Cesare Battisti e gli spettri

Due articoli di Franco Astengo ed Enrico Fletzer. E utili link (vecchi e nuovi)

Analogie stupefacenti tra Timothy Leary “l’uomo più pericoloso d’America “ e Cesare Battisti “proletario armato per il comunismo”

di Enrico Fletzer

Tra i casi giudiziari del professore di Harvard e quello dell’ex combattente dei PAC (recentemente cannibalizzato dal governo giallo-bruno ed ora rinchiuso in un lager della colonia sarda) esistono alcune analogie ma anche tante marcate differenze.

Leary era un esponente dell’upper class della Università di Harvard; essendo molto noto ed odiato dall’establishment come professore di psicologia era molto affermato e riconosciuto a livello mondiale. Anche per questo non poteva esser considerato un animale da esibire come un trofeo da Nixon quando fu trasportato in carcere per scontare teoricamente trent’anni di prigione per un paio di canne. Anche perché pur consumando quantità industriali di trip non era certo quello che potremmo definire un fuso. Il messaggio del movimento yippie fu immediato dopo che fu messo in gattabuia e ripreso in una canzone dall’opera Hair: Message for Timothy Leary.Let the Sunshine in cioè “fate entrare il sole”.

Battisti e Leary condividono la passione per le sostanze psicotrope anche se Battisti ama l’alcool mentre Leary la considerava una droga disdicevole.Un elemento comune ai due é però la pervicacia con cui sono stati a lungo perseguitati lungo le frontiere di tutto il mondo e il fatto che fossero aiutati da una rete di amici e compagni piuttosto trasversale che nel caso di Leary andava dai rivoluzionari bianchi alle Pantere Nere con le dovute differenze anche legate al rapporto con gli allucinogeni all’interno del movement e che lui descrive nelle pagine del suo diario algerino rispetto alla doppia morale dei militanti delle Pantere.

Negli USA il sistema tutto italiano delle condanne in contumacia e la stessa procedura giudiziaria a cui è stato sottoposto Battisti provocherebbe tuttora sdegno e orrore anche presso i giudici più conservatori. Il termine on absentia suona quasi come un sacrilegio per la giustizia “cinquantastellata” ma non scalda nessuna corda nel fronte del populismo penale in cui stiamo precipitando anche grazie ai due ministri della propaganda che si aizzano a vicenda in un tourbillon allucinante.

Negli USA – un Paese che ha aderito piuttosto tardi alle convenzioni contro la tortura – di solito i detenuti delle carceri ordinarie non vengono sottoposti a torture di carattere fisico o psicologico che però sono state notoriamente praticate all’estero: dal Vietnam passando per i “buchi neri” in sedi estere. In Italia la tortura è di fatto ancora legale: praticata legalmente o ufficiosamente come nel caso del 41bis a cui Battisti sarà sottoposto (è una forma di tortura checché se ne dica).

Negli USA una causa può costituire un precedente. In Italia no. Ma in entrambi i casi i due rivoluzionari hanno modificato anche pesantemente il corso del mondo. Esponendo entrambi i sistemi a vere e proprie fibrillazioni. Leary sicuramente in maniera più cosciente e incisiva ha influenzato largamente la cultura della West Coast di cui rimane una importantissima icona.

Pochi sanno che l’arresto illegale del professor Timothy Leary, l’eroe della controcultura americana in Afghanistan per cannabis, ha avuto un effetto molto più dirompente dei 5 grammi di erba che gli erano stati trovati. A fronte di una condanna a 30 anni di prigione il movimento armato degli Wheathermen decise di liberarlo. Dopo la sua evasione Leary intraprese una lunga peregrinazione con un lungo soggiorno nell’Algeria post-rivoluzionaria descritta in «Fuga» dove Leary coabitò con i fratelli e le sorelle delle Pantere Nere. Voleva partecipare a una conferenza a Copenhagen ma fu avvisato dai suoi amici che la polizia lo stava aspettando e decise quindi di rifugiarsi in Afghanistan dove venne fermato illegalmente da agenti della DEA statunitense che poi ottennero il permesso di arrestarlo e portarlo in prigione negli USA.

In effetti non esisteva un trattato di estradizione ma la monarchia decise di consegnarlo ugualmente. L’evento fece scandalo e fu quasi contemporaneo alla detronizzazione di Re Sahoud che in quel momento era in vacanza in una stazione termale di Ischia.

In quel periodo la cosiddetta guerra alle droghe aveva un obiettivo poi confessato (nel 1994) da John Ehrlichman, consigliere di Richard Nixon: «sapevamo che non avremmo potuto dichiarare illegale essere contro la guerra o essere neri, ma se fossimo riusciti a fare associare gli hippie con la marijuana e i neri con l’eroina, e a criminalizzare fortemente entrabi, avremmo potuto distruggere quelle comunità».

