Ci manca(va) un venerdì – 74

Bobbio, Elwyn Brooks White, Cesare Pavese e ovviamente Nietzsche: girovagando con Fabrizio “Astrofilosofo” Melodia fra labirinti, ritorni, la morte e qualche diavolo tentatore

FabrizioCMUC-falsaLibertà

«Chi entra in un labirinto sa che esiste una via d’uscita, ma non sa quale delle molte vie che gli si aprono innanzi di volta in volta vi conduca. Procede a tentoni. Quando trova una via bloccata torna indietro e ne prende un’altra. Talora la via che sembra più facile non è la più giusta; talora, quando crede di essere più vicino alla meta, ne è più lontano, e basta un passo falso per tornare al punto di partenza. Bisogna avere molta pazienza, non lasciarsi mai illudere dalle apparenze, fare – come si dice – un passo per volta, e di fronte ai bivi, quando non si è in grado di calcolare la ragione della scelta, ma si è costretti a rischiare, essere sempre pronti a tornare indietro»: così scriveva il filosofo, giurista, politologo e storico Norberto Bobbio, nella sua emblematica «Autobiografia».

Il ritorno, per chi si addentra nei meandri della realtà senza bussola e mappa geografica, è quasi un dovere di salvezza. Tutti quanti siamo gettati in questo mondo, o in altri, senza le istruzioni per l’uso; tanto meno senza la certezza di come distinguere nettamente ciò che è “bene” da ciò che è “male”: spesso aggressivi, chiusi e sospettosi verso l’ignoto, che per definizione ci appare oscuro e inconoscibile.

A questo mira dunque la pratica filosofica: a donare un metodo che permetta di tracciare con sicurezza i confini di questa o di quell’altra realtà, dato che disgraziatamente la medesima pratica di pensiero e verifica conduce verso l’inevitabile scoperta della molteplicità dei mondi e degli universi. E’ un (quasi) dato di fatto che tutti noi siamo chiamati a esperire quando facciamo la conoscenza dei limiti del linguaggio, i quali diventano limiti della conoscenza, in quanto l’attività del conoscere è limitata a ciò che il pensiero è in grado di formulare e dire bene, cioè in modo chiaro e distinto.

Eppure si continua a pensare, a filosofare: poiché tutti siamo in grado di formulare pensieri sensati, ordunque siamo tutti filosofi e quindi siamo tutti chiamati all’appello di vivere la vita, sempre e comunque.

Non è cosa facile – come ho accennato sopra – perché i labirinti delle realtà sono alquanto destabilizzanti e a volte ci si perde senza fare più ritorno; dunque bisogna sempre agganciare un filo dall’entrata in cui ci si avvia per poi avere la possibilità di tornare sui propri passi.

Spesso il filo si spezza, lasciandoci nel mezzo dell’oceano in tempesta, in preda al dolore della perdita e allo spaesamento. Ogni tanto arriva una mano amica a tirarci fuori dall’acqua, altre volte la stessa mano ci aiuta… ad annegare meglio.

Mai come in questi casi, un lutto rende nel migliori dei modi il senso del mio discorso: la perdita di una persona profondamente amata porta a ritrovarsi senza un punto di riferimento sicuro e con la necessità di dover proseguire lungo il cammino, sperando di ritrovare alla fine la meta, il muro dove… sbattere la testa per la gioia di averlo trovato.

Si muore in mille modi, spesso per cupidigia, troppo spesso per incuria personale, altrettanto spesso per mancanze altrui, alcune volte per propria mano; altre ancora, semplicemente, si arriva al capolinea della corda e il gioco termina con il punteggio definitivo delle mete raggiunte e dei labirinti superati, un fantasmagorico videogame dove i Pokemon non hanno poi le facce troppo antipatiche.

In quel momento, la voce prorompente di Friedrich Nietzsche si fa sentire nel modo più opportuno: «Che faresti se un giorno o una notte un demone si introducesse di soppiatto nella tua solitudine più solitaria e ti dicesse: “Questa vita, quale la stai vivendo adesso e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte; e in essa non ci sarà niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro e ogni cosa incredibilmente piccola e grande della tua vita dovrà per te ritornare, e tutto nello stesso ordine e successione – e così pure questo ragno e questo chiaro di luna tra gli alberi, e così anche questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta – e tu con essa, granello di polvere!”. – Non ti getteresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così avrebbe parlato? Oppure hai vissuto una volta un attimo prodigioso, per cui gli diresti: “Tu sei un dio e mai ho sentito una cosa più divina!”? Se questo pensiero acquistasse potere su di te, avrebbe su di te, quale sei, l’effetto di trasformarti e forse di schiacciarti. La domanda di fronte a tutto e ogni cosa: “Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?” graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! O quanto dovresti amare te stesso e la vita per non desiderare nient’altro che quest’ultima eterna conferma e suggello?».

Io direi a quel demonietto dispettoso di tornare da dove è venuto – insomma di “andare al diavolo” – e gli restituirei con disprezzo il biglietto ricevuto oppure sarei disposto a rivivere all’infinito quell’attimo meraviglioso e irripetibile, pur vivendo tutta la restante vita di sofferenza e privazione?

Domanda d-i-f-f-i-c-i-l-i-s-s-i-m-a e la risposta potrebbe far dubitare che non manchi solo qualche venerdì o Venerdì a chi di dovere, ma persino che l’intera settimana risulti introvabile.

Nietzsche ha ben chiara la risposta e la fa pronunciare nientemeno che a Zarathustra: «Avete mai detto Sì a un piacere? Allora, amici miei, avete detto Sì anche a tutta la sofferenza. Tutte le cose sono concatenate, intrecciate, innamorate, – se avete mai voluto l’una volta due volte, se avete mai detto “Tu mi piaci, felicità, soffio, attimo!” allora avete voluto che tutto ritornasse! – tutto di nuovo, tutto in eterno, tutto concatenato, intrecciato, innamorato, oh allora avete amato il mondo, – voi eterni, amatelo in eterno e in ogni tempo: e anche alla sofferenza dite: passa, ma ritorna! Giacché ogni piacere vuole eternità!».

Poiché a me “astrofilosofo” l’eternità piace fino a un certo punto… eppure mi affascina molto; siccome i viaggi nel tempo e del tempo sono una croce e delizia degli Astrofilosofi Riuniti, io consegno a voi l’ardua sentenza, lasciandovi con la chiosa dello scrittore statunitense Elwyn Brooks White: «Pendolare. Uno che si rade e prende il treno, e poi riprende il treno per tornare a radersi». O xse preferite ecco l’eterno ritorno dell’uguale che colpisce ancora e non tradisce, parola di Cesare Pavese: «Tutto è ripetizione, ripercorso, ritorno. Infatti anche la prima è una “seconda volta”».

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

Un commento

  • Ciao astrofilosofo! E’ la prima volta che ti leggo, non so se troverò ancora tuoi scritti, ma volevo dirti complimenti, mi piace molto il tuo pensiero, divergente sintetico analitico creativo e personale. Continua così!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *