Ci manca(va) un venerdì – 83

    Quando l’inverno si avvicina giova un “ripasso” di Stanley Kubrick, specie se il “bignami” è curato e covato da Fabrizio Melodia, noto astrofilosofo

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«Il modo migliore per imparare a fare un film è farne uno» dichiarò Stanley Kubrick, ricordando i propri esordi, dalla fotografia al cinema.

Kubrick è una stella di prima grandezza nel firmamento dell’arte cinematografica, grazie a lui hanno visto la luce «Orizzonti di gloria», «Il dottor Stranamore», «2001 – Odissea nello spazio», «Shining», «Arancia meccanica», «Full Metal Jacket» e non li ho detti tutti. In quell’intervista ricordava con una punta di nostalgia i suoi genitori nell’atto di regalargli la prima macchina fotografica analogica, un amore a prima … vista. I suoi scatti sono stati presentati più volte in mostre itineranti, a sottolineare la capacità narrativa di Kubrick nel raccontare con immagini frammenti d’esperienza e d’emozione.

E su grande schermo? «I film trattano di emozioni e rispecchiano la frammentarietà dell’esperienza. Quindi è fuorviante cercare di sintetizzare a parole il significato di un film» sentenziò Kubrick, infastidito dai tanti “saggisti” del suo cinema.

L’avventura dello sguardo e la perdita della ragione nella pura percezione sono temi molto filosofici e prenderebbero un volume o quantomeno una trattazione non superficiale. Vorrei almeno soffermarmi sull’occhio creativo, quello del regista con la macchina da presa: «Il cinema è un alto artificio che mira a costruire realtà alternative alla vita vera, che gli provvede solo il materiale grezzo» ricordava Umberto Eco. In effetti l’artificio si perde nell’artigianato, dove la materia grezza della realtà in movimento diventa un’illusione talmente vera da trasmettere emozioni “infinite” con la sola forza delle scene e dei tagli d’inquadratura, delle profondità di campo, dei primi piani, dei campi lunghi, del ritmo e della melodia nel susseguirsi delle scene stesse.

Per trovare tutto questo e per confezionare un buon film l’unica strada sarebbe mettersi a farlo? Senza studiare prima il linguaggio del cinema, la sua grammatica e sintassi?

Kubrick pare non avere dubbi: solo praticando si può imparare, sbagliando mille volte e mille volte, rifacendo tutto il lavoro, fino ad arrivare a ciò che si desidera trasmettere.

Questa insistenza sullo sperimentare può avere un valore quasi universale, insomma per tutte le forme di “arte pratica” della vita: scrittura, pittura e musica.

Per imparare bisogna fare. Senza paura di sbagliare, facendo tesoro di ogni errore e confrontandosi con coloro i quali hanno già “fatto” e appena diventano “modelli” di ispirazione occorre distaccarsene, con un balzo felino per cercare la propria strada, la voce unica e inimitabile.

Così provocava un altro mostro sacro, il regista Sergio Leone: «Mi sembra che oggi il cinema rischi una vera e propria regressione, trasformandosi in un intrattenimento puramente infantile». Per rispondere serve tornare alla ricerca linguistica cinematografica o invece occorre “azzannare” la società dello spettacolo?

«Poiché il cinema non è solo un’esperienza linguistica ma, proprio in quanto ricerca linguistica, è un’esperienza filosofica»: così Pier Paolo Pasolini, che la sapeva lunga.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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