Ma oltre a teorizzare l’uso politico del LSD, Leary divenne famoso per aver fatto abolire la cosidetta Marijuana Tax che dal 1937 regolava la canapa facendola divenire praticamente illegale; salvando le apparenze e imponendo un sistema di registrazione solo teorico a cui nessuno riusciva ad adattarsi.

Trovatosi respinto alla frontiera messicana, dovette ritornare negli USA dove fu perquisito. A sua figlia furono trovani alcuni grammi di cannabis del cui possesso fu accusato. Leary fece una serie di appelli che arrivarono fino alla Corte Costituzionale con una difesa basata sul Quinto Emendamento della Costituzione statunitense: prevede che una persona non possa esser costretta ad auto-denunciarsi (facendo domanda a esempio di possedere canapa, con un divieto mascherato da tassa per altro). La Corte gli diede ragione tanto che poi la Marijuana Tax fu abolita e sostituita con una legislazione anch’essa di stampo proibizionista, il Dangerous Drugs Act.

Ma gli eventi successivi furono altrettanto interessanti perché la consegna di Leary agli Usa divenne l’ultima goccia che fece traboccare il vaso dei repubblicani afghani che rovesciarono il Re. Da cui poi il grande casino che è diventato quel Paese in cui è ben chiaro l’intreccio fra presenza militare statunitense e il traffico di eroina per alimentare guerre, conflitti con una economia che possa sostenere e alimentare la destabilizzazione dell’ex fianco molle dell’Urss.

Invece nel caso di Battisti si tratta di un regalino del nazista Bolsonaro e di un tentativo di fare piazza pulita di quel poco di sinistra che è ancora rimasto in Italia attaccando un personaggio scomodo e per certi versi poco difendibile. Un frutto veramente avvelenato sino alla fine, considerando che Lula è ancora in carcere e che anche Morales è stato pesantemente coinvolto con la espulsione di Battisti. Di sicuro Morales ha fatto gli interessi dei poveri del suo Paese intascando un accordo con il Brasile sulle forniture energetiche. Ma operando secondo la realpolitik si é messo però in una pessima luce presso parte della sinistra interna ed esterna.

Che dire dell’Italia del «fine pena mai»? Ma anche di quegli ex PCI che hanno ritrovato il coraggio di ritornare all’emergenzialismo risvegliando i fantasmi mai sopiti?

Basti pensare a quello che sta per avvenire con il decreto Salvini, con le articolazioni locali che nel caso di Grosseto prevedono un Daspo universale da tutte le aree per 300 metri. La situazione di barbarie giuridica intrapresa da questo governo – ma anticipata da Minniti – sta quasi a ricordare a tutti noi la lapidaria condanna del fondatore degli Stati Uniti d’America Franklyn a tutte le scorciatoie di tipo securitario: «quelli che mercanteggiano la loro libertà per un po’ di sicurezza non meritano né libertà né sicurezza».

Le analogie fra Leary e Battisti si fermano qui.

I semi di Leary sono germogliati contribuendo al grande svilvuppo non solo economico della West Coast mentre il caso Battisti ci ributta nella notte più buia, l’oscurità disperata del pensiero triste che dobbiamo prepararci a combattere e possibilmente battere nei prossimi mesi.

Mentre nella costa occidentale degli Usa impazza la rivoluzione verde e della cannabis (con le sue evidenti contraddizioni) in Italia siamo tutti incazzati neri. Con un governo che invece di abolire la povertà ci ha reso tutti più miserabili.

Let the sunshine in! Facciamo che il sole torni a brillare sul nostro sciagurato Paese e anche  – almeno qualche volta –  in quella piccola cella di Oristano. Bocche di lupo permettendo.

OFFESE

di Franco Astengo

La vicenda riguardante il rientro in Italia di Cesare Battisti, terrorista condannato in via definitiva, ha dato origine a una serie di spettacoli mediatici davvero disdicevoli da parte di esponenti dell’attuale maggioranza di governo e della grande maggioranza di già asserviti strumenti mediatici.

Pronunciamenti e presenze davvero inquietanti non solo dal punto di vista della ricostruzione storica dei fatti ma soprattutto della strumentalizzazione al riguardo della perenne, affannosa, campagna elettorale condotta da questi signori sempre in cerca di una rozza visibilità a buon mercato.

Ne è uscita, in verità, una terrificante visione della giustizia confusa con la viltà della vendetta (viltà ben stigmatizzata da Gian Giacomo Migone sulle colonne del quotidiano “il manifesto”).

Ma c’è di peggio in giro nelle espressioni di questa “partitocrazia qualunquista” che sembra piacere tanto agli italiani, tutti intenti a demonizzare i migranti e seduti sulla riva del fiume ad attendere la mancia del reddito di cittadinanza.

