale da parte dell’Unione Europea.

E la pace? Solo una bella parola. La guerra invece conviene, forse è per questo che -come rivela il Global Peace Index- i livelli di pace nel mondo sono in costante calo dal 2008. 

Mentre l’industria bellica guadagna, noi cittadini perdiamo tutti: perdiamo umanità, perdiamo sicurezza, perdiamo tempo prezioso per combattere la crisi climatica.

Abbiamo lanciato una petizione per chiedere all’Unione Europea di fermare i finanziamenti per il settore militare e utilizzare questi fondi per far fronte all’emergenza climatica. FIRMA LA PETIZIONE

L’Europa spende, l’industria bellica cresce e il Pianeta diventa sempre più insicuro.

BASTA FONDI EUROPEI PER ARMI E GUERRE

FIRMA LA PETIZIONE 

Nei prossimi 7 anni l’Unione Europea stima di spendere per la difesa, incluso lo sviluppo di nuovo armamenti, circa 20 miliardi di euro. Fondi che potrebbero essere impiegati per prevenire incendi, mettere in sicurezza le abitazioni e i comuni a rischio idrogeologico, investire in agricoltura ecologica e energie rinnovabili per diminuire le emissioni di gas serra. Investimenti per la sicurezza delle persone, dal piccolo comune Italiano al grande Stato europeo.

In una parola sola: per costruire davvero un futuro di pace. I cambiamenti climatici e la scarsità di risorse – di acqua, terreni coltivabili, energia – porteranno a nuovi conflitti che le armi e la violenza non riusciranno mai risolvere, ma solo ad aggravare. 

Greenpeace è nata 50 anni fa per costruire un mondo in cui le persone convivono pacificamente, in armonia con la natura. Oggi come allora ci impegniamo per costruire quella che i nostri fondatori hanno chiamato una “Pace Verde”: l’unica pace possibile infatti è in un mondo in cui le limitate risorse naturali siano rispettate, celebrate e condivise e in cui ci sia cooperazione tra esseri umani e sia rispettata la dignità di ciascuno. 

Firma la petizione per chiedere all’Unione Europea di tagliare i fondi per l’industria bellica.

Grazie per il tuo sostegno,

Greenpeace Italia  

P.S In 50 anni abbiamo vinto molte battaglie, sempre e solo grazie al potere delle persone che si sono unite a noi. Guarda le foto delle Azioni storiche contro le armi, e unisciti a questa campagna.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Il cammino è ancora lungo per uscire dalla BARBARIE, soprattutto da quella di certi “colletti bianchi” , ma non bisogna disperare : cio’ dipende anche da ciascuno di noi …

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