Ci manca(va) un Venerdì – 30

Intrufolandosi nelle “guerre” di condominio (e “armato” di G. B. Shaw, Derrida, Gesù, Popper, Helen Keller e Seneca) il noto astrofilosofo Fabrizio Melodia mette in guardia dall’indifferenza che diventa complicità

HelenKeller
«Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te: i loro gusti potrebbero essere diversi» scriveva argutamente George Bernard Shaw ai numerosi lettori della sua rubrica sul giornale.
Una massima che molto spesso i nostri cari abitanti degli agglomerati urbani, meglio noti come condominii, dovrebbero seguire in modo pressochè pedissequo.
Ogni anno, secondo i dati Istat, più di 2 milioni di cittadini italiani ricorrono al giudizio legale per le controversie in ambito condominiale, per i più svariati motivi, fra i quali, ai primi posti, si pongono intolleranza ai rumori e agli odori, uso improprio delle aree pubbliche e del cortile, innaffiamento molesto di piante sui balconi, il rapporto con gli animali domestici, tovaglie sbattute fuori, mozziconi di sigaretta gettati alla rinfusa e bucato gocciolante.
Ormai è fuori di dubbio che gli italiani siano poco tolleranti e negli edifici condominiali la troppa vicinanza – una sensazione probabilmente di “gabbia”, con le persone troppo attaccate – provoca “soffocamento” e quindi reazioni inconsulte.
E’ stato notato, in un esperimento quasi casuale, che in una gabbia molto piena i topi, arrivano a sbranarsi a vicenda per impedire l’eccessiva proliferazione: potrebbe essere un istinto simile a renderci intolleranti?
Purtroppo tale comportamento si propaga anche alle abitazioni singole, nonostante vi siano campi coltivati in mezzo: solo grazie a sentenze risalenti al secolo scorso, si riesce a risolvere con notevole rapidità le controversie altrimenti insanabili tra confinanti di campo, in cui avidità e territorialità giocano un ruolo determinante.
In sostanza siamo persone ben poco propense alla bontà e alla solidarietà, nonostante le associazioni a favore di questa o quella causa umanitaria e nonostante una certi cristiani sostengano che la loro fede non è bellicosa. In effetti: «Ἐντολὴν καινὴν δίδωμι ὑμῖν, ἵνα ἀγαπᾶτε ἀλλήλους, καθὼς ἠγάπησα ὑμᾶς ἵνα καὶ ὑμεῖς ἀγαπᾶτε ἀλλήλους» ovvero «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (traduzione mia direttamente dal testo nel Vangelo secondo Giovanni, XIII, 34).
Il greco antico ha molte più sfumature del latino, e nel verbo dell’amore trova termini appositi, come “agape”, l’amore nel senso dell’aver caro qualcuno o qualcosa. In tal senso, se voglio bene, se ho caro, non mi comporto certamente da intollerante, ma mi accosto all’altro nel segno della benevolenza e della solidarietà.
Ma questo comportamento è rilevabile in ben pochi casi; i più sono perfetti crociati, ognuno con la propria guerra santa e princìpi inderogabili da lanciare come granate e missili atomici.
Per fortuna, o per sfortuna, tale comportamento pare mitigato o aumentato dalla farraginosità del sistema giudiziario, con tempi determinati come i 900 giorni del primo grado di giudizio civile che diventano 1200 in terzo grado, per la gioia degli avvocati. I quali osteggiano sempre di più le novità che potrebbero portar via loro guadagni preziosi, come l’introduzione delle risoluzione alternative alle dispute legali: a esempio la mediazione, non per nulla ostacolata fortemente anche a livello politico, come si evince dalle sue vicissitudini (ora tolta, ora mutilata, ora rimessa per evitare sanzioni pesantissime a livello dell’Unione europea). Per una storia della mediazione qui in Italia, rimando alle sedute parlamentari riguardante la legge che la sancisce a livello civile promulgata nel 2008 e ratificata nel 2010, prima di essere cancellata dal governo Berlusconi e ripristinata sotto l’attuale governo Renzi: sono trascrizioni reperibili facilmente sul sito del Parlamento Italiano.
Parrebbe quindi che la miglior cosa possa essere quella suggerita da Lucio Anneo Seneca: «Tollera ciò che accade come se avessi voluto che accadesse».
Anche no: «Il più grande risultato dell’educazione è la tolleranza. Tanto tempo fa, gli uomini combattevano e morivano per le loro credenze, ma ci sono volute ere per insegnare loro un altro tipo di coraggio – il coraggio di riconoscere e rispettare le credenze e la coscienza dei loro fratelli. La tolleranza è il principio primo della comunità, è lo spirito che conserva il meglio del pensiero dell’uomo» scrive Helen Keller, scrittrice e attivista socialista americana, sordo-cieca dall’età di 19 mesi (è la bambina del film «Anna dei miracoli», per intenderci).
Sarebbe davvero gran cosa arrivare a un grado di evoluzione tale da permetterci una tolleranza attiva e pacifica tra le persone, non solo a livello di abitazioni e comportamenti, ma anche di opinioni e credenze religiose, su una base che non debba essere la guerra più o meno cruenta.
Eppure razzismi, violenze e guerre sante – molto spesso con il solo Dio Denaro a comandare – sono all’ordine del giorno e si giustificano sistemi basati su idee e filosofie che escludono qualsiasi tipologia di tolleranza e convivenza delle diversità, se non si adattano alla maggioranza (o a una minoranza che si si dichiara tale).
Ecco dunque la precisa esortazione del filosofo Karl Popper: «Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti».
In effetti la tolleranza scompare totalmente quando tutto viene tollerato, a cominciare dai comportamenti maleducati per arrivare ad azioni criminali evidenti e a elusioni della giustizia sempre più infami, sotto gli occhi di tutti ma accettate a larga maggioranza.
Ecco come la tolleranza diventa indifferenza se non addirittura omertà mafiosa, chiudendo gli occhi per non vedere, agendo solo nel proprio interesse, ascoltando solo egoismo e avidità a danno di tutto e tutti.
Il filosofo Jacques Derrida fa arrivare uno spiffero fastidioso a tale proposito: «La tolleranza è innanzitutto carità. […] La tolleranza è sempre la “ragione del più forte”, è un segno della sovranità; è il buon viso della sovranità che, dalla sua altezza, fa capire all’altro: non sei insopportabile, ti lascio un posticino a casa mia, ma non dimenticarlo, sei a casa mia…».
Si pone in luce così la “territorialità” della tolleranza mentre la vera universale accettazione sta nel dialogo attivo e nell’amore: solo in una discussione aperta e sincera si può raggiungere da parte di tutte/i un mondo comune, rendendo in tal modo possibile una pace e una fratellanza duratura, basata sulla tolleranza vera dell’amore reciproco. Pura utopia? Ma io amo sognare.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *