Cercando la migliore acustica dell’universo

Un percorso tra musica e fantascienza di Erremme Dibbì (*) e una nuova, serissima proposta per farne serate con musicisti non troppo terricoli (**)   

Ne ha fatta di strada la musica da quell’«Om» (oooooooooom) che fu il primo rumore del mondo o forse il suono di nascita dell’universo. Ma altri viottoli sonori (o forse autostrade, sentieri di montagna, gallerie subacquee) ci attendono.

Se non avete la pazienza di aspettare il 3015 E.C. (dell’Era Comune o, come altri dicono, dC cioè dopo Cristo) che quello sarà l’anno-chiave beh la science fiction sarà così gentile da anticiparvi qualcosa.

Infinite possibilità.

Un racconto di James Blish (è nell’antologia «Prigione senza sbarre») torna indietro a resuscitare – indovinate chi? – solo per vedere cosa farebbe al ritmo dei nostri tempi. Il sempre lodato Philip Dick si dice certo (in «I simulacri») che un pianista davvero bravo, purché dotato di facoltà “esp” cioè extrasensoriali, esegue incantevoli concerti pubblici pur stando altrove. Ancora il nostro amato Philip mette in scena in un racconto il cantautore Regland Park, altro artista “esp” che forse ha la s/fortuna di comporre ballate su persone che esistono davvero o forse quel che lui canta-crea finisce inevitabilmente per accadere.

Altri autori e autrici di fantascienza promettono a esempio di guidarci su Spica, «il pianeta con la migliore acustica dell’universo» per un super-festival con 100mila musicisti in rappresentanza di 611mila mondi, ognuno con il suo (diciamo così) ritm-and-roll-uau.

Si potrebbe continuare mooooooolto a lungo. Essendo la science fiction spina dorsale e letteratura della nostra epoca e di quelle successive o parallele, le sue “armonie” ci porterebbero quasi ovunque, nello spazio e nel tempo.

[omissis]

Quante voci rock (da Frank Zappa ai Pink Floyd, da «Blow Against the Empire» dei Jefferson Airplane ai primi Rolling Stones) hanno suonato-cantato dopobomba, mutanti, alieni, conquiste e insidie degli spazi sia esterni che interni? E quel «Talking World War III Blues» del 1962 è solo un sogno da raccontare con cautela allo psichiatra oppure quel tal Bob Zimmerman (più noto come Dylan) vedeva lontano nel nostro futuro? Sempre lui – prima di diventare una odiosa Spa – ci parlò ancora del fallout atomico (in «A Hard Rain’s Gonna Fall») e deve essere questo ad avere convinto i Jefferson Airplane a emigrare altrove nell’universo «in cerca di amore e fratellanza» scegliendo le migliori 7mila menti libere. Idea non nuova: era già venuta al cant-scrittore francese Boris Vian. Ma la si può rovesciare così: ci salveremo se qualche messia rock giungerà dagli spazi. Su questo versante (magari con venature jazz) negli anni ’60 arrivarono ancora prima i francesi: David Bowie – si sa – non ha inventato nulla.

Rock come futuro realizzato o come «universo parallelo»: lo troviamo in un’antologia italiana passata abbastanza inosservata: in «L’hotel dei cuori spezzati» un drappello di autori nostrani – quasi tutti maschi, ahiloro – si cimentava con la «rock fiction»… e forse meritavano miglior fortuna.

Si era parlato (nel 1989) dopo l’ennesima strage calcistica di mettere su un concertone di beneficenza dei tre Beatles superstiti. La notizia è stata smentita, riproposta e ri-smentita ma se qualcuna/o rimane attaccato a questo bel sogno (sponsor un produttore di pannoloni per anziani musicisti?) potrebbe leggere uno splendido, intenso e doloroso racconto di Michael Bishop.

