«Chiamami con il tuo nome» e «Tre manifesti a Ebbing in Missouri»

Le riflessioni di Valentina Bazzarin

Sono finalmente riuscita a vedere «Chiamami con il tuo nome» di Luca Guadagnino. e devo dire che – anche se forse non si tratta di un capolavoro – è un film di ottima fattura, come pochi. Interpreti, dialoghi, ambientazioni, costumi, tempi, colonna sonora sono in perfetto equilibrio. Lo spettatore è dentro la scena, è in quella antica villa della Lombardia a respirare la polvere dei libri, ad annoiarsi con i protagonisti, a scoprire l’acqua gelata di una sorgente o a pedalare faticosamente sotto il sole. 

Allora perché si fatica a “chiamarlo con il suo nome” e a definirlo capolavoro? Forse perché obbligandoti a guardare la parabola di un amore e ad accettarne la possibilità non ti aiuta a sognare ma ti tiene con entrambi i piedi nella sua normalità. Penso che questo disturbi chi vanno al cinema per “evadere”. Non ha disturbato me perché in questa fase della mia vita affronto film e il libri per riconoscermi nei protagonisti, per sentirmi chiamata in ogni storia con il mio nome.

Ho recuperato anche la visione di «Tre manifesti a Ebbing in Missouri» di Martin McDonagh. Scrivo a caldo le mie impressioni ma con un’avvertenza: domani potrei aver cambiato idea su tutto, quindi non prendetevela se voi avete pianto guardando le scene centrali del film e io invece sono rimasta impassibile (come mi è stato fatto notare da chi era seduto in lacrime attorno a me…).

Il film secondo me é uscito al momento giusto ed è un prodotto per il pubblico statunitense. Potrebbe non segnare altrettanto in profondità gli spettatori più esigenti nel cercare profondità nei personaggi o più educati all’immagine di una regia che aiuti a cogliere i dettagli. In questo film i dettagli sembrano non essere rilevanti: è tutto molto netto, ruvido, anche lo spostamento della linea che divide – come in quasi ogni narrazione o produzione artistica statunitense – i buoni dai cattivi. La riuscita dell’operazione è quasi totalmente affidata ai grandi manifesti, all’orizzontalità dei paesaggi e alla solidità delle interpretazioni da parte di grandi attori protagonisti e sostenuti da un buon cast. Tutte le nomination ricevute sono ampiamente meritate. È un film che racconta rabbia, frustrazione, violenza e il senso di giustizia – tipico ma allo stesso tempo vago o forse “relativo” – degli abitanti delle contee degli stati del Sud. Ho la sensazione che questo film sia l’equivalente del romanzo di formazione di una comunità. Un racconto corale sull’acquisire maturità e consapevolezza attraverso il conflitto fra opposti. La scena che porto con me come significativa è quella del dialogo/monologo fra la ciabatta destra e sinistra a forma di coniglietti. L’unica scena che forse interrompe la coerenza del ritmo narrativo facendoci capire che non solo la comunità di Ebbing ma ciascuno dei suoi abitanti sta affrontando un passaggio, uno scatto della crescita.

«Tre manifesti…» è un film necessario per capire l’attualità ma non suggerisce soluzioni né aiuta ad andare oltre l’analisi di fase. C’è una frase, pronunciata da uno dei personaggi secondari, che descrive bene il mio stato d’animo dopo la visione: «difficile capire cosa fare della tua giornata quando tuo marito è appena morto improvvisamente». 

E voi che ne avete pensato? Cosa vi ha raccontato, risvegliato, incuriosito in questo film?

Valentina Bazzarin
Valentina Bazzarin lavora stabilmente come ricercatrice precaria (assegnista) all'Università di Bologna sin dal 2009, anno in cui ha ottenuto il Dottorato in Psicologia Generale e Clinica. Collabora in maniera saltuaria con la Bottega e con il Barbieri, scrivendo e descrivendo quel che vede e pensa durante i suoi numerosi viaggi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *