Ci siamo di nuovo dimenticati del carcere?

di Marco Magnano (*)

Un rapporto del «Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa» evidenzia la fine della spinta riformatrice in moltissimi aspetti della detenzione.

La scorsa settimana il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, organo del Consiglio d’Europa, ha pubblicato un rapporto sulla visita effettuata in Italia nei mesi scorsi durante la quale i membri del Comitato avevano visitato alcune carceri del nostro Paese. È uno sguardo interessante, perché come succede con molti rapporti internazionali ci permette di vederci dall’esterno, privarci di alcuni preconcetti, di alcune convinzioni che normalmente ci portiamo dietro.

A differenza degli esami ordinari, che avvengono con visite periodiche che ogni quattro anni toccano tutti i Paesi membri del Consiglio d’Europa, in questo caso si è trattato di una iniziativa ad hoc, mirata a verificare le condizioni di un aspetto specifico. In particolare, l’intenzione di questa visita, che ha toccato le strutture di Biella, Saluzzo, Milano Opera e Viterbo, è stata quella di esaminare la situazione delle persone che si trovano nei regimi di alta o massima sicurezza, come il 41-bis o le varie forme di isolamento o di segregazione. A differenza di molti altri casi, questa volta il governo italiano ha dato l’autorizzazione alla pubblicazione in tempi molto brevi, consentendo quindi a questo rapporto di parlare di attualità, più che di storia.

Attenzione particolare è stata dedicata alle numerose denunce di detenuti che segnalavano episodi di violenza subiti da parte degli agenti di polizia penitenziaria. Il Comitato ha ritenuto che la documentazione supportasse la veridicità delle accuse di maltrattamenti. Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione Antigone, chiarisce che «molti detenuti dicono di essere stati trattati benissimo dalla polizia penitenziaria e dall’amministrazione, però si sono riscontrati segni di violenza episodica nelle carceri di Biella, Opera e Saluzzo». Un problema più profondo riguarda invece Viterbo, dove è emersa una dimensione sistematica. «Purtroppo – ricorda Marietti – noi di Antigone avevamo già avuto modo di denunciare ciò che succede a Viterbo, e il comitato raccomanda di fare più attenzione a quello che succede in carcere e di procedere più rapidamente alle indagini nel caso di denunce».

Tra i punti-chiave dell’analisi del Comitato si trova poi il concetto di sorveglianza dinamica, ovvero la possibilità per i detenuti di poter uscire dalle proprie celle durante il giorno. A questo proposito, la raccomandazione per l’Italia è quella di restituire forza al progetto, avviato alcuni anni fa con la riforma dell’ordinamento penitenziario sviluppata durante il mandato di Andrea Orlando come ministro della Giustizia e oggi messo ai margini, addirittura non applicato in diverse strutture. Sui regimi più segreganti, invece, la presa di posizione è stata netta, chiedendo l’abolizione dell’isolamento diurno, in linea con una proposta di legge che, al suo interno, aveva proprio la richiesta di abolire questa pena.

C’è poi una dimensione di invisibilità nell’invisibilità delle carceri italiane, ovvero i reclusi con patologie psichiatriche. Una riforma avviata nel 2011 e resa operativa dal 2015, infatti, ha portato alla chiusura degli Opg, gli Ospedali psichiatrici giudiziari, sostituiti dalle Rems, Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Tuttavia, il Comitato ha ravvisato come alcune persone che da un punto di vista formale sono state giudicate incapaci di intendere e volere si trovino oggi in carcere. «Per queste persone – chiarisce Susanna Marietti – non ci dovrebbe essere una pena vera e propria, ma una misura di sicurezza da scontare in Rems. Sono detenuti in carcere in modo illegittimo, perché non hanno un ordine di detenzione e dovrebbero stare in una struttura a vocazione sanitaria. Purtroppo sul territorio l’accoglienza delle Rems è numericamente molto limitata».

Insomma, da questo rapporto emerge un quadro abbastanza desolante, e soprattutto una considerazione: la spinta riformatrice degli anni scorsi sembra essersi fermata e l’onda lunga della sentenza Torreggiani non sembra più particolarmente vivace. «Purtroppo è qualcosa di già visto», commenta la coordinatrice nazionale di Antigone. «È finita l’attenzione che l’Europa, e di conseguenza le autorità italiane, dedicavano alle carceri dopo la condanna della Cedu, un’attenzione che aveva portato a una serie di riforme, anche strutturali, anche importanti, che avevano permesso una riduzione di ben 15.000 , unità della popolazione detenuta. Dal 1 gennaio 2016 la popolazione carceraria ha ricominciato a crescere, e questo tra l’altro il Comitato lo nota con preoccupazione. Il carcere è qualcosa di scomodo, che conviene dimenticare, e quindi quando non c’è un fatto tragico o una sentenza che ci impone di guardare a quei luoghi, ce ne dimentichiamo».

(*) ripreso da riforma.it, «Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia»

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Infatti , chi è esperto di informatica, potrebbe fare una ricerca;
    quante volta nella fase cronologica della “campagna elettorale” in E-R i “candidati” o i partiti hanno pronunciato o scritto la parola carcere;
    a occhio certamente è stata più la destra ma associando la parola carcere alla parola “chiave” (buttare la chiave); molto meno la “sinistra” compresa quella a lato del pd , però non associata alla parola “chiave”,
    in definitiva una rimozione generale;
    noi aspettiamo il secondo report Ausl Bologna sul carcere; chiesto il primo gennaio…faremo sapere.
    con alcune proposte “vecchie” e nuove.

    Vito Totire

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *