Che brutta bestia è la memoria storica

   Qualche appunto per continuare a ragionare (e se occorre a litigare) anche in “bottega”

dbMauroBiani-MIXmemoria

Qui in “bottega” ha fatto discutere un post di Pietro Ratto (NOTA 1) – con 14 commenti pubblici nonché molte discussioni a due o a tre – e contemporaneamente sul quotidiano «il manifesto» ha suscitato reazioni contrastanti un articolo di Alessandro Portelli (è il primo che trovate qui sotto) mentre in rete è rimpallato, fra critiche e lodi, un testo di Bifo (è il secondo che trovate qui sotto). Il sempre pacato Sandro Portelli e l’intelligentemente provocatorio Franco Berardi hanno in qualche modo suscitato reazioni simili cioè barricate subito alzate, dialoghi fra sordi, nessuna “sintesi” che abbia accontentato tutte/i. So che anche la vignetta (qui sopra) di Mauro Biani ha fatto incazzare alcune persone, anche se io fatico a comprendere il perché. Evidentemente non è questione di persone o di stile nella scrittura ma di nodi da sciogliere, di ignoranze e supponenze, di dolore e paura, di questioni molto complesse, a volte di scarsa empatia e capacità di comunicare. E di confusione: nel senso che è giusto collegare un evento storico a un altro, vedere l’oggi con gli occhi del passato (e viceversa) ma così si aggroviglia spesso la trama e bisogna poi avere la capacità, la voglia e il tempo di annodare e sciogliere, capire meglio e farsi venire altri dubbi, ordinare e studiare…

Leggete allora Portelli e Bifo.

Poi io provo a dire (con la massima umiltà di cui sono capace) la mia, senza – sia chiaro – alcuna pretesa di dare le pagelle e tirar fuori “le tavole della legge”.

La crisi della memoria

di Alessandro Portelli (NOTA 2)

A undici anni dalla sua istituzione, la Giornata della Memoria suscita valutazioni e commenti ambivalenti.

Non sono poche, né poco autorevoli, le voci che lamentano un rischio, senz’altro reale, di saturazione, di ritualità burocratica e ripetitiva, un ricordo di un giorno per non pensarci più per tutto l’anno. D’altra parte, quando da fonti autorevoli sentiamo dire che l’idea della Shoah è stata suggerita a Hitler dai palestinesi, mentre l’Iran continua a non prendere le distanze dal negazionismo e neonazisti e affini di tutta Europa scelgono l’Italia per i loro raduni, ci rendiamo conto di quanto pervasivi possano essere il razzismo, il revisionismo opportunista e il negazionismo strumentale.

Il problema, come sempre, non è tanto se ricordare o no, ma che cosa ricordare e come. Dovremmo cominciare col distinguere la memoria in senso lato di conoscenza storica del passato, dalla memoria in senso proprio di consapevolezza critica delle esperienze sociali e personali vissute.

La giornata della memoria acquisterebbe una dimensione ulteriore di senso se, insieme agli eventi ricordati, aprisse anche una riflessione sulla presenza, il ruolo, la crisi della memoria stessa.

Altrimenti, la necessarissima conoscenza storica e sentita commemorazione della Shoah, della Resistenza (e anche delle foibe e del gulag) non compensa la smemoratezza intenzionale di una società in cui politici e media possono dire una settimana il contrario di quello che avevano detto la settimana prima senza che nessuno se lo ricordi e glielo ricordi.

Più ancora della conoscenza storica, la memoria impone una relazione vissuta fra il passato ricordato e il presente che ricorda. La commemorazione smette di essere un rituale e diventa memoria vissuta se quello che ci raccontiamo del passato serve a orientare il nostro agire nel presente. Il ricordo della Shoah rischia di restare relegato a un passato autoconcluso se non insegna niente a un’Europa che oggi rischia di andare in pezzi per l’incapacità di accogliere migranti e profughi. Una giornata della memoria dovrebbe servire anche a farci ricordare che l’Europa che oggi respinge i migranti è la stessa Europa che ha inventato e messo in pratica il genocidio organizzato. Non è stata la nostra barbarie, è stata la nostra cultura che ha prodotto e produce tutto questo.