Il Messaggero” infatti osa accostare la figura di Luciana Castellina a non meglio identificati salotti parigini modello Carla Bruni” adombrando l’ipotesi di un “ritorno” non si sa bene da quale latitanza: un accostamento neppure troppo velato tra la storia della “nuova sinistra” italiana e il terrorismo.

Ripetizione di vecchi schemi abusati ma sempre utili per la mistificazione e la calunnia.

Lungi da me l’idea di difendere soggettivamente Luciana Castellina che sa benissimo farlo da sé.

Sia consentito però sentirsi, personalmente e collettivamente, profondamente offesi da questo stato di cose e soprattutto dallo scempio del diritto e della storia che si sta compiendo in questi giorni.

Mi sia permesso anche rivendicare con il massimo della forza possibile e senza timidezze (che pure un poco permangono anche nella stessa replica della redazione del “manifesto) la storia della “nuova sinistra” in Italia.

Una storia complessa, articolata, anche complicata nelle sue separazioni e in parte anche nelle derive che certe sue divisioni fecero registrare almeno nel corso del decennio dei Settanta.

Non si può dimenticare però che la nuova sinistra italiana sorse nell’intreccio tra la ventata del’68 e la storia del movimento operaio; intreccio che in Italia diede vita al ’68 “lungo” esploso con il ’69 del contratto dei metalmeccanici.

Una nuova sinistra incubata negli anni’60 attraverso riferimenti culturali e politici di grande spessore come quelli che attraversarono il PCI a cavallo dell’XI congresso e lo PSIUP soprattutto grazie all’elaborazione di Panzieri e dei “Quaderni Rossi”, il dissenso cattolico, l’impegno sindacale, la presa di coscienza femminista.

Una nuova sinistra capace di assumere la più coerente posizione critica espressa in Occidente al momento dell’invasione della Cecoslovacchia, sulla quale si consumò la separazione dal PCI: ricorre in questi giorni l’anniversario di Jan Palach ben definito da Francesco Leoncini “un comunista luterano”.

In precedenza però ci si era già appassionati all’internazionalismo seguendo il Vietnam delle due guerre anti-colonialiste e quanto stava avvenendo in Africa per la liberazione di quei popoli.

Ci si era già trovati in piazza per difendere la democrazia italiana da un tentativo di rigurgito neo-fascista cui la DC aveva dato spazio, fino a comprenderne gli epigoni nella maggioranza di governo: si era lottato a prezzo del sangue caduto a Reggio Emilia, a Palermo, Catania, Licata.

Non mi inoltro nel ricostruire la storia di quel periodo ma debbono rimanere ben chiari i tratti sui quali, in quella fase, ci si mobilitò per reclamare un diverso orizzonte per un’intera generazione.

Certi accostamenti subdoli, certi tentativi stupidi di “damnatio memoriae” forniscono oggi il miglior contributo possibile alla distruzione dei fondamenti della nostra vita democratica: distruzione già abbastanza avanti nel suo definirsi, grazie anche ai tanti tentativi di bruciare la Costituzione Repubblicana sull’altare della governabilità e del potere personalistico.

Non si tratta però soltanto di questo: si tratta soprattutto dell’offesa profonda rivolta verso un’intera generazione che aveva cercato, non sempre riuscendovi sia ben chiaro, di coniugare la passione rivoluzionaria con la pratica politica cercando di rendere possibile un “assalto al cielo” svolto nella limpidezza delle proprie convinzioni e di una grande espressione di onestà e d’impegno intellettuale.

Onestà e impegno intellettuale di cui nell’attualità si stenta a trovare le tracce.

QUALCHE LINK

In “bottega”: OMONIMIE: Cesare Battisti

https://studiquestionecriminale.wordpress.com/2019/01/15/le-deformazioni-della-societa-italiana-e-il-caso-battisti-di-vincenzo-scalia-university-of-winchester/

BATTISTI, LE VITTIME, LO STATO

di Giacomo Sartori

Per chiarirsi le idee sul “caso” Battisti e sul delirio della legislazione di emergenza in Italia, consigliamo “Carmilla”: in particolare https://www.carmillaonline.com/2009/01/30/il-caso-battisti-tutti-i-dubbi/ ma anche una serie che inizia qui: FAQ (Frequently Asked Questions) SU CESARE BATTISTI (Prima parte)

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Cattive memorie

    Giorgio Agamben

    (il manifesto, 23 dicembre 1997)