Lo riassumo. La protagonista è Eleanor Riggin-Galvez che sogna (e realizza)la riunificazione dei Beatles per finanziare il centro di riabilitazione di Amnesty International per le vittime della tortura in cui anche lei ora si trova. Ed era questa speranza – «il più grande concerto del mondo per dire no alla tortura» – che aveva permesso ad Eleanor di resistere quando era nelle mani dei suoi aguzzini. Eleanor Riggins: un nome quasi identico a uno dei più celebri pezzi beatlesiani.

Un rock che sconfigge l’autismo l’avevamo già ascoltato (e visto) nell’opera disco-film «Tommy» dei Who & Ken Russell. Ma anche Asimov ci aveva pensato e il suo racconto non poteva che intitolarsi «Quando i santi marceranno».

L’udito coinvolge equilibrio, spazio, senso del tempo. Perché la musica non potrebbe guarire oltre che far impazzire? Esperimenti in questo senso – considerati dalla scienza ufficiale “poco seri” sino a qualche tempo fa – sono oggi accettati; ma in molte culture popolari lo erano da sempre.

Persino i sordi possono essere curati con la musica. Nel luglio 1988, su iniziativa del francese Alain Currè (fondatore del «Centre d’èveil musical» di Rennes) ha suonato a Torino un’orchestra composta da audiolesi.

Gli scienziati, i musicoterapeuti, gli etnomusicologi hanno le loro (convincenti) spiegazioni per coloro che suonano – o ballano – allo stesso ritmo degli udenti pur senza possedere l’udito. Per noi, appassionati di fantascienza, la risposta è nel romanzo «I giorni delle chimere» di Jack C. Haldeman, non udente dalla nascita: «c’è una musica diversa, scritta nell’aria; è quella della comunità dei sordi». Haldeman immagina che «i piloti spaziali siano completamente sordi per necessità. Una persona dotata di udito normale non poteva pilotare un’astronave in mezzo ai punti di sfasamento e uscirne con la mente intatta». Il protagonista deve dunque scegliere: se vuole viaggiare nello spazio deve rinunciare alla musica. Non riveleremo come finirà ma… c’è appunto «una musica diversa, scritta nell’aria» e Haldeman finalmente ce la svelerà.

Se il tamburo e la danza, la canzone e il rumore possono curare, guarire naturalmente è accettabile che provochino anche trance, possessioni, visioni. Se volete sapere tutto a cavallo fra estasi e sciamanesimo – spaziando fra i tarantolati del nostro Sud e l’asse Asia/Africa – dovete leggere lo studio di Gilbert Rouget «Musica e trance. I rapporti fra la musica e i fenomeni di possessione» (Einaudi). Se invece preferite vedere a che limite di “sciamanismo” può arrivare la musicalità proseguite con noi, cioè con la fantascienza.

 [omissis]

Da sempre c’è una musica che ha preso il potere (o che è sua serva) e un’altra che si ribella, ci sono suoni “angelici” e rumori “demoniaci”.

A lungo il blues e il jazz sono stati considerati «la musica del diavolo» dai più rigorosamente seri… fra gli studiosi razzisti. Invece «La nuova Atlantide» di Bacone non può fare a meno di musiche celesti. Suoni paradisiaci accompagnano anche la «pubblicità cantata» del nuovo mondo nel romanzo di Aldous Huxley. Qui Orfeo ha fatto alleanza con Pavlov: «la potenza del suono si lega al riflesso condizionato». Siamo pericolosi vicini al possibile o al vero: una rilettura delle ultime pagine di «Il mondo nuovo» non può che farvi bene.