Proprio perché la Shoah è un crimine specificamente europeo, non possiamo fare del suo ricordo una memoria etnocentrica.

E invece, fra le tante memorie che giustamente vengono evocate in giornate come questa, non trova posto la memoria del colonialismo, specialmente del colonialismo italiano e dei suoi crimini. Di che memoria sono portatori gli abitanti della Libia, ex colonia italiana, dove ci prepariamo di nuovo a “intervenire” (dopo il 1912 e il 2012), che memoria arriva in Italia con i migranti che giungono (quando ci riescono) dall’ex colonia italiana dell’Eritrea? Che cosa ricordiamo dei trent’anni di resistenza libica all’occupazione, della resistenza etiope all’aggressione italiana, nel paese che erige sacrari alla memoria di un massacratore di libici e di etiopi come Rodolfo Graziani? Possiamo parlarne, o no, nella cosiddetta giornata della memoria?

Con tanti problemi e domande, però vorrei aggiungere un esempio positivo. Il 23 gennaio, nel liceo che porta il suo nome, si è svolta un’emozionante “notte di Primo Levi”. E’ stata emozionante per il modo in cui Edith Bruck, Sami Modiano, Giacoma Limentani – testimoni diretti degli eventi – hanno fatto capire a una vasta aula magna stracolma di studenti e famiglie fino a che punto le tragedie di allora sono ferite ancora aperte nell’anima di persone che ci sono vicine; farli vivere a una vasta aula magna stracolma di studenti e famiglie; per come tutto è stato reso più profondo e coinvolgente dalla musica dei MishMash e del coro Musica Nova, e dagli spettacoli e letture creati dagli studenti stessi; per la creazione di un senso di comunità e condivisione attorno alle tavole cariche di buone cose portate dai ragazzi e dai genitori stessi; per la consapevolezza diffusa che, come in tutte le grandi culture tradizionali, fare festa è un modo serio di ricordare.

Ma è stato bellissimo soprattutto perché gli studenti e le loro famiglie non hanno partecipato come destinatari più o meno coinvolti di discorsi calati dall’alto, ma hanno retto tutto l’evento con il lavoro, le voci e le idee loro e dei loro insegnanti.

Questo è un modo non solo di prendere coscienza del passato, ma di costruire memoria per il futuro: perché imparando da narratori come Edith, Sami, Giacometta i ragazzi di oggi si rendono conto che la memoria futura del nostro tempo dipende dalla loro partecipazione attiva in esso: se non ricordiamo, non saremo ricordati.

Per una volta, insomma, si è vista in azione la vera e autentica “buona scuola”.

Che dirò ai miei studenti nel giorno della memoria?

di Franco Berardi Bifo

Dopo la guerra che Israele scatenò contro la popolazione di Gaza nel 2008, Stefano Nahmad (la cui famiglia subì le persecuzioni naziste) scrisse queste parole: «hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi. Non so pensare a nulla di più infame […] li hai chiusi ermeticamente in un territorio, e hai iniziato ad ammazzarli con le armi più sofisticate, carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di notte il cielo come se fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti palestinesi e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una sconfitta per te e per l’umanità intera».

La guerra che Israele conduce contro il popolo palestinese non è finita, non finisce mai. Continua ogni giorno, e ogni giorno uccide, distrugge, depreda. Negli ultimi mesi è esplosa una povera Intifada, chiamata l’Intifada dei coltelli. Si manifesta con azioni suicidarie compiute da uomini donne, anziani e giovani che il razzismo quotidiano del gruppo dirigente di Israele ha reso a tal punto disperati da cercare la morte per strada, nel tentativo generalmente fallimentare di accoltellare uno dei super-armati agenti dell’esercito di Israele.

