Ci manca(va) un Venerdì – 28

Quando Mark Twain inizia a giocare… l’astrofilosofo Fabrizio Melodia gliele suona con Caparezza e già che c’è saccheggia Chuck Palahniuk

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«La civiltà è un illimitato moltiplicarsi di necessità innecessarie» scriveva un tipo perfido che, per inciso, fu anche uno dei maggiori scrittori americani di tutti i tempi: Samuel Langhorn Clemens, in arte Mark Twain, pseudonimo che si riallaccia probabilmente ai suoi trascorsi come battelliere sul Missisippi («By the mark, twain», ovvero “Dal segno, due”, sottinteso “tese”, cioè la profondità di sicurezza per la navigazione).
Finissimo umorista, implacabile critico sociale, sbeffeggiatore del boia Leopoldo ma anche della bandiera del suo Paese (la ridisegnò con i teschi al posto delle stelle), avverso al razzismo, schierato contro lo strapotere degli imprenditori statunitensi. Nonché – molti anni dopo – agente speciale nella base di “Altrove” (mitico centro fantascientifico di studi sul paranormale, come sanno bene i lettori del fumetto «
Martin Mystère»): un ruolo che in qualche modo gli si confà visto che si era interessato alla parapsicologia per avere sognato la morte del fratello di cui non si sarebbe mai perdonato. Nella veste di agente speciale a fumetti Twain si è oltremodo distinto, insieme al giovanissimo amico e non ancora famoso scrittore Jack London, per avere aiutato il capitano Jean Luc Picard a respingere una minaccia di vampiri alieni e aver fatto recapitare nel XXIV secolo la testa di Data sepolta in una miniera di San Francisco.
Lasciando il Mark Twain di “Altrove” e tornando qui, nel cosiddetto mondo reale, lo scrittore fu molto sfortunato in vita, sia dal punto di vista familiare che economico, ma seppe sempre mantenere uno sguardo lucido e l’atteggiamento da coraggioso avventuriero che lo aveva contraddistinto, che è bene espresso nel celebre romanzo picaresco «
Le avventure di Huckleberry Finn» e nel suo seguito «Le avventure di Tom Sawyer». Fra i suoi doni anche la fantascienza umoristica del celebre «Un americano alla corte di Re Artù», dura satira sull’arroganza del progresso e sul pragmatismo “americano”.
In effetti la considerazione di partenza – molto citata in rete – non sarebbe sbagliata ma un po’ di contestualizzazione non guasta. Il capitalismo vive del consumo e del commercio, un’entità chiara e distinta chiamata Mercato, la cui linfa vitale è il profitto, il motore propulsivo è il progresso (fra virgolette se preferite) con la religione dell’andare sempre avanti cioè produrre a ciclo continuo senza mai fermarsi a riflettere sulle conseguenze.
«Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi» si inquietava l’economista John Maynard Keynes.
In effetti Twain e Keynes sono sulla stessa lunghezza d’onda. Il capitalismo produce bene non necessari che alla fine, dopo l’uso, vanno nell’immondezzaio a vantaggio di nuovi prodotti che sono migliorie o anche peggioramenti dei precedenti , ben venduti attraverso il
deus ex machina della pubblicità che con il suo martellare crea una etica e una visione del mondo.
Non per nulla, la pubblicità è il modo migliore per il controllo delle masse: essa determina, abbassando l’attenzione e l’intelligenza delle persone a livello di brevissimo spot, il totale annullamento del pensiero critico e l’avvento della società del marketing, di cui tutte/i, dopo un determinato periodo storico di crisi, siamo figlie e figli.
La pubblicità tutto determina, tutto controlla: pensiero, denaro, profitti, gusti, usanze sociali fino ai partiti politici.

A uno sguardo veloce può sembrare che Marx avesse torto: il capitalismo non stava affatto morendo, si stava trasformando, esattamente come i virus mutano in un ceppo diverso per resistere ai cambiamenti climatici o alle terapie aggressive. Ma questo è solo l’accenno a un discorso che merita…. qualche venerdì.
La pubblicità spinge molte/i ad affannarsi per automobili e vestiti di cui non hanno bisogno. «Intere generazioni hanno svolto lavori che detestavano solo per comperare cose di cui non hanno veramente bisogno» sintetizza lo scrittore Chuck Palahniuk nel bellissimo romanzo «
Fight Club».
La proliferazione degli oggetti inutili è paragonabile dunque al proliferare dei germi e dei batteri, come per le “incontrollabili” cellule tumorali. In sostanza il capitalismo è un cancro che non uccide ma fa soffrire molto ed esige il sorriso sulle labbra.
Produzione e consumo di oggetti inutili, proliferazione incontrollata di fame senza nessuna necessità storica. Veniamo spinti a volere sempre di più, senza mai essere saziati. Gli oggetti ci posseggono. «La merce è entrata nei polmoni» cantava negli anni ’70 Gianfranco Manfredi (“il fumettaro, lo scrittore o il docente?” chiederà qualcuno. “Tutti e tre” è la risposta).
L’entropia potrebbe necessitare di un corollario di questo tipo: «La pubblicità oggi sembra basarsi sull’avanzatissimo principio secondo il quale la più piccola unità modulare, se ripetuta in modo rumoroso e ridondante, finirà gradatamente per imporsi. Il principio del rumore viene spinto così fino al livello della persuasione, e ciò corrisponde di fatto alle tecniche del lavaggio del cervello»: così rifletteva Marshall McLuhan.
Ora la pubblicità si è dematerializzata nell’immenso oceano infinito di bit e informazioni che è Internet (nata non casualmente, in ambito militare) espandendosi fino all’osmosi di tutto e di tutti. Come nel film «
Blob».
Una vera e propria intelligenza artificiale che corrisponde ai criteri spinoziani per definire Dio («Ciò che è in sé, che si genera per mezzo di sè e non ha bisogno di altro per esistere») essa divora anche il capitalismo e le sue strutture sociali, fino ad appiattirli a vaga icona massmediatica, verso una dematerializzazione totale, totale annullamento della coscienza. O suicidio di massa.
Se non lo fermiamo,
se non ci fermiamo… quando non ci sarà altro da produrre, da comprare, da consumare, quando ogni risorsa sarà esaurita e la bestia umana avrà sbranato anche l’ultimo proprio simile, si sentiranno ancora da lontano gli ultimi jingle pubblicitari, magari l’ultimo smartphone in perenne fase di aggiornamento. Ma noi non ci saremo
Concludo con il grande rapper Caparezza: «Abbiamo un piano con un punto cardine: trasformare i consigli per gli acquisti in un ordine, affossando i programmi di qualità perché l’utente intelligente si sa che non ama la pubblicità».
Questo post vi ha depresso? Mi spiace e rimedio subito con una informazione utile: «con i cinque cereali, di Kinder Colazione Più, con quel gusto di cacao, che ci tira un po’ su, puoi partire alla grande anche tu».

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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