Su quest’asse – sound celeste come potere assoluto – vi consigliamo di rintracciare (ormai è solo sulle bancarelle) un vecchio romanzo, «La sinfonia delle tenebre» di Dean R. Koontz dominato dall’idea di una civiltà futura interamente fondata sul dominio del suono. Il palazzo più importante si chiama «Accordo primordiale» e ospita il centro di ingegneria genetica della società dei musicisti. Quando la Terra fu distrutta da una guerra, il «consiglio dei musicisti anziani» di Vladivostoch (il mondo-colonia dei musicisti) inviò una nave spaziale per «ricreare la civiltà sulla Terra». Si è ammessi alla maturità – e a una rigida gerarchizzazione sociale – attraverso prove musicali, vere e proprie corride di sopravvivenza. Sia detto per inciso (e a vergogna di costoro): le donne sono escluse per motivi ritmici, sinfonici e politici.

Questi “paradisi” musicali (che somigliano, come logico, a “inferni”) ci rimandano al grande nemico, all’Antagonista: il diavolo, vecchio amico dei musicisti come ricordavano i Rolling Stones e tanti altri.

Di musicisti “infernali” il nostro immaginario, letterario e filmico, è stracolmo: da Stevenson a Hoffmann a Mann, da «Il fantasma del palcoscenico» di Brian De Palma a certi passaggi dell’«Amedeus» di Forman. Diamo per acquisito che gli artisti (e i compositori in particolare) intrattengano da sempre strani rapporti con il “signore delle tenebre”.

 [omissis]

Alcuni dei più celebri autori di fantascienza (Richard Matheson, Fredric Brown, Fritz Leiber) si sono spinti più in là: epidemie musicali, invasioni sonore, inarrestabili ritmi. Un “ballo di san Vito” planetario ci è stato raccontato – in jazz, neanche a dirlo – da «Mambo Jumbo». Come sarebbe che non lo conoscete? Vergogna.

Un maestro dell’horror moderno – assai più immaginifico dei vari King ma quasi sconosciuto da noi – è il francese Serge Brussolo che Urania per un periodo ha meritoriamente tradotto per poi metterlo in freezer. In «La collera delle tenebre» l’idea-base su cui lavora Brussolo è che si possa replicare su musica il suono della follia: «Chewing Magnetic Tape, un passo in più verso la musica che fa impazzire (…) L’idea è riprodurre su dischi morbidi i tracciati di elettroencefalogrammi eseguiti su dementi. Il nuovo stile si chiama Eeg». Conseguenze nefaste per l’umanità, neanche a dirlo.

Fantasticherie? E’ già sparita dalla nostra memoria storica la «musica degenerata»: dopo la famosa mostra di Monaco sull’arte degenerata nel 1938 il nazismo organizzò una mostra analoga sulla musica. Quale poteva essere il simbolo di questi roghi nazisti se non un sassofonista “negro” con la stella di David all’occhiello?

Ma perché scandalizzarsi se la musica – “degenerata” o rock/punk/dark – ci porta anche a passeggiare fra i diavoli? In gran parte della cultura orientale da sempre i ritmi servono soprattutto a strongere un patto con il “tuo” demonio. L’importante è avere strumenti appropriati, come non si stancano di ripetere i musicisti baluci (il Balucistan è la parte dell’Iran più ricca di tradizioni sonoro-mistiche). Per arrivare alla melodia giusta che consenta l’accordo con i “guats” (demoni invisibili) bisogna scegliere con oculatezza: a esempio la sorud (una particolare viola) o il doneli (un doppio flauto).

[omissis]

Quando arriveremo in altre galassie ovviamente i nostri fabbricanti di suoni dovranno aggiornarsi. A esempio Samuel Delany – nello splendido romanzo «Nova» – suggerisce uno strumento a metà fra l’arpa e il computer.

[omissis]

Invece l’inglese David Compton (nell’introvabile «Sinthajoy») ci propone i «sensinastri», un logico sviluppo delle registrazioni che può farci rivivere (come propri) emozioni e suoni, poesie e sinfonie «nel momento in cui si formano nella mente degli artisti».

