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La Bottega del Barbieri

Che c’è di male nel piantare alberi?/1

Il nuovo impulso per espandere piantagioni industriali di alberi in tutto il mondo

di Wilfridus Overbeek, Secretariado Internacional del World Rainforest Movement (*).

Che c’è di male nel piantare alberi? Le comunità di tutto il mondo non hanno piantato una diversità di alberi fin dall’alba della civiltà umana?

Sì, l’hanno fatto. Ma in tempi più recenti anche le aziende hanno iniziato a piantare alberi, soprattutto in Africa, Asia e America Latina, e il modo in cui lo fanno è molto diverso da quello delle comunità. Coprono enormi aree con alberi di un’unica specie, creando vaste piantagioni industriali – monocolture – prive di biodiversità.

Attualmente queste imprese stanno pianificando una nuova ondata di espansione massiva. Sfruttando la crescente consapevolezza pubblica e la preoccupazione per il cambiamento climatico, le imprese sostengono che le piantagioni a monocoltura sono un’opzione eccellente per aiutare a risolvere alcuni dei problemi più pressanti del mondo, ovvero la perdita di foreste, il riscaldamento globale e la dipendenza dai combustibili fossili (petrolio, carbone e gas).

L’argomento utilizzato dalle imprese è che le piantagioni favoriranno il “ripristino delle foreste” che possono servire come “soluzione” naturale all’emergenza climatica o nella promozione di una “bioeconomia”.

Ma la verità è che le industrie coinvolte vogliono più piantagioni semplicemente per aumentare i loro margini di profitto. Anche altre industrie e inquinatori usano questi speciosi argomenti per nascondere il loro contributo al peggioramento della crisi sociale e ambientale del pianeta.

In questa pubblicazione, il WRM mira ad allertare i gruppi di comunità e gli attivisti su una nuova ondata di espansione delle piantagioni industriali di alberi guidata dalle imprese. Rivela anche perché piantare alberi su così vasta scala può essere estremamente dannoso, nonostante le seducenti campagne di marketing secondo cui queste piantagioni saranno o potrebbero essere una “soluzione” alla crisi climatica.

Particolarmente importante è la lezione appresa dalle lotte portate avanti negli ultimi decenni, in tutto il mondo, per fermare le piantagioni industriali di alberi: è molto meglio evitare che le piantagioni si stabiliscano in un determinato luogo piuttosto che cercare di fermarle una volta che gli alberi hanno messo radici.

E’ ora di rafforzare le organizzazioni sociali, di unire le forze e adottare misure dirette per tagliare alla radice i piani di espansione di questa industria. Se così non sarà si perderanno ancora più terre comunitarie e si distruggeranno i mezzi di sussistenza dei piccoli agricoltori.

Al fine di stimolare dibattiti e riflessioni sui problemi correlati alle piantagioni industriali di alberi, questa pubblicazione include domande suggerite alla fine di ogni sezione. Le note alla fine del testo si riferiscono ad una lista di fonti e di suggerimenti per ulteriori letture.

1. – Cosa sono le piantagioni industriali di alberi?

Ovunque vediamo una vasta piantagione di alberi, che sia in Brasile, in Tanzania o in Indonesia, c’è qualcosa che colpisce molto: sembrano tutti simili, anche se gli alberi piantati o il paese sono diversi. Perché?

La ragione è che tutte le imprese hanno aderito ad un unico modello di piantagione che garantisce la massima produttività possibile e, pertanto, i massimi profitti possibili. Il modello in sé è stato sviluppato circa 200 anni fa in Europa e si basa su quanto segue:

piantare alberi su vasta scala. Ciò significa coprire centinaia o migliaia di ettari con la stessa varietà di alberi, insieme ad attività meccanizzate che spesso utilizzano macchinari pesanti per la piantagione e la raccolta;

piantare sempre file su file di una sola specie arborea, ossia a monocoltura, per ridurre i costi e aumentare ulteriormente produttività e profitti; nelle monocolture si usano quasi sempre fertilizzanti chimici e pesticidi;

selezionare terreni fertili e per lo più pianeggianti, con sufficienti risorse idriche/precipitazioni per garantire un’alta produttività;

selezionare zone dove i titoli o gli atti di proprietà della terra delle comunità locali sono per la maggior parte incerti, vulnerabili, o non sono riconosciute dallo Stato e/o dove il governo può facilitare lo sgombero delle comunità o il sequestro delle loro terre su richiesta di una impresa.

