Ci restano i gabbiani
di Fabrizio («Astrofilosofo») Melodia
Recensione a «L’alibi della vittima» di Giovanna Repetto, Gargoyle Books (334 pagine per 17 euri)
L’alibi più forte è quello della vittima recita prepotentemente lo slogan con cui il libro viene pubblicizzato.
Bello, ben scritto e calibrato, emozionante, una porta aperta che guida ad altre stanze semi-spoglie con altre porte da aprire e che daranno su altre stanze, scatole cinesi in cui gli attori diventano evanescenti, nonostante le caratterizzazioni davvero ben giostrate.
Ci si avventura cosi nel paese di Rocca Persa, piccolo centro collinare dei Castelli Romani, in cui il corpo senza vita dello spacciatore Memè, scaltro e gigione capetto dello spaccio di cocaina, viene ritrovato dai carabinieri.
Intorno alla sua morte una sequela di sospetti (tutti più o meno invischiati nel giro della droga): tutti hanno un movente e ognuno ha un alibi.
Le prime pagine catturano immediatamente. L’auto procede lentamente lungo la duna. E’ una vecchia Ford, un modello così obsoleto che solo una guida cauta e parsimoniosa può averla mantenuta in funzione. Si muove lasciandosi alle spalle la città di Sabaudia, in direzione del promontorio, che offre da questo lato la sua immagine lussureggiante e selvaggia. Così recita l’incipit: poche pennellate che rendono tangibile una storia che di lì a poco precipita nel vortice del mistero, in cui criminali e forze dell’ordine spesso confondono i rispettivi ruoli, fino a non sapere più chi sia vittima, carnefice o “giustiziere”.
Temo però che questo bel thriller non troverà il giusto apprezzamento, poiché scritto da un italiano e per giunta donna. Eppure l’autrice, Giovanna Repetto, ha abilità scrittorie notevoli, ai livelli di Patricia Highsmith o di Kathy Reichs. Se la storia, con i medesimi personaggi o ambientazione, fosse stata scritta da una straniera non avrebbe difficoltà a farsi strada. Purtroppo il prodotto nostrano subisce un profondo pregiudizio, dovuto a uno star system editoriale d’importazione e alla mancanza di politica editoriale nostrana che promuova efficacemente talenti come Giovanna Repetto. In questo libro l’autrice ha infuso elementi assai diversi, inclusa la sua personale esperienza al Ser.T di una località romana, dove ha toccato con mano le dipendenze che le droghe scatenano.
Così ha potuto calarsi nella mente di soggetti deviati, i quali vivono in un mondo parallelo d’illegalità e violenza, e che spesso irrompe nella nostra “normale” vita. Una forte denuncia di disagio sociale.
Non è un’autrice alle prime armi, avendo già scritto per i ragazzi «La banda di Boscobruno» (1999, edito da Mobydick come i successivi), «Palude, abbracciami!» (2000), «La gente immobiliare» (2002) e «Cartoline da Marsiglia» (2004). Ora passa al noir con la speranza che fa capolino proprio sulla bocca dei diseredati e che lascia con un amaro sorriso sulle labbra: finché ci saranno i gabbiani… Si spera fino all’ultimo, pur se si è feriti e claudicanti, appoggiandosi al bastone della droga per sopravvivere a un mondo ipocrita che prima crea i suoi criminali e poi li punisce.