Ed ecco Jack Vance condurci – in «L’opera dello spazio» – a spasso fra le galassie con una sensazionale tournèe musicale terrestre che sfida la Nona compagnia musicale del pianeta Rlaru. Ancora Philip Dick s’arrovella per anticiparci sound-and-blues del futuro prossimo: nell’antologia «Le voci di dopo»

NON FINISCE QUI (***)

 

(*) Erremme Dibbì era la strana sigla con cui Riccardo Mancini e Daniele Barbieri si firmavano, negli anni ’80 e ’90, su «il manifesto» e altrove. Questo piccolo dossier su musica e fantascienza uscì, parola più-parola meno, nel luglio 1989 sul numero 4 de «Il Bimestrale», supplemento a «il manifesto». Io ho corretto qualche refuso, fatto qualche piccolo aggiornamento e… tolto qualcos’altro per le ragioni qui sotto.

(**) Perché i tagli? Perché il lavoro non è ancora finito. Vorrei essere invitato a leggere queste storie – magari accompagnato da qualche musicista “alieno” (o da un robot come accadrà il 10 gennaio) – nel 2014 in una ventina almeno di città, borghi e paludi. Dunque questa è un’esca che vi butto. Se vi interessa scrivetemi sul solito pkdick@fastmail.it e trattiamo. Fra “disumani” un accordo si trova.

(***) Il testo non è finito (manca, tanto per dirne uno, un certo libro di George R. R. Martin e molte citazion i mirate…) e io ci lavorerò sodo ma in ogni caso se qualcuna/o – del ristretto club degli appassionatissimi di fantascienza – mi aiuta a colmare i vuoti della memoria (e dell’ignoranza) un grazie in anticipo. (db)

 

Redazione
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6 commenti

  • Ti sei dimenticato di Giuseppe Tartini e il suo “Trillo del diavolo”, suonato nientemeno con il clarinetto da Dylan Dog… e “Sinthajoy” di Compton è nella mia personale biblioteca accanto a “Marte colore di sangue” e “L’occhio insonne”… bellissimo, direi che è assolutamente geniale come idea… ci si lavora 😀

  • grazie Faber ma soooooo che puoi fare molto di più (guaaaaaarda non dirò che è anche merito del tuo cognome). Visto che ci sei, conosci musicisti poco terricoli in quel di venezia e dintorni?

  • si può fare, mio ignobile amico..
    ma di questo ne dovremo parlare con la DEUS EX MACHINA con cui ho il piacere di dividere la mia abitazione…
    ah un raccontino davvero interessante e inusuale è “La musica di Erich Zann” di H.P. Lovecraft, dove un oscuro musicista è in grado di evocare con il suo violino le divinità aliene dei miti di Chtulhu.
    Per non dimenticare “Star Trek”, con il buon Spock in religiosa esecuzione di brani musicali con la sua arpa, o il capitano Picard e il suo flauto dopo il bellissimo episodio “Una vita per ricordare”, assolutamente da vedere.
    Per non dimenticare “Neuromante” di William Gibson e molto cyberpunk di razza, tra cui George Alec Effinger e Bruce Sterling (che io non amo molto, lo ritengo un cafone di prima categoria, bravo a fà o’ gallo ‘ncoppa a monnezza).
    Va un pò meglio?

  • :
    > dibì, è molto interessante il tema del vostro articolo (tuo e di emmerre). Se mi aiuti a ricordare, Paola Capriolo ha un bel libro (non è > di fantascienza) in cui un uomo e una donna dialogano attraverso uno
    > strumento musicale. Lui è in prigione. Forse si chiama “La grande
    > Eulalia” (Feltrinelli). E poi, mi sono ricordata della “Sonata a
    > Kreutzer di Tolstoi. Ma a voi interessa solo nella fantascienza, vero?
    > abrc,
    > cibì
    >

    • grazie Christiana, effettivamente qui in blog il MARTEDI’ ci muoviamo nei territori del fantastico (e con la fantascienza privileguata) ma gli altri 6 giorni della settimana io e il resto della banda dobbiuamo fare i conti con il mondo cosiddetto reale e dunque…. (db)

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