Come ogni anno si avvicina il giorno della Memoria, e come ogni anno mi preparo a parlarne con gli studenti della scuola in cui insegno. Insegno in una scuola serale per lavoratori, in gran parte stranieri. È un ottimo osservatorio per capire quel che accade nel mondo. Qualche anno fa, in occasione di questa ricorrenza, leggemmo brani dal libro “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Avevamo parlato molto della questione ebraica, e della storia del popolo ebreo dalle epoche lontane al ventesimo secolo. Proposi che tutti scrivessero un breve testo sugli argomenti di cui avevamo parlato. Leggi tutto

Provo ad aggiungere – spero in modo non troppo disordinato – appunti, notizie, emozioni e dubbi… che spesso si mescolano in me in modo angoscioso.

UNO. Nella discussione aperta, anche quest’anno, sul quotidiano «il manifesto» intorno al «giorno della memoria» segnalo due sommari. Nel primo in relazione all’articolo di Claudio Vercelli (proprio il 27 gennaio) si leggeva: «Nella celebrazione si corre il rischio di affrontare un tempo senza storia. Facile quindi travisare, rimanendo stretti fra banalizzazione (tutto è Auschwitz), sacralizzazione (Auschwitz è tutto) e negazione (niente è Auschwitz)». Nel secondo, riferito all’intervento di Sonia Gentili (il 28 gennaio), così si sintetizzava: «Nel ritorno dei temi della destra radicale nella scena pubblica, la differenza tra vittime e carnefici è ridotta all’espressione di innocenti opinioni che si equivalgono. In nome di un “dialogo” e del superamento di un passato». Come ben si capisce, già qui ce n’è da discutere.

DUE. Poche persone lo sanno e ancor meno – fra i giornalisti e i politici – sembrano interessarsene ma il 12 febbraio probabilmente si chiuderà il processo al sindaco e a i due assessori del Comune di Affile (NOTA 3) che hanno fatto costruire, con denaro pubblico, un monumento dedicato al boia Rodolfo Graziani. Ma che Paese è questo che prima lo consente e poi non osa parlarne?

TRE. Il 28 gennaio ho visto il bel film di Giulio Ricciarelli «Il labirinto del silenzio» (NOTA 4). Così mi sono ricordato di quanto a lungo in Germania i figli, le figlie dei carnefici non hanno saputo di Auschwitz.

QUATTRO. E noi figli o figlie dei boia fascisti e dei loro complici? Nonostante i molti in Italia che si opposero e i moltissimi che si riscattarono nella Resistenza, dopo il 1945 dominò un Paese che non voleva fare i conti con i suoi errori/orrori. A casa mia era tutto segreto. Ho scoperto tardi, un pezzo alla volta, che mio padre era stato fascista e volontario in Africa. Ho capito grazie ai libri di Angelo Del Boca cosa significava. Ho poi assistito alla vergogna di vedere – ancora nel 1981 – censurato un film, «Il leone del deserto», perché raccontava le infamie del colonialismo italiano.

CINQUE. Chi vorrà approfondire le vicende del processo raccontato nel film di Ricciarelli sopra citato dovrebbe recuperare in libreria, in biblioteca o in rete «L’istruttoria» di Peter Weiss: è un “Oratorio in undici canti” che fra l’altro traduce nel dopoguerra «La banalità del male» – Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil – raccontata e analizzata dal libro omonimo di Hannah Arendt. La banalità del male.

SEI. Restando al cinema. C’è un film svizzero, pure del 1981, «La barca è piena» di Markus Imhoof che racconta di 5 ebrei e un disertore tedesco che nel 1943 vengono respinti alla frontiera svizzera: “troppi rifugiati, la barca è piena” si diceva allora. Da una parte è sbagliato paragonare quel periodo all’oggi ma dall’altra a me pare che siamo di fronte nella democratica Europa, in pace dal 1945, allo stesso meccanismo psicologico e politico che consente ad alcuni Paesi di chiudere le frontiere a chi scappa da guerre e persecuzioni: e alla Lega Nord o simili di urlare che ai migranti bisogna persino impedire di tentare la fuga per mare. La barca è piena, andate altrove o morite lontano da qui. Ebrei, disertori, bambini o negri è “lo stesso”.

