Ci manca(va) un venerdì – 59

 All’ultimo Stadio: perfino l’Astrofilosofo, alias Fabrizio Melodia, deve fare i conti con il festival di Sanremo, praticamente “l’arca di Noè”

CMUVsanremo-stadio

«Un giorno ti dirò / Che ho rinunciato alla mia felicità per te / E tu riderai, riderai, tu riderai di me / Un giorno ti dirò / Che ti volevo bene più di me / E tu riderai, riderai, tu riderai di me / E mi dirai che un padre / Non deve piangere mai» hanno cantato gli Stadio al Festival di SanRemo 2016, vincendo in barba ai tanti pronostici che li volevano ultimi per l’ennesima volta.

Se n’è fatta di strada: dalle note «Grazie dei fior / fra tutti gli altri li ho riconosciuti / mi han fatto male eppure li ho graditi / Son rose rosse e parlano d’amor» dove tutto odora di ricordi e di nostalgia velata, con la speranza nel cuore ma senza certezze, al «Penso che un sogno cosi non ritorni mai più / mi dipingevo le mani e la faccia di blu / poi d’improvviso venivo dal vento rapito / e incominciavo a volare nel cielo infinito» dove, grazie a Domenico Modugno, si faceva la conoscenza di un amore non proprio contemplativo ma potentemente esplosivo e sognante. Ora arrivano gli Stadio con un brano onesto ed emozionante, dove errori, nostalgia e coerenza si fondono bene in una strana alchimia d’altri tempi, qualcosa di talmente profondo e radicato da non essere passato sotto silenzio.

Fra una casetta in Canada con lillà e una barca – o era un’arca di Noè? – che finché va … è meglio lasciarla andare, fra censure e contestazioni (sia vere che false) nel cuore sanremese Luigi Tenco lasciò un segno profondo con un gesto “inconsulto” ma che rivelava al massimo le contraddizioni e il lato oscuro del Bel Paese in pieno boom economico ma con tante persone che il boom lo pagavano a caro prezzo: un modo di fare musica assolutamente popolare e tragicamente poetico: «Andare via lontano / a cercare un altro mondo / dire addio al cortile / andarsene sognando / E poi mille strade grigie come il fumo / in un mondo di luci sentirsi nessuno / Saltare cent’anni in un giorno solo / dai carri dei campi / agli aerei nel cielo / E non capirci niente e aver voglia di tornare da te». Una velata critica alla società del tempo ma un grido d’amore al cuore del mondo che non andò perso, anche se ironicamente premiato dalla morbosità del pubblico il quale in poco tempo esaurì tutte le copie della canzone “macchiata” dal suicidio come atto di protesta del cantautore (*).

Monito che non si perse visto come, anni dopo, una canzone particolare come quella dei Pooh vinse il Festival: «A volte un uomo è da solo perché ha in testa strani tarli / perché ha paura del sesso o per la smania di successo / Per scrivere il romanzo che ha di dentro / perché la vita l’ha già messo al muro / o perché in un mondo falso è un uomo vero». O il grido di chi ancora crede nell’amore nonostante lei sia stata più volte vilipesa e maltrattata;fu questo il canto di Mia Martini al teatro Ariston: «Sai, la gente è strana prima si odia e poi si ama / cambia idea improvvisamente, prima la verità poi mentirà lui / senza serietà, come fosse niente… / sai la gente è matta forse è troppo insoddisfatta / segue il mondo ciecamente / quando la moda cambia, lei pure cambia / continuamente e scioccamente…».

Passò da Sanrremo anche un menestrello in sedia a rotelle come Pierangelo Bertoli che, insieme al gruppo sardo dei Tazenda, cantò: «Tra volti di pietra tra strade di fango /cercando la luna, cercando / danzandoti nella mente / sfiorando tutta la gente / a volte sedendoti accanto / un canto di sponde sicure / di bimbi festanti in un prato / voce che sale più in alto / di un sogno mancato».

E si aggiunse Simone Cristicchi per cantare a modo suo la tragicità della follia e dei manicomi lager, dove i diversi sono pustole purulente di un corpo societario a cui tanto piacerebbe essere sano ma che non lo è: «Io sono come un pianoforte con un tasto rotto / L’accordo dissonante di un’orchestra di ubriachi / E giorno e notte si assomigliano / Nella poca luce che trafigge i vetri opachi / Me la faccio ancora sotto perché ho paura / Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura / Puzza di piscio e segatura / Questa è malattia mentale e non esiste cura».

Per concludere, la rappata del giovanissimo Rocco Hunt, scoperta recente del compianto Pino Daniele, ci desta per bene: «Questa generazione non vi crede / Perché un futuro vero non si vede / Lo Stato non ci sente, specialmente a noi del Sud / Un lavoro manca sempre, per fortuna abbiamo il groove / E anche se sto palazzo mo’ cade a pezzi a’ signor’ vo’ semp’ ‘e sold / E preghiamo ogni giorno sperando ca’ nun se esaurisce a pension’ do’ nonn’ / Ogni giorno che abbiam perso forse non ritornerà / ma in mezzo a tutto sto bordello sento un pezzo che mi fa’… / Cant’ nsiem’ a nuje… wake up guagliù / Zumbe nsiem’ a nuje… wake up guagliù».

(*) C’è chi ancora contesta che Tenco si sia suicidato però non sono emersi indizi che sostengano l’ipotesi di un delitto. Assai discussa anche la morte (non a Sanremo) di Mia Martini a soli 47 anni «in circostanze mai del tutto chiarite» secondo Wikipedia e con le sorelle a smentire sempre l’ipotesi di suicidio; qui in “bottega” – Scordata: 14 maggio 1995 – ne ha scritto proprio Fabrizio Melodia. (db)

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *