Ci manca(va) un venerdì – 76

Sapete la storia dell’astrofilosofo Fabrizio Melodia che un giorno incontra Vincent Van Gogh? In bottega i due sono raggiunti da Edgar Lee Masters, Walt Whitman e Anne Rice…

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«Ciò che desidero, è che tutto sia circolare e che non ci sia, per cosi dire, né inizio né fine nella forma, ma che essa dia, invece, l’idea di un insieme armonioso, quello della vita» scriveva in una lettera al fratello Theo il pittore impressionista Vincent Van Gogh, in uno dei suoi momenti migliori di lucido misticismo.

In effetti la sua ricerca è quanto di più filosofico possa esserci: con il pennello compiva quei passi che quasi tutti i filosofi e artisti prima di lui avevano tentato di trovare, con alterne vicende, ovvero non solo l’idea della vita, di armonia e del Bello di cui ci parla ampiamente il buon Platone, ma anche esprimere nel colore e nelle non forme finite, quel senso infinito della vita che assurge a Senso con la S maiuscola.

Che senso ha vivere? Van Gogh lascia spazio all’esplosione viva dei colori, dotati di una propria anima, a trovare quel Senso del Tutto che ancora non si comprende.

«Dare un significato alla vita può sortire follia, | ma la vita senza significato è la tortura | dell’irrequietezza e del desiderio vago – | è una nave che anela il mare eppure lo teme» scrive il noto poeta statunitense Edgar Lee Masters.

Vivere dunque è imprescindibile dall’angoscia di vivere, vivere è trovarsi “in scasso” con la disarmonia del mondo, vivere è scontrarsi con la bufera e sopravvivere portando le vele a casa o almeno qualche pezzo di legno ancora integro, non divorato dai pesci.

Eppure è tutto qui: quanti di noi vogliono diventare qualcuno, essere protagonisti, distinguersi dagli altri, trovare la propria identità fuori dalla massa, affermarsi, trovare il successo, essere osannati, avere milioni di fans, guadagnare milioni di euro… in sostanza, essere amati?

Eppure, da qualche parte, tutto ciò viene comunque visto come un nulla ancora più totale, ulteriore scacco all’esistenza e alla vera ricerca della strada giusta.

Quanti di noi rimangono sulla riva per paura di gettarsi nel mare della vita, quanti di noi ancora studiano una esistenza, costruiscono la strada da percorrere mattone su mattone, e alla fine arrivano a morirci sopra, accorgendosi alla fine di non aver vissuto nel timore di fare uno sbaglio?

E ancora quanti di noi rimangono bloccati nel non sapere, nel non trovare una propria voce e identità in mezzo al caos del mondo?

Alcuni vivono con questa consapevolezza delle vite possibili/impossibili che sono l’emblema della cieca disperazione; altri ancora sono prigionieri in una vita amorosa che in realtà non è quella che vogliono; altri ancora rimangono invischiati nelle proprie passioni inespresse, nella personale vigliaccheria, “vuoti a perdere” in un gigantesco ingranaggio ricicla rifiuti, dove risultano altri sacchetti della spazzatura da riempire.

Quanti non si considerano semplicemente spazzatura, mentre vedono altri meno dotati di loro che ottengono fama, successo, denaro e soprattutto l’amore incondizionato, la luce delle stelle mediatiche?

Eppure, da qualche parte, la nave – che teme il mare nonostante lo desideri con tutta se stessa – riesce a sentire una voce mai stanca, un pirata dell’infinito, uno scartavetrazebedei mai esausto, una voce che sussurra piano: «Ahimè, ahi vita! domande come queste mi perseguono, | d’infiniti cortei d’infedeli, città gremite di stolti, | io che sempre rimprovero me stesso (perché chi più stolto di me, chi di me più infedele?) | d’occhi che invano anelano la luce, scopi meschini, lotta rinnovata ognora, | dagli infelici risultati di tutto, le sordide folle anfananti, che in giro mi vedo, | degli anni inutili e vacui degli altri, e io che m’intreccio con gli altri, | la domanda, ahimè, che così triste mi persegue – Che v’è di buono in tutto questo, o Vita, ahimè? | RISPOSTA | Che tu sei qui – che esistono la vita e l’individuo, | che il potente spettacolo continua, e che tu puoi contribuirvi con un tuo verso»: così scrive il poeta Walt Whitman, ritornando a quella perfezione imperfetta delle forma tanto espressa da Van Gogh, quel turbine di domande riguardo alla disarmonia del mondo resa armonica dal poeta e dal pittore.

In sostanza poesia, pittura, musica e filosofia non sono branche separate di un diverso sapere ma figlie di un medesimo modo di conoscere e vedere le cose del mondo e le persone… mentre altri si perdono nei dettagli, loro guardano al Tutto, senza troppe teorie sovrastrutturali.

Vorrei concludere con una considerazione della scrittrice americana Anne Rice, quella di «Intervista con il vampiro» tanto per intenderci: «C’è un solo e unico scopo nella vita: testimoniare e comprendere per quanto possibile la complessità del mondo, la sua bellezza, i suoi misteri, i suoi interrogativi. Più si cerca di capire, più s’indaga, e più si apprezza la vita e ci si sente in pace col mondo. È questa la sostanza della vita. Tutto il resto si riduce a vacui passatempi. Se un’attività non si basa sull’amore o sulla conoscenza, non ha alcun valore. […] Ci si può chiedere perché bisogna amare e imparare o perché sarebbe questo lo scopo della vita: voglio dire, come mai è stato deciso fare solo queste cose e con la massima dedizione? Una domanda stupida, non importa perché sia così. È così: lo scopo della vita è amare ed imparare».

Che cosa c’è di più bello e stupido che amare e imparare? Ma soprattutto cosa c’è di più bello e stupido che gettarsi in mare e navigare fra acque tumultuose, tracciando la propria rotta a colpi di versi e di colori nel buio?

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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