Sulla base di questo modello, una grande ondata di espansione di monocolture su larga scala ha travolto il Sud Globale tra gli anni ’60 e ’70, in paesi situati in America Latina, Africa e Asia. L’eucalipto, il pino, l’acacia, il tek e il caucciù sono state le specie più utilizzate in queste piantagioni industriali. (1)

Perché si utilizzano le monocolture di alberi?

L’espansione delle piantagioni si è prodotta contemporaneamente all’aumento del consumo dei prodotti delle piantagioni come la carta dalla cellulosa, i pneumatici per automobile prodotti a partire dal caucciù e numerosi prodotti dal legno. Tutti questi prodotti si consumano soprattutto nei centri urbani, in paesi industrializzati di Europa e Nord America che hanno livelli di consumo elevati rispetto al resto del mondo. Gran parte di questo consumo è stato incoraggiato dalla stessa industria.

Generalmente le piantagioni di alberi nel Sud Globale hanno l’obiettivo di fornire prodotti ai mercati di esportazione. Le imprese del Nord Globale avevano capito che potevano aumentare considerevolmente i profitti stabilendo le loro piantagioni e fabbriche di cellulosa nel Sud globale, attratte da sussidi e incentivi governativi, una forza lavoro molto più economica, terreni fertili e a basso costo. Ma forse la cosa più importante è la presenza di un clima favorevole e quindi una produzione di legno per ettaro molto più alta che nei loro paesi d’origine, come la Finlandia o la Svezia.

L’industria della cellulosa e la carta

C’è stato un tempo in cui il consumo di carta era basso. La carta si usava soprattutto per fare libri e altri materiali per la stampa. Tuttavia, a partire dagli anni ’60 in poi, la stessa industria della carta iniziò a generare una domanda sempre più alta, portando a una grande espansione del consumo globale. Attualmente la maggior parte degli eucalipti piantati nel Sud Globale sono utilizzati per fabbricare prodotti usa e getta (imballaggi, carta tissue e carta igienica), consumati da una minoranza della popolazione mondiale dei paesi industrializzati e nei centri urbani di altri luoghi.

Domande per dibattere

Se un’azienda inizia a piantare alberi a monocultura, come descritto in questo capitolo, quali problemi potrebbero sorgere per le comunità che da quel territorio dipendono per il proprio sostentamento?

2. – Problemi causati dalle monocolture di alberi su vasta scala

Siamo nati qui, cresciuti qui e abbiamo vissuto qui molto tempo prima che arrivasse questa impresa. Sono arrivati (…), hanno invaso il nostro territorio e piantato eucalipti, persino vicino al fiume Caraìva, vicino al villaggio di Barra Velha, dove vivo con mio marito e i miei figli (….) Questa impresa [Veracel] sta seminando la discordia tra la nostra gente; alcuni capi hanno accettato denaro per mettersi contro di noi. Questi capi stanno vendendo i diritti dei nostri figli, nipoti e bisnipoti, e non è giusto. Per noi Veracel rappresenta il potere del male”

Marlene, donna indigena del popolo Pataxo’, Brasile, 2008. Fonte: Gonçalves, I., Overbeek, W., 2008. Violações socioambientais promovidas pela Veracel Celulose, propriedade da Stora Enso e Aracruz Celulose. CEPEDES, Eunápolis.

Quelli che vengono da fuori molestano le donne che escono di casa, e succede tutti i giorni. Non possiamo camminare da sole. Per noi donne le piantagioni di eucalipto hanno portato una situazione di paura, violenza e molestie sessuali”.