    La classe politica italiana rifiutando l’ipotesi dell’amnistia per i reati degli anni di piombo si condanna al risentimento: ciò che dovrebbe essere oggetto di indagine storica viene trattato come un problema politico di oggi.
    Come molte categorie e istituzioni delle democrazie moderne, anche l’amnistia risale alla democrazia ateniese. Nel 403 avanti Cristo, infatti, dopo aver abbattuto la sanguinosa oligarchia dei Trenta, il partito democratico vincitore prestò un giuramento in cui si impegnava a “deporre il risentimento” (me mnesikakein, letteralmente “non ricordare i mali, non aver cattivi ricordi”) nei confronti dei suoi avversari. Così facendo, i democratici riconoscevano che vi era stata una stasis, una guerra civile e che era ora necessario un momento di non-memoria, di “amnistia” per riconciliare la città. Malgrado l’opposizione dei più faziosi, che, come Lisia, esigevano la punizione dei Trenta, il giuramento fu efficace e gli ateniesi non dimenticarono l’accaduto, ma sospesero i loro “cattivi ricordi”, lasciarono cadere il risentimento. Non si trattava tanto, a ben guardare, di memoria e di dimenticanza, quanto di saper distinguere i momenti del loro esercizio.

    Rimozioni

    Perché oggi in Italia è così difficile parlare di amnistia? Perché la classe politica italiana, a tanti anni di distanza dagli anni di piombo, continua a vivere nel risentimento, a mnesikakein? Che cosa impedisce al paese di liberarsi dai suoi “cattivi ricordi”? Le ragioni di questo disagio sono complesse, ma credo si possa rischiare una risposta.

    La classe politica italiana, salvo alcune eccezioni, non ha mai ammesso apertamente che vi sia stata in Italia qualcosa come una guerra civile, né ha concesso che il conflitto degli “anni di piombo” avesse un carattere genuinamente politico. I delitti che sono stati commessi in quegli anni erano quindi e restano reati comuni. Questa tesi, certamente discutibile sul piano storico, sarebbe, tuttavia, pur sempre legittima se non fosse smentita da una contraddizione evidente. Poiché, per reprimere quei reati comuni, quella stessa classe politica ha fatto ricorso a una serie di leggi eccezionali che limitavano gravemente le libertà costituzionali e introducevano nell’ordinamento giuridico principi che erano sempre stati considerati a esso estranei. Quasi tutti coloro che sono stati condannati, sono stati inquisiti e processati in base a quelle leggi speciali. Ma la cosa più incredibile è che quelle leggi sono tuttora in vigore e gettano un’ombra sinistra sulla vita delle nostre istituzioni democratiche. Noi viviamo in un paese che si pretende “normale”, nel quale chiunque ospiti in casa propria un amico senza denunciarne la presenza alla polizia è passibile di gravi sanzioni penali.

    Lo stato di eccezione larvato in cui il paese vive da quasi vent’anni a così profondamente corrotto la coscienza civile degli italiani, che, invece di protestare e resistere, essi preferiscono contare sull’inerzia della polizia e sull’omertà dei vicini. Sia lecito ricordare – senza voler con questo stabilire nient’altro che un’analogia formale – che la Verordnung zum Schutz von Volk und Staat, emanato dal governo nazista il 28 febbraio 1933, che sospendeva gli articoli della costituzione tedesca che concernevano la libertà personale, la libertà di riunione, l’inviolabilità del domicilio e il segreto epistolare e telefonico, restò in vigore fino alla fine del Terzo Reich, cioè per tredici anni; le nostre leggi eccezionali e le disposizioni di polizia con esse connesse hanno largamente superato questo limite.

    Risentimento

    Non sorprende, allora, che la nostra classe politica non possa pensare l’amnistia, non possa deporre i propri “cattivi ricordi”. Essa è condannata al risentimento, perché in Italia l’eccezione è veramente divenuta la regola e paese “normale” e paese eccezionale, storia passata e realtà presente sono diventati indiscernibili. Di conseguenza, ciò che dovrebbe essere oggetto di memoria e di indagine storica, viene trattato come un problema politico presente (autorizzando il mantenimento delle leggi speciali e della cultura dell’emergenza) e ciò che dovrebbe essere oggetto di una decisione politica (l’amnistia) viene invece trattato come un problema di memoria storica. L’incapacità di pensare che sembra oggi affliggere la classe politica italiana e, con essa, l’intero paese, dipende anche da questa maligna congiunzione di una cattiva dimenticanza e di una cattiva memoria, per cui si cerca di dimenticare quando si dovrebbe ricordare e si è costretti a ricordare quando si dovrebbe saper dimenticare. In ogni caso, amnistia e abrogazione delle leggi speciali sono le due facce di un’unica realtà e non potranno essere pensate se non insieme. Ma per questo sarà necessario che gli italiani riapprendano il buon uso della memoria e dell’oblio.

  • @Franco Astengo
    (dall’estero) anche dimenticando la… distanza, dall’epoca : non sono d’accordo col fare uso delle parole “terrorista” a proposito di chi è detenuto -e lo è dalla volontà nemica

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *