Ci manca(va) un venerdì – 66
Gli imprevedibili legami fra Soren Kierkegaard, un certo rapper, i versi e le biciclette vengono qui svelati – in esclusiva – dall’astrofilosofo Fabrizio Melodia
«La vita la si può capire solo all’indietro ma la si vive in avanti» afferma il filosofo Soren Kierkegaard, a cui piaceva vivere pericolosamente. Non era uno che “si accontentava” e le mandava a dire ai filosofi del suo tempo, compreso il mostro sacro Hegel. Laddove Hegel offriva una visione razionalistica e sistematica della vita, dove ogni forza contrapposta trova il suo luogo, spiegazione e sintesi, Kierkegaard affermava che la vita è contraddizione, angoscia e incertezza: l’unico modo di affrontare la vita è un salto in questo abisso d’incertezza, sorretti della forza e dalla speranza.
Inutile fare come gli hegeliani, cioè costruirsi meravigliosi e magnificenti castelli della Ragione, per poi andare ad abitare nei suoi fienili, affermando un vacuo “tutto andrà bene”. Meglio un salto vitale sorretti dalla fede e dalla forza interiore.
Il rapper J-Ax pare – non ci è dato sapere quanto coscientemente – aver compreso bene questa leggera follia kierkegaardiana: «La vita e la bici hanno lo stesso principio, devi continuare a muoverti per stare in equilibrio».
Da ciclista pendolare, che usa la bici come mezzo di locomozione per arrivare sul posto di lavoro, mi trovo particolarmente concorde: spesso per la strada si presentano incertezze notevoli, come blocchi stradali o ingorghi vari con cornamuse di strombazzamenti degli automobilisti inferociti… L’unico modo per uscirne vivi è guardarsi indietro e vivere avanti, magari aggirando “il blocco” attraverso una strada laterale.
Altre volte, i ricordi diventano bagagli troppo pesanti per continuare a “pedalare”; si scende dalla bici e si prosegue a piedi, magari appoggiando su essa il peso opprimente: non una soluzione ma perlomeno un sollievo momentaneo.
Spesso si scaricano il fanale anteriore e quello posteriore, riducendo la capacità di vedere avanti e la possibilità di essere visti da coloro che attraversano distrattamente le strade asfaltate, ai bordi delle quali solitamente si pedala, cercando di non finire investiti o di non cadere nei fossati al lato del ciglio.
Necessario dunque saper guardare indietro, magari con il solo aiuto della “coda dell’occhio” proseguendo nella quasi oscurità: «Ciò di cui ho veramente bisogno è chiarire nella mia mente ciò che devo fare, non ciò che devo conoscere, pur considerando che il conoscere deve precedere ogni azione. La cosa importante è capire a che cosa sono destinato, scorgere ciò che la Divinità vuole che io faccia; il punto è trovare la verità che è vera per me, trovare l’idea per la quale sono pronto a vivere e a morire».
Non facile trovare qualcosa per cui davvero “sono disposto a vivere e a morire”: si chiama ragione e senso della propria vita e siamo chiamati noi a farlo, senza trovarlo all’esterno, in qualche Dio o Senso Altro Da sé. Siamo i responsabili del nostro destino.
Ci viene in aiuto Walt Whitman: «Ahimè, ahi vita! domande come queste mi perseguono, | d’infiniti cortei d’infedeli, città gremite di stolti, | io che sempre rimprovero me stesso (perché chi più stolto di me, chi di me più infedele?) | d’occhi che invano anelano la luce, scopi meschini, lotta rinnovata ognora, | dagli infelici risultati di tutto, le sordide folle anfananti, che in giro mi vedo, | degli anni inutili e vacui degli altri, e io che m’intreccio con gli altri, | la domanda, ahimè, che così triste mi persegue, – Che v’è di buono in tutto questo, o Vita, ahimè? | RISPOSTA | Che tu sei qui – che esistono la vita e l’individuo, | che il potente spettacolo continua, e che tu puoi contribuirvi con un tuo verso».