Contadina del Rio Grande Do Sul, Brasile, 2008. Fonte: WRM, 2009. Women raise their voices against tree plantations: Testimonies from Brazil, Nigeria and Papua New Guinea. Video. Disponibile (in inglese e francese) su: https://wrm.org.uy/es/?p=3231

Dissi all’autista del bulldozer di non deforestare la mia terra e lui si fermò. Il giorno dopo andai a controllare come era la situazione, tutta la mia terra era completamente scomparsa. Andai dalla compagnia a lamentarmi e mi dissero che non sapevano dove fosse la mia terra”.

Contadino della provincia di Ratanakiri, Cambogia. Descrive come hanno perso le loro terre per mano della compagnia di caucciù HAGL

Senza foresta e terra da coltivare moriremo di fame”. Capo del villaggio che vive vicino una piantagione di caucciù in Cambogia.

Perdere la foresta è come perdere la vita”. Anziano di un villaggio in Cambogia

Quando c’era la selva c’era cibo in abbondanza (…). Ora non c’è più e la vita è difficile”. Anziana che vive vicino una concessione di caucciù in Laos.

Fonte: Global Witness, 2013, Rubber barons.

Nella mia comunità ci siamo resi conto che le piantagioni di pino erano velenose per le nostre piante native. Stavano avvelenando lo strato di paglia che è come un materasso ad acqua e gli alberi di pino stavano prosciugando le pozze d’acqua (…). Per questo più o meno otto fa la Pachamama [la Madre Terra] non ha voluto più che ci fossero piantagioni di pino e circa 70 ettari sono andati a fuoco. Dopo un po’ di tempo un altro incendio ha bruciato il resto. Ora vediamo che nelle pozze sta tornando l’acqua”.

Josefina Lema, comunit di Mojandita de Avelino Ávila, Ecuador. L’impresa Face-Profafor ha piantato miglia di ettari di pino con l’obiettivo di assorbire anidride carbonica per una presunta “compensazione” delle emissioni generate da un centrale termoelettrica costruita nei Paesi Bassi. Fonte: Boletìn del WRM, 2015. Josefina e la pozza d’acqua contro le piantagioni negli altopiani dell’Ecuador.
Disponibile su: https://wrm.org.uy/es/?p=8411

Prima dovevamo affrontare la siccità o altri elementi naturali ma ora, oltre a tutto questo, abbiamo il Green [Resources] quale problema aggiuntivo nella nostra lotta per la sopravvivenza. Prima producevamo mais, fagioli, manioca, verdure, ora ci è rimasta solo la manioca perché la terra non è più adatta a piantare altre colture. I nostri bambini mostrano segni di malnutrizione perché mangiano solo manioca tre volte al giorno, se non riusciamo a venderla per comprare mais”.
Victorino, membro della comunità di Lancheque, Ribàué, Mozambico, 2016. La sua comunità è danneggiata dalle piantagioni di eucalipto dell’impresa Green Resources. Fonte: Lexterra, Ja! e UNAC,2016. Il progresso delle piantagioni forestali sui territori degli agricoltori nel corridoio di Nacala: il caso di Green Resources Mozambico.
Disponibile in inglese e portoghese su: https://wrm.org.uy/es/?p=10581

Ovunque siano state stabilite monocolture su larga scala, le comunità hanno subito impatti negativi:

– le aziende invadono i terreni agricoli più fertili e distruggono lo strato superiore del suolo di foreste, praterie e savane;

– le imprese promuovono la deforestazione e rimpiazzano le aree forestali con piantagioni;

– le imprese creano pochissimi posti di lavoro rispetto a quanto promesso, il lavoro offerto ai membri della comunità locale è a salari bassi, in condizioni precarie e comprende attività pericolose come l’applicazione di pesticidi;

– in particolare le donne subiscono danni quando le piantagioni interferiscono con la loro capacità di produrre alimenti; molte donne sono state anche vittime di molestie, abusi sessuali e violenze;

– una volta che le piantagioni industriali si sono stabilite, le fonti d’acqua si impoveriscono o sono contaminate dai pesticidi;

– la presenza di guardie di sicurezza spesso compromette seriamente la libertà di movimento della comunità locale. I membri della comunità sono spesso perseguitati, controllati e subiscono restrizioni nei loro spostamenti quotidiani.

