Che antifascismo è se copre uno stupro?

Silenzi e complicità su una violenza: a Parma nel 2010 … ma venuta alla luce con anni di ritardo


1 – Il msg di Luca

Due giorni fa mi ha scritto Luca per segnalarmi questo articolo di Silvia Bia:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12/16/stupro-di-gruppo-nel-centro-antifascista-di-parma-dopo-sei-anni-un-gruppo-di-ragazze-squarcia-il-silenzio-con-un-post/3264603/


2 – Gli rispondo così:
«Ho letto… Ignoravo tutto di questa vicenda orribile. Conoscevo solo per via indiretta alcune voci, di un annetto fa, su un episodio gravissimo accaduto in un centro sociale su cui mi avevano detto che si era aperta una discussione in Radio Onda Rossa a Roma però non ne conoscevo gli sviluppi. Vedo come saperne di più».

 

3 – Ecco il comunicato di «Onda rossa», ripreso anche da «Non una di meno»
STUPRATORI E COMPLICI FIGLI DELLA STESSA CULTURA
Circa un anno e mezzo fa ci eravamo trovate e trovati a commentare
dai nostri microfoni una vicenda che ci coinvolge tutte e tutti:
lo stupro di una ragazza dentro uno spazio “di movimento”,
avvenuto cinque anni prima a Parma, dentro una sede allora gestita
dalla Rete Antifascista di Parma. Un fatto emerso solo dopo molto
tempo, e rimasto troppo a lungo avvolto in un silenzio
preoccupante che abbiamo anche noi sottovalutato.
Oggi, attraverso la presa di parola di compagne e compagni
solidali con la ragazza
(https://abbattoimuri.wordpress.com/2016/11/30/circa-i-fatti-di-parma-nella-sede-della-raf-come-riparare-4-crepe-prima-che-qualcosa-si-rompa-per-sempre/),
apprendiamo i risvolti agghiaccianti di questa storia infame.

Non c’è antifascismo senza antisessismo. come non c’è lotta di
classe senza lotta a ogni forma che il patriarcato, dentro il
capitalismo, assume. L’antisessismo non è uno slogan e il
patriarcato non è una “cultura” ma oppressione materiale e
sfruttamento; rendersene attori e complici, fino alla sua più
schifosa espressione, lo stupro, significa essere complici e
portatori dell’oppressione di genere e di classe.
Ma gli antifascisti e le antifasciste – o almeno chi si dichiara
tale – hanno davvero assunto queste affermazioni? Di sicuro non se
le sono assunte gli uomini che hanno violentato una ragazza di 18
anni, in un evidente stato confusionale, per di più filmando
l’atto di violenza e facendo poi circolare il video.
Ma ci chiediamo anche se chi ha permesso che il video della
violenza girasse indisturbato, di telefonino in telefonino, senza
nemmeno riconoscere in quelle scene una violenza, davvero
riconosce nell’antisessismo una prerogativa necessaria della lotta
antifascista. E chi ha giudicato, scherzato con quelle immagini,
deriso la ragazza, fatto sentire complicità agli stupratori,
quelli e quelle sono antifascisti?
E ancora, chi negli anni che sono seguiti allo stupro ha isolato
la ragazza additandola come “spia delle guardie”, togliendole ogni
agibilità, impedendole di frequentare gli spazi sociali, ha una
responsabilità minore?
Ci sono vari livelli di violenza in questa storia: lo stupro di
gruppo, la diffusione delle immagini, la derisione, le minacce e
infine la condanna, l’isolamento, l’emarginazione della ragazza.
Cerchi concentrici in cui il “gruppo” delle persone coinvolte è
sempre più grande.

Abbiamo letto comunicati di dissociazione, altri di
strumentalizzazione, altri che raccontavano di quanto questo
“episodio” abbia distrutto la politica a Parma. Comunicati che
hanno dimostrato – e continuano a dimostrare dopo cinque anni –
l’assoluta incapacità di prendere una posizione chiara e
inequivocabile sulla violenza maschile: troppi se e troppi ma
hanno attraversato le dichiarazioni uscite negli ultimi due anni,
dopo il già vergognoso silenzio dei tre precedenti.

Noi, redazione di Radio Onda Rossa, vogliamo innanzitutto
esprimere la nostra solidarietà alla ragazza e ribadire che
giudicare una donna stuprata sulla base dei suoi comportamenti in
merito è violenza, un’altra violenza aggiunta a quella già subita:
è quello che già fanno i tribunali nei processi per stupro, che
finiscono sempre per mettere sul banco degli imputati, sotto la
gogna degli inquisitori, le donne che la violenza l’hanno subita.
Vogliamo ribadire, invece, che l’omertà sulla violenza maschile
sulle donne accompagna da sempre il perpetuarsi della cultura
dello stupro e, come antifasciste e antifascisti, vogliamo
comunicare il nostro sgomento e la nostra rabbia nel vedere che la
cultura dello stupro, dell’omertà, della pacca sulla spalla tra
maschi permane in spazi che si ritengono antagonisti. In spazi che
si vorrebbero liberati nulla si fa per scardinare luoghi comuni e
atteggiamenti tipici dei “processi per stupro”, anzi ci si rende
complici nello svilire e isolare una donna stuprata all’interno
degli stessi spazi sociali e politici.
Complice non è solamente chi difende esplicitamente lo stupratore,
ma anche chi, uomo o donna, instillando dubbi, diffondendo voci,
delegittimando la parola delle donne, crea un clima in cui gli
stupratori continuano ad avere agibilità e a muoversi tranquilli.
Complice è anche chi, pensando di salvaguardare in qualche modo i
propri spazi “politici”, giustifica di fatto lo stupro lasciando
inalterate le condizioni, i luoghi, le dinamiche, in cui è avvenuto.
Complice è chi, in nome di una ridicola e disonesta purezza,
asserisce di condannare lo stupro ma al contempo condanna anche la
ragazza in quanto sarebbe stata inaffidabile perché – sotto il
torchio delle guardie – non ha protetto i suoi stupratori e le
persone intorno a loro.
Oggi, ancora con sgomento e rabbia, ci chiediamo dove è stato il
movimento in tutti gli anni del silenzio su questa vicenda. Come è
stato possibile che un video come quello girasse senza che ci si
accorgesse della gravità dell’atto compiuto o per lo meno senza
che si sentisse la necessità di prendere parola? Come è stato
possibile
arrivare a minacciare la ragazza stuprata fuori dal tribunale?