SETTE. Ancora un film, «Hiroshima mom amour» (del 1959) di Alain Resnais, uno dei film più importanti nella storia del cinema. Eppure all’epoca tante persone storsero la bocca per due motivi più o meno occulti: il film metteva insieme in qualche modo il nazismo – sullo sfondo – e Hiroshima in primo piano, cioè la memoria dei cattivi, dei “perdenti”e l’orribile violenza atomica dei “buoni”, dei vincitori; e poi la ragazza ricordava di avere amoreggiato con un tedesco. Questa dialettica è pericolosa? Non c’è il rischio di confondere il male con il bene? Allora si accusò persino Resnais di essere ambiguo, fingendo di non sapere che si deve a lui, nel 1956, quel «Notte e nebbia», primo film sui campi di concentramento nazisti… tema innominabile perché allora la Germania stava con i “buoni” e i cattivi erano i “rossi”.

OTTO. Un ricordo personale. Anni fa mi capitò durante un laboratorio del Cem (è il Centro educazione alla mondialità) di citare questa frase di Franco Fortini: «Le vetrine di Auschwitz / sono giustamente mute / a chi non le investe / di una partecipazione presente. / Non solo quelle vittime / ma tutto il passato può parlare / solo a condizione che noi / gli diamo da bere / il nostro sangue […] Possiamo imparare qualcosa / dallo ieri solo nell’esatta / misura in cui / desideriamo un domani». La frase che le vetrine di Auschwitz sono «mute» fece indignare una ragazza. Faticai a farle capire che non sono un “negazionista” e tanto meno lo era Fortini. Continuo a credere che la storia è importante (e ambigua, perché terreno perenne di scontro politico) e bisogna studiarla ma che davvero «Possiamo imparare qualcosa dallo ieri solo nell’esatta misura in cui desideriamo un domani».

NOVE. Così il 28 gennaio mi è capitato, dopo aver visto il film di Ricciarelli, di avere un confronto ravvicinato con un esponente del Pd: quando ho cercato di collegare quel “contesto” all’oggi, cioè alla presenza di Forza Nuova nelle strade e alla necessità di fermarli, lui ha farfugliato che non ci si può contrapporre frontalmente a «quei fanatici», «integralisti» – non è riuscito mai a dire la parola nazifascisti – che a opporci faremmo loro soltanto un favore (?). Avrei voluto dire anche a lui; «Possiamo imparare qualcosa dallo ieri solo nell’esatta misura in cui desideriamo un domani». Lui non desidera un domani o almeno non un futuro che somigli a quello che desidero io. E lui vive nella paura. Senza neppure il coraggio di “chiamare le cose con il loro nome”: Forza Nuova e Casa Pound sono fascisti e nazisti, bugiardo chi lo nega.

DIECI. La ragazza che fraintese i versi di Fortini (forse per colpa mia che mi ero mal spiegato) è in gran compagnia. Il poster satirico «La famiglia è ariosa… come una camera a gas» fu accusato di superficialità o peggio; molte persone giudicarono irriverente, sconveniente, insensibile Gianna Nannini che cantava «Questo amore è una camera a gas». Cosa si può dire e cosa invece offende?

UNDICI. Le parole sono pietre e bisogna stare attenti a usarle e a “tirarle”… Ma i fatti contano di più.

DODICI. Bisogna impedire ai “negazionisti” di spargere menzogne (ma allora perché Forza Nuova e Casa Pound sono “legali” in Italia?) ma non è tutto così semplice, chiaro. I dubbi? La ricerca storica? Trovare confini non è facile. Una persona assai stimabile come Noam Chomnsky pensa che punire il “revisionismo storico” per legge sia pericoloso. Qualche dubbio ce l’ho anche io.

TREDICI. Secondo Wikipedia «il giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92: essa vuole conservare e rinnovare “la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”». Ma secondo me fin dall’inizio la gestione di questa “giornata” è stata reticente e macchiata da uno sciagurato nazionalismo che copre gli orrori del fascismo nei Balcani. Abbandono il tema ma spero che il riferimento all’ennesimo cattivo uso della “memoria italiana” sia evidente anche rispetto al modo in cui si zittisce chi vuole ragionare di ebrei e… israeliani.