La resistenza alle piantagioni di alberi su vasta scala

Fin dalla sua apparizione, questo modello di piantagioni industriali è stato motivo di conflitto tra le comunità che vivono dentro e nei dintorni delle piantagioni. Tuttavia, le comunità e i gruppi che le sostengono hanno gradualmente iniziato a documentare e denunciare i numerosi impatti negativi che hanno sperimentato. Questi problemi sono diventati più visibili negli anni ’80 e ’90 quando i problemi ambientali, come la deforestazione e l’inquinamento industriale, sono diventati motivo di preoccupazione pubblica.

Come risultato, alcuni governi hanno iniziato a mettere in pratica e a rafforzare leggi ambientali per obbligare le aziende a ridurre i loro livelli di inquinamento e distruzione. Tuttavia, le compagnie delle piantagioni commerciali hanno mantenuto il loro modello e hanno continuato ad espandersi, anche se pienamente consapevoli che era il modello stesso la causa principale dei problemi associati alle piantagioni di alberi a monocoltura su vasta scala.
Come le imprese di piantagioni stanno tentando di contrastare la loro immagine negativa

Quando gli impatti dannosi delle piantagioni su larga scala diventano chiaramente visibili, colpiscono la reputazione commerciale dei loro proprietari. In risposta, e a partire dagli anni ’90, le stesse imprese hanno cercato di crearsi un’immagine diversa e più positiva. Sostenendo che le piantagioni industriali possono essere gestite in modo socialmente e ambientalmente responsabile, le compagnie vogliono assicurarsi che le banche continuino a concedere loro i crediti necessari per espandere le loro piantagioni e che i consumatori continuino a comprare i loro prodotti. Alcune aziende hanno persino unito le forze con ONG conservazioniste, con consulenti, accademici e istituzioni governative per discutere come le piantagioni industriali di alberi possano essere presentate come qualcosa di positivo, sostenibile e accettabile per il pubblico e per gli investitori.

Di seguito le iniziative più rilevanti in cui le aziende di piantagione sono state coinvolte a partire dagli anni ’90:

Il Consiglio per la gestione delle foreste – Forest Stewardship Council (FSC) (2), creato nel 1993. L’FSC rilascia un timbro se una impresa dimostra di aver realizzato la cosiddetta “gestione sostenibile delle foreste” nelle sue attività di taglio del legno. Dal 1996 l’FSC ha anche permesso l’utilizzo dello stesso timbro per le piantagioni industriali di alberi. Il timbro viene presentato ai consumatori come garanzia che le imprese hanno gestito le attività nelle piantagioni in modo tale da farne beneficiare le economie locali, che i lavoratori sono trattati bene e che le attività realizzate non sono dannose per l’ambiente. Prima di ricevere il timbro, l’impresa di piantagione interessata ingaggia una società di revisione per valutare se le sue attività sono conformi ai principi e ai criteri sociali, ambientali ed economici del FSC. Come previsto, il timbro FSC ha dimostrato di essere un successo per le imprese. In molti casi lo hanno ricevuto nonostante che i documenti mostrassero l’illegalità dei loro titoli di proprietà sulla terra o che l’impresa era coinvolta in conflitti con le comunità locali. In pochissimi casi l’FSC ha deciso di non certificare o ritirare la certificazione rilasciata ad una impresa (3). La maggior parte delle principali imprese di piantagioni nel mondo sono state certificate dall’FSC, comprese l’International Paper, UPM, Stora Enso e Suzano.

The Forest Dialogue (TFD) (4), creata nel 1998. Tra i membri del comitato direttivo figurano alcune delle principali imprese di piantagioni come Stora Enso, CPMC, Sappi e The Navigator Company. Il TFD realizza incontri con imprese, ong ambientaliste e accademici in quelle regioni dove si pratica la monocoltura su vasta scala. Si tratta di eventi centrati su questioni ritenute importanti, come il lancio di possibili nuovi prodotti per i quali sarebbero necessarie più piantagioni. Generalmente cercano di coinvolgere in queste riunione anche le organizzazioni e/o i membri della comunità, argomentando che possono contribuire a generare fiducia tra imprese e comunità, o anche che possono aiutare a risolvere qualsiasi conflitto esistente. Questo, ovviamente, non tiene in conto l’evidente squilibrio di poteri che esiste tra i diversi attori.