La nostra solidarietà va a lei e a quei pochi e poche che in
questi anni non l’hanno lasciata sola.
Il nostro schifo va a tutto il resto… senza se e senza ma.

La Redazione di Radio Onda Rossa

 

4 – E ora?

Al di là del processo e dei fatti terribili, impressionano i lunghi silenzi e la fitta rete di complicità. Anche la redazione della “bottega” è schifata «senza se e senza ma». La discussione resta aperta. (db)

 

L’IMMAGINE E’ RIPRESA DAL BLOG DI ANARKIKKA.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

5 commenti

  • Giorgio Chelidonio

    La sindrome del “maschio alfa” era largamente rappresentata fra i “compagni” veronesi degli anni ’70 !
    Compagni con comportamento socio-sessuale di “tipo bonobo” non ricordo di averne mai incontrati….
    Qualcuno ricorda di averne visti?

  • Giorgio Chelidonio

    Dimenticavo di precisare: diversamente dai bonobo, presso gli scimpanzè maschi sono noti casi di stupro (probabilmente individuale). Ma non è un tema molto trattato (neppure in siti anglofoni): ne ho trovato traccia su : http://harvardmagazine.com/1997/01/right.chimp.html da cui trascrivo

    “…bonobos create peaceful societies in which males and females share power–while the biologically similar chimpanzees live in patriarchal groups in which males regularly rape, beat, kill…”

    Che la scarsità di queste news anche fra i siti di primatologia assomigli alle “notizie celate” anche “a sinistra” ? A pensar male si “fa peccato” però ……

  • La gravità dello stupro, il luogo dove è stato commesso, i “compagni” che lo hanno commesso, lasciano senza fiato e con un peso emotivo incredibilmente opprimente.
    Non vorrei sviare dal fatto in sè, tuttavia credo che questo episodio è figlio di una subcultura che ormai da tempo ha fatto presa anche verso quei settori della società che si credevano immuni.
    Il decadimento culturale dagli anni ’80 in poi, dal craxismo in poi, ha avuto un qualche effetto anche su tutta quella parte di società che si credeva immune, che ha guardato dall’alto verso il basso tutti i mutamenti seguiti negli anni successivi.
    Ho vissuto una lunga esperienza dentro un centro sociale e ho avuto a che fare con molti centri sociali, reti e movimenti vari, più volte ho notato determinati atteggiamenti che secondo me non avrebbero dovuto avere asilo in determinati posti e in determinati gruppi. Atteggiamenti da “branco”, un vuoto corporativismo, a volte vicinanza al mondo degli ultrà (e quindi alla sua estetica machista).
    Il silenzio, l’omertà per proteggere il “gruppo”, in alcuni casi anche vere e proprie minacce, sono atteggiamenti culturalmente mafiosi, inutile girarci intorno.

    Anche nel mondo dei movimenti, dei centri sociali, ci sono i presunti eroi “intoccabili”, che non possono essere oggetto di critica, di dubbio, pena l’ostracismo, l’isolamento, minacce, diffamazione.
    Mi dispiace generalizzare, so bene che il discorso è molto più complesso e non voglio ricadere anche io nella trappola di mettermi su di un pulpito e fare la predica, sono l’ultimo a poterlo a fare, ma forse il fatto di Parma può essere un punto da cui muoversi e farsi alcune domande, anche crude.

    L’avvento della società craxiana-berlusconiana, dell’immagine e dell’apparenza, della mercificazione del corpo della donna, quanto ha influenzato anche coloro che non se ne sentivano parte o le erano ostili?

    Quanto influisce l’immagine pubblica (marketing?) di un posto occupato o di un gruppo/collettivo rispetto ai contenuti?

    Saremmo in grado di fronte a presunti “eroi” del movimento a non voltarci dall’altra parte davanti a fatti gravi?

    Quanto saremmo pronti a fare autocritica senza essere additati come traditori infami della causa?

    Se ci fosse la volontà di sciogliere alcuni nodi, probabilmente tutto il movimento gioverebbe di maggiore chiarezza, i militanti non si allontanerebbero, non si sentirebbe il puzzo di ipocrisia, sarebbe più facile tornare all’idea di “comunità” invece che a gruppi sempre più atomizzati e spesso in guerra tra loro a chi è più figo.

  • Compagni di merende, mi rifiuto di pensare che questi esseri e tutti coloro che li hanno coperti sappiano cosa significhi essere compagni e antifascisti, se sei uno stupratore non puoi essere un compagno, se giustifichi e cerchi motivazioni a certi orrori non sei un compagno o una compagna, delle nostre lotte e delle nostre battaglie non avete capito un accidenti

  • Francesco Masala

    6 anni di silenzio sono troppi, e poi non è una cosa personale, ma politica (non diciamo così?)

    è una storia di cronaca nera, di merda, e non parlarne non aiuta, anzi.

    dice Cesare Pavese: “I problemi non si evitano, si attraversano”

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