QUATTORDICI. Il nesso fra questioni diverse è tema delicatissimo …anche perché in questi anni chiunque abbia collegato (o sia stato accusato di farlo) i crimini e gli orrori contro gli ebrei ai tanti delitti accertati che il governo di Israele commette contro i palestinesi ha rischiato il “pubblico linciaggio” e comunque è stato accusato di mentire: ma quel complicato e solo in parte vero “non sono delitti paragonabili” significa invece un comodissimo “Israele non si discute”. Anche se sono cittadine/i israeliani e di religione ebraica ad accusare il governo di Israele… macché sono antisemiti, razzisti, nazistoidi.

QUINDICI. E ovviamente in gran parte della “vulgata” solo il nazismo (ma c’è pure chi dice “soltanto la Germania” come fosse la stessa cosa) ha perseguitato gli ebrei. E invece no: la Russia, l’Inghilterra, la Francia, l’Italia, gli Usa… E il Vaticano. Troppo comodo scaricarsi la coscienza. Comunque dimenticando che nei campi di sterminio nazisti furono sterminati anche “zingari”, omosessuali e lesbiche, Testimoni di Geova, oppositori politici; e che in luoghi analoghi vennero massacrati anche disabili psichici e “criminali comuni”. E di nuovo dimenticando che l’Italia di Mussolini e il Vaticano di Pio XII furono complici del nazismo: prima della guerra, durante e perfino dopo… aiutando molti boia a scappare (i gerarchi scapparono in Paesi lontani, gli scienziati finirono quasi tutti ben pagati nei laboratori di Usa e Urss… un’altra “complicazione” storica che si preferisce rimuovere).

FINISCE QUI? Come era per me ovvio, non ci sono in questa riflessione ((troppo breve? Troppo lunga?) soluzioni e proclami conclusivi. Questioni troppo complesse, secondo me, per dire “giusto così” e “sbagliato cosà” una volta per sempre. Difficile ma necessario continuarne a discutere. Rispettando i dubbi e il diverso parere, studiando ancora, ma anche misurando e pesando le parole e i contesti nei quali si pronunciano. E inevitabilmente guardando all’oggi e al domani. Perché io credo che non ci sarebbe peggior “ricordo” degli ebrei o degli armeni sterminati se si chiudessero gli occhi sui kurdi o sui congolesi che oggi muoiono a grappoli perché così vuole la politica dell’Occidente. Un Occidente nel quale ho così poca fiducia che da tempo preferisco chiamarlo Uccidente. Una provocazione linguistica e politica lo so. Ma io non condivido per nulla le idee e le pratiche di chi mi governa (Ue e Nato ma soprattutto Fmi, Banca Mondiale e Wto). Continuo a pensare con Fortini che «possiamo imparare qualcosa dallo ieri solo nell’esatta misura in cui desideriamo un domani». Lo desidero, voglio costruirlo e lo sogno. Penso – come recita la frase-simbolo di questo “blog bottega” – che «Per conquistare un futuro occorre prima sognarlo».

(NOTA 1) SHOAH SENZA MEMORIA. Aggiungo che la discussione nella piccola redazione allargata di questa “bottega” è stata così difficile e aspra che probabilmente un paio di persone cesseranno di collaborare. Per me questo esito è inspiegabile e doloroso ma non saprei come “oppormi”. Mi piace molto l’idea di Dashiell Hammett – ma potrebbe essere di Rosa Luxemburg o di Vandana Shiva… – secondo cui ci sono due modi per discutere cioè “quello di chi vuole avere ragione e quello di chi cerca di capire”; io provo a praticare il secondo.

(NOTA 2) l’articolo di Portelli in prima pagina, sul quotidiano «il manifesto» del 27 gennaio, aveva come titolo «La crisi della memoria» mentre nel richiamo (a pagina 15I il titolo era «L’Europa del genocidio oggi respinge i profughi»: questa seconda titolazione è piaciuta a molte persone (a me di sicuro) e ha fatto storcere la bocca ad altre.

(NOTA 3) se non conoscete questa triste vicenda, qui in “bottega” digitate «Affile» e usciranno vari articoli o approfondimenti

(NOTA 4) Il Labirinto del Silenzio – Giulio Ricciarelli

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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