La piattaforma NGP – New Generation Plantantions / Impianti di Nuova Generazione (5) è stata lanciata nel 2007 dal WWF, una delle più grandi ong conservazionista al mondo. La maggior parte dei partecipanti alla NGP sono grandi compagnie internazionali di piantagioni come UPM, Suzano e Mondi. La piattaforma afferma che le piantagioni possono aiutare a ridurre la distruzione delle foreste e, pertanto, proteggerle meglio. La NGP organizza viaggi di studio, laboratori e conferenze per promuovere le piantagioni industriali di alberi. Secondo il WWF e sodali, tra il 2015 e il 2050 il mondo avrà bisogno di altri 250 milioni di ettari di questo tipo di piantagioni per soddisfare il previsto aumento della domanda (6). Questo significherebbe trasformare una superficie delle dimensioni di Ghana, Costa d’Avorio e Togo in una estesa piantagione di monocultura 7.

Domande per dibattere

Cosa hanno in comune le iniziative del FSC, TFD e NGP?

Queste e altre iniziative suggeriscono quello che definiscono un “dialogo” tra aziende e comunità. Conosci qualche esempio in cui un tale dialogo ha risolto un conflitto? O, al contrario, dove ha peggiorato la situazione delle comunità colpite da queste piantagioni?
(1. Continua)

*Traduzione in italiano di Marina Zenobio per Ecor.Network.


(*) Qui la versione originale in spagnolo del dossier:

¿Qué hay de malo en plantar árboles? El nuevo impulso para expandir las plantaciones industriales
de árboles en el Sur Global

Winfridus Overbeek, con la colaboración del equipo del Secretariado Internacional del WRM.
Movimiento Mundial por los Bosques Tropicales, Febrero 2020 – 33 pp.

Download:  


NOTE :

1 Sebbene per il WRM le piantagioni industriali di palma da olio sono piantagioni di alberi, in questa pubblicazione non sono prese in considerazione, anche se si stanno espandendo e con nuovi scopi come la generazione di carburante per veicoli o di energia elettrica. La ragione principale per non includere tali piantagioni in questa pubblicazione è che sono ancora considerate, secondo la maggior parte delle definizioni internazionali e nazionali, una coltura agricola e quindi generalmente non incluse nei programmi nazionali e internazionali di “ripristino delle foreste”, “riforestazione”, “foreste piantate” o “foreste di piantagione”. Per ulteriori informazioni sulle piantagioni industriali di palma da olio e i suoi impatti, visita la pagina web del WRM. http://wrm.org.uy/es

2 Pagina web del FSC su https://fsc.org/es

3 Letture complementari: per ulteriori informazioni sul FSC e i problemi con il processo di certificazione, leggi questo articolo su come il procedimento di risoluzione delle controversie per la certificazione FSC non funziona per le comunità: “Continua il maquillage verde: FSC certifica le piantagioni di alberi industriali come foreste e la RSPO le piantagioni di palma da olio come sostenibili”. Boletín 233 del WRM, 2017. Disponibile su https://wrm.org.uy/es/?p=13327 E per scoprire come una impresa di piantagioni ottiene la certificazione, anche quando le sue attività hanno causato notevoli impatti negativi, si veda il documentario in inglese “Sustainable on Paper”, realizzato da due giornalisti belgi, che racconta la storia dell’impresa Varacel Celulose in Brasile https://wrm.org.uy/?p=1657

4 Pagina web The Forest Dialogue, https://theforestsdialogue.org

5 Pagina web del New Generation Plantations Platform https://newgenerationplantations.org/es/

6 Rapporto 2012 del WWF. Forest and Wood Products. Capitolo 4. Disponibile in inglese su https://bit.ly/2Ger9e8 e https://newgenerationplantations.org/

7 Letture complementari: Rifiuto dell’iniziativa del WWF: Progetto di piantagioni di nuova generazione. Red Latinoamericana contro la monocoltura degli alberi. (RECOMA), 2011. Disponibile su https://wrm.org.uy/es/?p=2310

 

alexik

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